Sette

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Poi ci sono persone che, di quei muri, non sanno proprio più che cosa farsene.

Perché quando hanno provato a costruirli, non sono serviti a niente.

E non li hanno risparmiati da quello che la vita ha voluto loro sottoporre.


Si affretta a mettersi le scarpe e a prendere la borsa, contenente quelle poche cose che le serviranno, di cui alcune hanno un posto fondamentale nella sua vita, anche se sa che sono solo degli oggetti, a cui non potrà mai attribuire "semplice" come aggettivo, proprio perché non lo sono. Perché niente è semplice, neppure i sentimenti ed i pensieri legati a quelle piccolezze che si porta sempre dietro. Soprattutto quel quaderno verde, in cui c'è tutto di lei e che mai potrebbe permettersi di perdere, troppo prezioso per ogni parola che ci ha scritto sopra, in preda alla rabbia, al pianto, allo sconforto, a quella sensazione di totale sconfitta che la prende troppo spesso e non la lascia andare, togliendole lentamente ogni grammo di forza, ogni grammo di quella piccola scintilla che le rimane dentro e che vorrebbe tanto proteggere da se stessa, anche se proprio non ha idea di come fare.

Sospira stanca e cerca di prendere un poco di coraggio per uscire dalle mura della sua stanza. In fondo, tempo prima ha preso un impegno troppo importante. E lei non è una che lascia le cose a metà, mai.

Non appena si chiude la porta di camera sua alle spalle, una voce proveniente dalla cucina la fa sobbalzare, la fa rabbrividire, la rende instabile, anche solo con quella semplicissima domanda che la donna le ha appena rivolto. Una domanda innocua per chiunque, ma non per la ragazza e per tutto quello che ha dentro.

«Leti, stai uscendo?»

La mora sospira e si passa nervosamente una mano tra i capelli mossi, mentre si avvia con passi lenti ed insicuri verso la stanza, con il cuore che le batte sempre più forte nel petto, facendole male.

«Sì...» risponde atona; gli occhi inespressivi e fissi sul pavimento pur di non incontrare lo sguardo dell'altra persona presente in cucina. «Vado... All'ospedale.»

Sente i passi della donna farsi sempre più vicini a lei, fino a che due mani tiepide non le accarezzano delicatamente il viso e portano i suoi occhi scuri all'altezza di quelli grigi di Azura, che le sta davanti e che le sta sorridendo, dolce, amorevole, proprio come una madre dovrebbe fare.

«Allora passate un buon pomeriggio.» le augura; il tono sincero, la voce tranquilla, lo sguardo che trasmette solo tanto affetto e che lentamente fa sprofondare Letizia ancora più a fondo in quel pozzo che la risucchia giorno dopo giorno, divertendosi a testare quanto ancora potrà resistere in piedi sulle proprie gambe, prima di cadere del tutto, per non rialzarsi più.

Non dice niente, lei. Si chiude nel suo silenzio, l'unica arma di difesa che ha e che usa ogni volta che ne ha bisogno, per tenere lontano qualsiasi cosa; per tenere lontano chiunque, pur di proteggere quel poco che le rimane e che non ha alcuna intenzione di perdere.

Si scosta piano da quel tocco delicato e tiepido, come se scottasse, come se dovesse tenersene lontana per non restarne bruciata; per non ferirsi più di quanto già non sia; per non far prendere il sopravvento ancora una volta alla rabbia, allo sconforto e alla frustrazione per tutto quello che vorrebbe non dover vivere.

Volta le spalle alla donna dai capelli castano scuri e dagli occhi più gentili, dolci e pazienti che abbia mai visto in tutta la sua vita. Non la saluta, non la ringrazia. Si avvicina alla porta e la apre, rabbrividendo al sentirla cigolare in quel modo. Poi è un attimo, e si volta indietro, trovando quel grigio caldo ad accoglierla ancora. In silenzio, le fa solo un lieve cenno con la mano e corre via, letteralmente. Corre, perché non si spiega quel gesto, non si spiega quel voler esternare quella gratitudine infinita che sente dentro e che non vorrebbe provare, non verso Azura, non con quell'affetto che le fa solo male, anche se non dovrebbe. Corre per non doversi sentire così, senza una meta, con solo un enorme buco nero nel cuore, una ferita che sta lì da troppo tempo, senza che nessuno la curi, di cui solo lei conosce l'esistenza.

Burn with you || c.hWhere stories live. Discover now