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CINQUE ANNI PRIMA


Spalancò gli occhi e allungò di scatto una mano verso sinistra. 

Era solo nel grande letto.

Il posto accanto a lui era vuoto e freddo, e il soffitto a specchio rifletteva il suo corpo steso tra le lenzuola di seta rossa.

Detestava ogni cosa di ciò che aveva intorno, ogni dettaglio di quell'appartamento che era testimonianza della relazione malsana nella quale era rimasto intrappolato come un insetto nella tela di un ragno. 

Riusciva a sopportare gli specchi, il rosso e le asettiche pareti di vetro sfondate dalla potenza di una Londra fatta di lusso e ricchezza solo se c'era Posh con lui.

Ma Posh non c'era.

Lo aveva aspettato sveglio fino a mezzanotte. 

Poi era crollato. 

Erano le tre, eppure nessuna delle ombre spaventose che lo circondavano e calavano su di lui era quella del suo ragazzo.

Si mise a sedere, tossendo. Aveva la gola secca e l'acqua sul comodino era finita. 

Si alzò e percorse il corridoio sfiorando la parete spoglia fino alla rampa di scalini. Quell'appartamento valeva sei milioni di sterline ma sembrava un mausoleo di pietra e vetro.

Sistemò i cuscini in disordine sul divano e spense la televisione che aveva dimenticato accesa.

Posh era un maniaco dell'ordine mentre Jackson era l'opposto e odiava la sua costante ricerca della perfezione, ma lo amava troppo e per lui aveva imparato a essere qualcun altro.

Aveva fame, quindi aprì il frigorifero e prese un Tupperware con dei noodles al pollo e verdure. Sedette con le gambe penzoloni sul ripiano della cucina accanto al lavello, sorseggiò una birra ghiacciata e, mentre giocherellava con le bacchette di legno, si rese conto per l'ennesima volta che niente in quel posto lo faceva sentire bene.

Non c'erano colori. 

Non c'erano odori.

Temeva che tutto quel vuoto gli entrasse dentro e forse era già successo, perché le sue fotografie avevano un senso solo se sviluppate in bianco e nero, ma stare dietro l'obiettivo della Reflex era e sarebbe stato per sempre il posto migliore del mondo. Quello, e il minuscolo appartamento a nord di Londra che puzzava di muffa e tabacco. Ne pagava ancora l'affitto per tornarci di nascosto, concedendosi la libertà di sentirsi il Jackson di Castleton prima di rivestire i panni inconsistenti dell'universo al quale ora apparteneva. Un universo perverso fatto di cose sbagliate nascoste dietro una facciata di equilibrio e di ordine.

Gli ultimi mesi però erano stati diversi, l'ordine non bastava a celare gli effetti degli eccessi e l'amore non teneva in equilibrio più nemmeno loro due. Neanche in quelle notti in cui si abbracciavano forte e Posh lo implorava di perdonarlo.

Erano troppi i momenti in cui era strafatto e troppo pochi quelli in cui era lucido.

E, se era lucido, era in astinenza.

Non si prendeva più il disturbo di dimostrargli che ci teneva a lui, non si chinava sulla sua preziosa moquette bianca a raccogliere i pezzi della sua anima e del suo corpo che lui stesso mandava in frantumi.

Semplicemente lo scavalcava e lo lasciava lì a marcire nella certezza che le cose non sarebbero tornate mai più come prima. Ma forse quel prima era esistito sempre e solo nella sua testa di ragazzino.

Avrebbe voluto tornare a quando l'inverno era la sua stagione preferita perché Posh lo scaldava e le giornate grigie che profumavano di pioggia non lo intristivano perché significavano chiudersi con lui da qualche parte e dimenticare ogni cosa.

You Make Me Ache I Crave YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora