Il mare in tempesta

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Alba si era già addormentata, o forse stava solo fingendo di esserlo, e John si avvicinò al suo letto per raccogliere da terra il kimono e riappenderlo al sottile sostegno che lo teneva sospeso in aria e senza una piega. Prese tra le mani la stoffa colorata e si rese conto che aveva la stessa consistenza di quello della Regina, stoffa morbida e liscia, che ti accarezza la pelle, ma quando lo sollevò in aria si rese conto che il kimono era estremamente pesante e solo nel prenderlo in mano si dovevano consumare un sacco di energie. L'uomo cercò di non scomporsi e comunque di fare quel gesto carino per la donna coricata appena qualche metro affianco a lui, ma nel farlo non riusciva a non pensare al suo enorme peso in contrasto con i movimenti fluidi e delicati che lei stessa, poco prima, aveva utilizzato per allacciarselo addosso. Ripensandoci ne rimase stupido e commosso. Ogni movimenti ora gli sembrava studiato con una precisione e accuratezza da sembrare una danza, una danza bellissima e affascinante, quanto misteriosa e potente. Ripensò a quella strana sera nella quale aveva fatto tante scoperte ancora mentre tornava nella sua stanza e la vita di quel piano maledetto da Dio si stava lentamente risvegliando.

•••

I pensieri di John erano confusi, si connettevano e sconnettevano con una facilità impressionante. Non riusciva a esprimere a parole quello che in quel momento stava provando: un turbinio di sensazioni gli stimolavano il cervello e lui non era in grado di tradurle in suoni che non fossero gemiti di forzo. La docile ragazza che sottostava ai suoi giochi di perversione era questa volta piuttosto abbondante e la cosa non dispiaceva affatto all'uomo che le stringeva la carne in segno di possesso. John venne sulla pancia e sui seni della ragazza, che lo guardava sorpresa: i suoi occhi erano spalancati dal desiderio e dall'eccitazione e le sue mani si contendevano centimetro per centimetro il corpo di John. Egli la sollevò seduta prendendola dalle spalle e con un movimento fluido si pose dietro di lei, massaggiandole i seni e il monte di venere mentre le baciava il collo con languore. La ragazza emise qualche verso di compiacenza e scosse la folta chioma di capelli arcobaleno, per poi porsi a quattro zampe sul letto a baldacchino che già tremolava leggermente, facendo scuotere il tendaggio come se fosse mosso dal vento primaverile. Da quella posizione la giovane inarcò la schiena, mostrando a John le poderose natiche e i genitali. L'uomo rimase ad ammirare quella vista per qualche secondo, seguendo con il dito il percorso del piacere della donna, che gemette leggermente per approvazione. Ormai il pene duro pulsava reclamando piacere e confusione nella sua testa, che lo faceva sentire insensibile ma potente. John la penetrò da dietro, spingendo il suo sesso nell'ano della sua vittima che si inarcò spingendo la schiena verso di lui, probabilmente contrariata da quella scelta; l'uomo l'afferrò, tenendola stretta per un fianco e per un seno, massaggiandole il clitoride e spingendo lentamente per entrare meglio dentro di lei. Per la ragazza non c'era ormai via d'uscita: colta ormai da ondate di piacere che le invadevano il corpo, chinò la testa di lato mostrando il collo all'uomo in segno di resa, che lui prontamente mordicchiò come un predatore sulla sua preda. Poi la spinse violentemente in avanti, facendola atterrare sui gomiti sul morbido materasso, le allargò leggermente le gambe rispetto alla posizione precedente e spinse la sua schiena ancora più in basso. I seni della ragazza ora appoggiavano sul lenzuolo violetto, lasciandola completamente indifesa e in balia dell'uomo. John si sistemò meglio per avere il completo controllo su di lei, le afferrò i fianchi piantandovi le unghie dentro e lasciando la ragazza urlare dal dolore. Dopo di che spinse il suo pene dentro la ragazza fino alla base, velocemente e violentemente, e lo ripeté in modo che i suoi testicoli sbattessero contro il clitoride e l'apertura della vagina della ragazza, che urlava in un misto di piacere e dolere che la stava facendo impazzire.

"Zitta!" le urlò l'uomo, che ormai si stava perdendo nel suo mare, alienato da tutto e da tutti, cercando solo l'isola della beatitudine.

La ragazza si zittì, mordendosi le dita e stringendo con una mano una delle colonne del baldacchino. John voleva sentire il suono che il suo sesso faceva penetrando in quella ragazza, lo faceva sentire potente e lo soddisfava. Prese poi un braccio della ragazza e lo tese verso di sé, aumentando la penetrazione e aumentò la velocità. Lo sentiva arrivare. Lo sentiva scorrere dentro di sé come un liquido in fiamme che doveva eliminare. Quando venne spinse con tutta la forza che gli era rimasta in corpo, in un ultimo sforzo. Arrivò all'isola in mezzo al mare che tanto desiderava, l'isola del piacere, l'orgasmo, e si lasciò ricadere all'indietro, chiudendo gli occhi e rilassandosi completamente. La ragazza nel frattempo si era rannicchiata nell'angolo opposto del letto e singhiozzava, per il dolore e l'umiliazione, ma si era eccitata e aveva goduto così tanto che con una mano ricercava ancora quel piacere, annidato da qualche parte dentro di lei. Si masturbava con violenza, con tre dita, stringendosi con forza il seno e gemendo piano, tentando di non attirare l'attenzione su di sé. A vedere quella scena patetica John si mise a ridere piano. Aprì un cassetto di fianco al letto della ragazza e vi trovò due grossi vibratori colorati. Li prese e afferrò un piede della ragazze trascinandola verso di sé; questa si era spaventata, ma lo aveva lasciato fare, ormai schiava di quel momento. Le mise dentro i due vibratori, regolando la velocità al massimo e le infilò il suo pene in bocca, costringendola a succhiarlo. La giovane non si oppose e lo prese tutto in bocca, succhiando avidamente ogni goccia del sapore dell'uomo. Quando John fu soddisfatto, la lasciò sul letto ansimante e devastata.

Uscì in corridoio scrollando le spalle e richiudendo la porta dietro di sé. Guardava chiunque incontrasse con sufficienza, lasciandosi alle spalle la propria camera e avventurandosi in cerca di una nuova ragazza. Gli uomini che incontrava lo guardavano con uno sguardo strano, che lui non riusciva affatto a decifrare. Si fermò davanti a una delle prime stanze, una di quelle ancora quasi completamente trasparenti e rimase a guardare la scena che si stava svolgendo dentro: due ragazzi stavano facendo sesso con tanto candore e pudicizia che in qualche modo imbarazzò John. Egli però rimase ancora a guardarli con un misto tra ammirazione e disgusto. Essi si coprivano con le lenzuola, per nascondere almeno un po' quello che le pareti lasciavano trasparire; si aggrovigliavano in esse e ridevano, scherzavano e si guardavano negli occhi, come se fossero semplicemente due innamorati.

"Sono arrivati da poco, si abitueranno allo stile di vita di qui molto presto" disse un uomo che si era avvicinato a John inaspettatamente.

"MH.. speriamo" disse John alzando le spalle, mostrando tutto il suo disinteresse in materia. In realtà gli interessava eccome, non ricordava affatto com'era prima di essere lì e quelle persone probabilmente avrebbero potuto dargli degli indizi. Si sentiva strano e aveva la pelle d'oca perché non riusciva solo a concentrarsi su quello che stavano facendo, ma vedeva solo i loro sguardi e i gesti dolci che non centravano nulla in questo ambiente.

"Mi sembrano dei bambini che giocano e non capiscono il potenziale di quello che fanno. Eppure non riesco a distogliere lo sguardo da loro. Hanno qualcosa che non va" disse l'uomo pensieroso. Poi con un gesto fluido offrì una sigaretta a John, che la prese in mano ed iniziò a fumarla con distrazione. Non ne aveva mai fumata una, ma gli piaceva e lentamente iniziò a prenderci gusto.

"Sono André" disse poi l'uomo allungandogli la mano.

"John" rispose lui, per nulla interessato.

Aveva incontrato un mucchio di persone lì, ma non si ricordava i nomi di nessuno. I nomi per lui non erano importanti, ma i loro corpi sì. A nessuno interessava dei nomi, bastava chiamarsi con nomi generici, oppure solo incontrarsi e baciarsi, prendersi, sbattersi, venire e ricominciare, perché lì le persone non sono importanti; nessuno vuole preoccuparsi per l'altro. Le preoccupazioni qui non esistono. Esiste solo il piacere e il compito di ognuno e raggiungerlo.

La cenere della sigaretta stava cadendo a terra, ma nessuno dei due se ne accorgeva.

"Sai, John, sei proprio carino"

"Grazie, ma non sono omosessuale"

"Oh, nemmeno io, ma che importa?"

John guardò André negli occhi, che rispose allo sguardo con un sorriso complice. John guardò ancora la propria sigaretta, che stava per finire, come se potesse in essa trovare la risposta. Stava ormai per finire e lui vi tirò un'ultima e piacevole boccata.

"Bene, ci becchiamo in giro. Magari in qualche orgia" concluse l'uomo strano, facendogli l'occhiolino; poi prima di andarsene gli diede una pacca sul sedere. Si allontanava con un passo deciso ma delicato, come se tutto il mondo gli appartenesse e dovesse obbedirgli.

"Hai proprio un bel sedere sai?" urlò quando ormai si era allontanato, scuotendo in alto una mano in segno di saluto.

Quella sua ultima affermazione fece sorridere un poco John, che rimase appoggiato alla parete della stanza che li aveva fatti incontrare. La sua vita era un mare, un mare in tempesta, dove le isole del piacere erano l'unica salvezza; ma in quel mare John si sentiva il capitano di una nave, che lo combatte ferocemente.


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