Rammarico

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Quella mattina non aveva alcuna voglia di andare al lavoro, ma si rese conto che era l'unica cosa che gli rimaneva che non avesse rovinato; decise quindi di correre in ufficio. Magari il duro lavoro e i problemi commerciali lo avrebbero distolto dai suoi lugubri pensieri. Nonostante il sogno erotico che aveva avuto la notte prima, John si ricordava perfettamente dell'incubo e della macabra testa di suo figlio che gli parlava. Nel pensare era già arrivato davanti alla sede centrale della banca nella quale lavorava; non si ricordava neanche di come avesse fatto a prendere il taxi nel quale era seduto, per cui pagò in fretta la tariffa e uscì. I colleghi ora gli sembravano tutti insulsi, sepolti nelle loro giacche costose e i cellulari stratosferici, con i loro insulsi problemi su come avrebbero convinto i clienti ad accettare il loro contratto e balle varie. Quando passò di fianco a uno di loro e venne salutato con cortesia, John voleva andargli vicino all'orecchio e urlargli 'Ho perso la mia vita, non mi rimane più nulla! Il tuo buongiorno puoi anche infilartelo nel culo!', ma al contrario rispose con un sorriso tirato e proseguì. La giornata trascorse lenta e alla fine ritornò all'hotel e senza neanche degnare di uno sguardo la donna, che stava avanzando verso di lui, la schivò e andò diritto verso la sua camera, dove si spogliò in fretta e senza neanche cenare, si addormentò profondamente.

La routine quotidiana continuò così per qualche giorno, tra lavoro e stanza di albergo fino a quando sua moglie, o meglio la sua ex moglie, lo chiamò al telefono. Era fuori di testa, urlava come un'ossessa sul fatto che lui se ne fosse andato senza accordarsi con lei per il divorzio, sul fatto che fosse un padre schifoso per suo figlio, che lei non lo aveva mai voluto e che avrebbe ammazzato suo figlio piuttosto che lasciargli la custodia. John si immaginava le vene del suo collo, quel collo di alabastro che lui aveva accarezzato per 12 anni, esplodere in una miriade di fuochi d'artificio rossi e lei morire nel suo stesso sangue, piano piano, parlandogli ancora al telefono fino a quando non si sarebbe stesa al suolo, fredda cadavere. Questo pensiero gli diede conforto. Chiuse bruscamente la chiamata con la moglie e uscì dall'albergo, dirigendosi verso la scuola di Jonathan. L'aria si era fatta fresca dopo i giorni di pioggia precedenti e il fiato di John si condensava in piccole nuvolette di vapore; l'uomo camminava spedito e quasi felice. Sapeva che il tragitto era molto lungo, ma era felice di avere un po' di tempo per schiarirsi le idee. Si ricordò di quando ancora aveva dei sogni e credeva che avrebbe avuto un futuro radioso: da piccolo voleva fare l'artista e girare il mondo con la sua arte. Poi suoi padre era stato male e c'era bisogno di un vero stipendio, quindi università e nel frattempo lavoro part-time per mantenere tutta la famiglia. Solo ora si rese conto che nonostante la sua vita fosse più che soddisfacente per un uomo normale, lui credeva tutt'ora di aver mandato a puttane la sua vita nel preciso istante in cui aveva rinunciato al suo sogno. E davanti a quella scuola elementare il suo pensiero sembrava così giusto e desiderato che a malapena si accorse di quel piccolo bambino che lo salutava con la manina aperta e il sorriso che mostrava i pochi denti sgangherati che aveva in bocca. A quel saluto il cuore di John si sciolse e sorrise sollevato alla vista del suo bambino, di sicuro la cosa più bella che gli era capitata nella vita. Quando prese il bambino in braccio, il padre sentì la sua guancia bollente nonostante il freddo sul suo collo e le braccina piccole ma forti stringergli il petto. Amava veramente quel bambino più di qualsiasi altra cosa al mondo, anche più di se stesso.

"Papà! Che bello vederti! Allora oggi torniamo a casa insieme?" i dentini persi facevano in modo che il bambino fischiasse un poco le s.

"Piccolo mio, sono contento di essere venuto. Non vengo a casa con te oggi, ma ti riaccompagno. Hai voglia di prendere una cioccolata?"

"Sì"

E così padre e bambino camminarono del pomeriggio freddo di ottobre come se il tempo non scorresse mai. Bevvero una buona cioccolata in un bar nel quartiere vicino alla scuola. Mentre parlavamo però John notò che il piccolo aveva qualche livido sulle braccia e dei piccoli graffi sulle palme delle mani e sul collo. Si preoccupò molto per questo accaduto, ma decise di non chiedergli nulla in proposito, sapendo esattamente che cosa era successo.

'Non sapevo che la situazione fosse peggiorata fino a questo punto' Pensò tra sé e sé.

Quando la madre vide il bambino accompagnato dal padre emise un grido strozzato, ma dalla sua mascella contratta John vedeva chiaramente che celava malamente tutto il suo risentimento. Appena il bambino ebbe salutato il padre e fu corso nella sua stanza a giocare, la donna riversò il fiume di rabbia che le giaceva dentro sull'ex marito.

"Come ti è venuto in mente di andare a prendere Jonathan?!"

"Volevo solo vederlo"

"Ma certo! E poi mi avresti rubato MIO figlio! Io non te lo lascio. PIUTTOSTO LO AMMAZZO, HAI CAPITO?!?"

Uno schiocco sonoro provenne dalla guancia della donna, proprio nel punto in cui ora si stagliavano cinque dita rosse. John le aveva tirato una schiaffo talmente forte da farle voltare la testa dall'altra parte.

"Tu non ti devi azzardare a fare del male a Jonathan, altrimenti io ti brucio viva, hai capito lurida strega?"

La donna lo guardò come non l'aveva mai guardato: aveva paura, gli occhi erano spalancati e le iridi tremavano, si era portata una mano al collo e l'altra si muoveva lentamente verso il seno. La donna fece due passi indietro e si appoggiò al lavello della cucina dove si erano spostati per la loro discussione.

"Vai via, esci da questa casa..."mormorò con voce flebile.

John, appena uscito dalla casa, non aveva alcuna voglia di ritornare alla stanza di albergo che in quel momento gli sembrava così fredda e triste; si fermò quindi in un bar nelle vicinanze e iniziò a bere vodka lemon finché non si ricordava più neanche quanti bicchieri avesse bevuto. La sua ex moglie, quando andavano nei locali, li prendeva sempre in giro perché diceva che quello era un drink da donna, e in effetti lui lo era proprio per lei.

"Che puttana!" gorgogliò mentre beveva quello che aveva deciso essere il suo ultimo drink. E rise, di una risata isterica e cattiva.

Ritornò all'hotel che era ormai mezzanotte e la donna bellissima era nella hall ad aspettarlo, su una poltroncina in stoffa in un piccolo angolo. Quando lo vide entrare la donna gli andò in contro come al solito, e John al posto di schivarla come faceva di solito le andò proprio addosso, affondando le sue mani nella generosa scollatura. Poi con un gesto abile fece saltare i bottoni della camicia, aprendogliela completamente. Le palpò il seno con audacia, sospingendo le mani fin sotto al reggiseno fino a quando non fu soddisfatto e barcollò verso la sua camera, che inspiegabilmente era aperta. Ma un ubriaco certe cose non le nota.



Sin HotelWhere stories live. Discover now