Mefisto Hotel

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Appena arrivato in camera, l'ubriacone non aveva alcuna intenzione di dormire e slacciatisi i pantaloni, notò con orgoglio l'erezione che si vedeva da sotto le mutante. Questo sua moglie non l'aveva mai apprezzato. Strega. Prese in mano il suo pene e lo scappellò fino in fondo, toccando tutta l'asta con la punta del dito. Questa cosa lo divertiva in modo bizzarro e così si mise a ridacchiare come un bambino che stesse nascondendo un segreto. Toccò la punta del suo glande e la trovò piacevolmente bagnata, dopo di che iniziò a muovere la mano su e giù con andamenti ritmici, cambiando di continuo pressione e velocità. Nella sua mente erano fisse le immagini degli enormi seni  della donna e del momento in cui glieli aveva toccati. Prima scossa di piacere. John iniziò a tremare tutto, voleva andare in fretta, voleva arrivare all'orgasmo, ma una parte di sé lo costrinse a rallentare per aumentare il godimento fino all'ultimo. Seconda scarica. Terza scarica. La mano di John si muoveva veloce e il suo bacino assecondava il movimento con un poco di oscillazione. Sulla faccia dell'uomo si dipinse l'espressione dell'estasi e un potente schizzo di sperma partì dal suo pene per riversarsi a terra come latte. Qualche goccia era ancora rimasta sulla punta del suo pene e lui la tirò via con la punta del dito, che poi succhiò rumorosamente. La porta della sua stanza era ancora aperta e la donna lo guardava dalla soglia, compiaciuta. 'Che troietta' pensò con un ghigno di divertimento.

Quella mattina John aveva mal di testa e i fumi dell'alcool non si  erano ancora dissolti. Era sdraiato suo letto, con i pantaloni slacciati che  oramai gli erano arrivati alle ginocchia; la cintura gli aveva segnato le gambe con striature rosse e i piedi gli formicolavano perché toccavano terra e non li aveva mossi dalla notte prima. La notte prima, dopo essersi fatto una sega nella foga del piacere provocato dalla sua immaginazione, era svenuto cadendo sul letto e così aveva dormito tutta la notte. L'uomo riuscì ad alzarsi in piedi solo quando il suo mondo si raddrizzò e le sue gambe riuscivano a reggere il suo peso. Raggiunse il ristorante che era adiacente alla hall solo dopo una buona mezz'ora, con vestiti puliti e capelli lavati. Spiacevolmente non si era reso conto di essersi toccato i capelli dopo aver preso in mano il suo membro e una doccia gli era risultata necessaria quando se ne accorse la mattina dopo. Il ristorante gli era parso un po' più cupo del solito , ma la cosa che lo rincuorò fu l'ampio buffet che tutte le mattine gli era offerto: prese una grossa brioches gonfia di crema e si versò del caffellatte caldo da un termos sul tavolo accanto. Come tutte le mattine, sia nel ristorante, sia nella hall non vedeva alcun impiegato dell'hotel  e si rese conto, forse per la prima volta, che tutti i servizi gli erano stati fatti senza che lui avesse visto alcuno che li facesse. Possibile che faccia tutto la bellissima donna? John non lo riteneva plausibile e rimuginò a proposito di questo argomento fino a quando non venne interrotto dalla presenza della donna.
"A che cosa sta pensando?" Disse sedendosi sulla sedia di fronte a quella di John e occupando tutto il suo campo visuale.

"Qual è il suo nome?"

"Oh, non credo che cambi qualcosa, lei tra qualche giorno se ne andrà... Comunque non era quello la cosa a cui stava pensando"

"Non è detto che me ne andrò così presto come dice"

"Natasha" disse guardando l'uomo maliziosamente.

"Non è il suo vero nome, ma almeno ora ho un modo per chiamarla"
La donna parve leggermente sorpresa dalla sua risposta, ma si ricompose in fretta e sorrise.

"Sono contenta che lei sia così scaltro John... Renderà tutto molto più divertente"
L'uomo non ricordava di aver dato alla donna il suo nome, ma probabilmente alla registrazione era stato costretto. Non ricordava bene gli ultimi giorni passati lì. La donna si schiarì la voce e questo piccolo gesto richiamò la sua attenzione. La brioches era ormai finita e John si tolse le ultime briciole dalla bocca.

"Mh...Natasha. Vorrei avere il conto della mia permanenza qui. La saluto e le auguro tutto il benessere possibile.... E... Ehm mi scusi per la scorsa sera. Non volevo essere maleducato, ma non avevo controllo di me"

La donna gli sorrise sardonica e anche se John non capiva il perché, non se ne preoccupava. Tra poco sarebbe uscito da quell'hotel e si sarebbe goduto la brezza mattutina di Las Vegas. Quando però guardò il conto che gli era stato addebitato rimase esterrefatto: €5000 di debito.

"Ma non è possibile! Tutti questi soldi per una settimana"

"John, lei è rimasto qui per quasi un mese..."

"Ma io non ho tutti questi soldi, devo anche cercare un appartamento, pagare le bollette e mantenere mio figlio!"

"Mi spiace John, ma ci siamo accordati su questo" disse mostrando un contratto sul quale c'era, scritta con grafia inconfondibile, la sua firma.

Lo sguardo di John era immagine della disperazione più nera, anche come impiegato di banca non guadagnava un granché e il giudice aveva imposto €500 di mantenimento, senza contare tutte le spese per vivere.
"Ci sarebbe una soluzione... Lavori qui fino ad aver esaurito il suo debito, avrà in cambio vitto e alloggio, e poi se ne potrà andare via."

"Ci...ci devo pensare... Potrei farcela anche con il mio attuale lavoro" biascicò l'uomo. Dopo di che, senza salutare, uscì nella brezza mattutina, rendendosi conto di non avere più la libertà che aveva creduto di avere.

Quella mattina corse al lavoro e non si perse in chiacchere con i colleghi, sperando che il lavoro lo aiutasse a dimenticare i guai che stava passando. Sacrificò la sua pausa pranzo per del lavoro extra, mangiando velocemente un panino di nascosto nel suo ufficio. Riuscì a controllare anche qualche appartamento nei paraggi e si rese conto che se avesse diviso le spese con un coinquilino, fatto qualche straordinario al lavoro e rinunciato a qualche cena ogni tanto, sarebbe riuscito a saldare i conti con l'hotel. Quando, raggiante, riuscì a completare l'ultimo lavoro che gli era dato per quel giorno era ormai molto tardi e negli uffici si aggiravano solamente le donne delle pulizie e il suo capo. Quest'ultimo gli toccò la spalla e lo fece voltare, afferrò le maniglie della sua sedia, costringendo John a guardarlo dritto negli occhi.

"Signor Smith, ultimamente la banca ha subito il tracollo della borsa e non ha più fondi per mantenere tutto il personale..."
John era sudato e pallido, sentiva l'occasione di rifarsi una vita sua scivolargli lentamente via dalle dita.
"... Signor Smith, mi spiace ma da oggi è licenziato." Il capo prese una busta bianca e la consegnò nelle mani del suo ex dipendente, dandogli una pacca sulla spalla. Poi tirò fuori dal portafoglio €50 extra e glieli pose in mano.

"Questo soldi sono per il tempo straordinario si oggi. Mi dispiace, le auguro tutto il meglio"
Detto questo l'uomo se ne andò con una giacca sulla spalla, agganciata alle sue dita ad uncino. John rimase sulla sedia per un tempo che gli parve infinito e si sollevò solo quando fu sicuro che quello non era un brutto sogno, ma la dura realtà. Uscì dall'edificio come se stesse volando: sentiva la testa leggera e i piedi sembravano non toccare terra. Passò le successive due ore tra un bar e l'altro, per soffocare la sua pena nel chiasso della gente e cercando un lavoro. Alla fine tornò esausto all'hotel. Lì c'era la donna ad aspettarlo. John si sentiva dentro che mei sapeva già tutto, ma aveva bisogno di una conferma da parte sua.
"Accetto il lavoro"
La donna soffocò una risata sarcastica. "Bene, signor. Smith, lasci che le presenti il Mefisto Hotel!"
Schiacciò un pulsante sul piccolo telecomando che aveva nascosto nella mano fino ad allora e le porte di un ascensore comparvero sulla destra, proprio di fianco al salottino.
"Venga"
John seguì la donna dentro l'ascensore. Mentre le porte si chiudevano silenziosamente, l'uomo pensò che in quel momento sarebbe iniziata la sua nuova vita all'hotel.


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