Capitolo Tre

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Sai di essere nuovamente sveglio, dopo una notte di continuo dormiveglia.
Hai sentito fastidio in tutto il corpo per tutta la durata del buio. Delle fitte, più che altro, che arrivavano improvvise e che ti hanno continuamente svegliato di soprassalto. Non che fossero particolarmente dolorose, difatti, dopo qualche breve momento in cui hai digrignato i denti, esse sparivano semplicemente, e tu, ogni volta, ti sei riaddormentato quasi di colpo, in attesa del sussulto successivo.
Quando poi, allora, apri gli occhi, la prima cosa che vedi è uno strano fulgore, ma poi, mettendo meglio a fuoco, ti rendi conto che si tratta più semplicemente di un bagliore di denti. E, a questo punto, noti anche chi sia il proprietario di quel brillante e dirompente sorriso.
Oh, no, lui no.
"Ci conosciamo, signore?"
C'è un uomo – un fastidioso, fastidiosissimo uomo – chinato sul tuo letto. E' sorridente – ormai l'hai capito – e ti guarda, sebbene con un interesse piuttosto flebile.
Ti vede, ma non riesce a guardarti davvero.
"Lei di sicuro mi conosce, però." Continua il momentaneo intruso, che altri non era se non Gilderoy Allock "Qui pare che mi conoscano tutti. E Glady Gudgeon mi scrive sempre, tutte le settimane. Lo vuole, un mio autografo?"
E' pazzo, completamente andato.
Ti era giunta voce, in effetti, che fosse finito al San Mungo, ma ovviamente non avevi dato alcun peso alla notizia.
Ma chi diamine l'aveva fatto entrare?
"Oh, ciao, Gilderoy!" Esclama poi il Vecchio, e temi proprio che se quei due si mettano a parlare ci sarebbe il rischio che Allock non se ne vada più.
Vedi quest'ultimo, non appena si sente chiamato, mettersi ritto con la schiena e portarsi una mano ad un fianco; tira leggermente indietro la testa, ondeggiando i capelli biondi, ora appena più lunghi di quando li hai visti l'ultima volta.
"Che ci fai qui, Gilderoy?"
"Perlustro, naturalmente." Risponde Allock rimanendo in posa "E ho fatto bene, perché ho trovato questo nuovo inquilino!"
Ti indica, e tu fai una smorfia, puntando per un attimo lo sguardo verso il muro.
"E sono sicurissimo che io e lui ci conosciamo, per giunta!"
"Beh, non vi siete forse appena presentati?"
"No, no, io intendo da prima."
Vedi il sorriso di Allock sparire improvvisamente dal suo viso e la sua espressione farsi concentrata, quasi cupa. L'ombra passeggera nei suoi occhi è quella di chi cerca disperatamente di ricordare qualcosa.
Poi, però, il sorriso gli si accende di nuovo.
"Oh, non importa." Dice, e poi posa una mano sul tuo braccio inerme, guardandoti.
Senti la tua carne formicolare, sotto le sue dita.
"Se ci conosciamo siamo amici, no?"
Non esattamente.
La porta si apre, a quel punto, ed entra una corpulenta infermiera di colore. Guarda nella stanza con aria preoccupata, ma poi, quando scorge Allock, i lineamenti dei suo viso si rasserenano.
"Gilderoy, eccoti qua!" Dice, avvicinandosi "Quante volte ti ho detto che non devi uscire da solo?"
"Ero in perlustrazione."
"Sì, come sempre." Cantilena l'infermiera posando una mano sul braccio di lui.
Allock, invece, si volta nuovamente verso di te.
Lo fissi senza espressione.
"La prossima volta ti faccio un autografo." 'Ti' "Adesso scrivo in un perfetto corsivo! Beh, quasi."
"Sì, sì, ma adesso andiamo." Fa la donna, e a quel punto ti getta una veloce occhiata.
Vedi chiaramente i suoi lineamenti tendersi di nuovo.
La mano che prima era semplicemente poggiata sul braccio di Allock ora va a finire sulla sua spalla, in un improvviso abbraccio protettivo e materno.
Come se tu lo potessi affatturare da un momento all'altro.
Non che la tentazione non sia forte, comunque.
L'infermiera trascina via Allock praticamente di peso – finalmente – e lui si lascia guidare, quasi sia completamente spaesato. E lo è, in effetti.
"Ciao a tutti!" Fa lui, prima di uscire dalla stanza, salutando i presenti con un movimento del braccio fin troppo teatrale, per i tuoi gusti, prima che la porta si richiuda.
E dire che di teatralità dovresti intendertene fin troppo, se consideri il tuo ampio mantello nero.
"E' proprio simpatico, quel tipo." Comincia il Vecchio "Ha fatto un autografo anche a me, tanto tempo fa, ma ancora non riusciva a scrivere tutto attaccato. Sono proprio curioso di vedere quello che porterà a te, ragazzo."
Alzi gli occhi al cielo.
"Oh, ma per favo-"
Ti blocchi, prima di finire la frase. Perché non l'hai solo pensato, l'hai detto sul serio.
È stato solo un sussurro, un miscuglio di suoni graffianti, ma non è questo il punto.
Parli di nuovo. Ti è tornata la voce.
Deglutisci, e poi ti schiarisci delicatamente la gola.
Ti giri verso il Vecchio e ti umetti le labbra. Apri la bocca, ma poi la richiudi.
Poi ci ripensi.
"Signor Evans...?" Dici, e il Vecchio si volta verso di te come se nulla fosse, facendoti un sorriso di circostanza, per far capire di essere in ascolto.
Sì, parli; ma quella di sicuro non è la tua voce, non quella solita, almeno: è roca, ma alla stesso tempo... stridente, come il suo del gesso che graffia sulla lavagna.
Ma al momento non ti interessa se il rumore che ti esce dalle labbra ha ormai poco a che fare col suono di velluto con cui prima rimproveravi i tuoi studenti.
Parli; e ti basta, per ora.
"Cosa c'è, ragazzo?" Ti chiede comunque il Vecchio, dato che l'hai appena chiamato.
Non gli deve sembrare vero...
"Nulla." Rispondi, piano, come a volerla preservare, la tua voce, come se ne avessi una quantità limitata a disposizione.
Torni a guardare il soffitto, a quel punto, chiudendo la bocca senza aggiungere nient'altro.
Hai di nuovo acquistato la voce, sì, ma non è che tu abbia veramente voglia di parlare con qualcuno, in effetti.
E così, semplicemente, aspetti. Alla fine non è che sia cambiato davvero molto. Sei sempre al San Mungo, sempre in quella stanza, sempre con degli aghi infilati nelle braccia e sempre immobile, nel tuo letto.
Certo, è un miglioramento, ma l'esaltazione – sebbene piccola – che hai provato qualche minuto prima si è già dissipata, inglobata dalla più ragionevole logica e dal più comprensibile pessimismo.
E quindi... Aspetti, e i secondi passano lenti come quando la voce ancora non l'avevi. Il Vecchio parla, parla, e L'altro fissa, come sempre.
Poi, però, dopo un tempo che ancora ti sembra indefinito se non ti volti verso l'orologio, entra il tirocinante, per svolgere le sue... quotidiani mansioni. Su di te, peraltro, ma hai smesso di pensarci e svuoti la mente ogni volta che succede: di solito ti volti verso il muro e rimani così per tutto il tempo, senza che neanche il tirocinante dica mai una parola. Credi che suderebbe freddo solo perpensare a cosa dire.
Quel giorno, però, la voce tu l'hai di nuovo acquistata, e potrebbe risultare particolarmente... interessante prendere il ragazzo praticamente alla sprovvista. Se sei fortunato, magari salterà pure per aria. In ogni senso.
Così, stavolta, quando lui si avvicina al tuo letto, tu non scosti lo sguardo da lui; lui ovviamente se ne accorge, vedi il suo pomo d'Adamo andare su e giù per almeno tre volte consecutive. Ghigni, tra te e te. Quando poi lui inizia a tirare via il lenzuolo da te, ammucchiandolo ai tuoi piedi, lo lasci fare; quando però finisce l'operazione, invece, schiarisci ancora la voce.
Attiri immediatamente la sua attenzione – più immediatamente di così non si sarebbe potuto, dato che si volta come se tu l'abbia appena colpito con un oggetto contundente.
Incurvi un angolo delle labbra, osservando la sua espressione terrorizzata. Strano come la sua, di espressione, a pensarci, non ti dia poi così fastidio. Forse perché ti ricorda uno dei tuoi studenti, trovato a girovagare nel Reparto Proibito della biblioteca.
Forse riesci persino a sopportarlo, quel tirocinante, così inesperto ai tuoi occhi.
"Desidererei parlare con il professor Sherman." Dici, col tono del ghiaccio che si rompe.
Lui non si può dire che abbia veramente fatto un salto in aria, ma perlomeno sussulta.
"Lei... Lei parla." Farfuglia.
"Sì, sono stato dotato di tale facoltà quasi quarant'anni fa. Ora, se per lei non è di troppo disturbo..."
"Sì. Sì, immediatamente."
E fugge via, in pratica. Quando però giunge alla porta torna velocemente indietro per risistemarti alla bell'e meglio il lenzuolo che in teoria ti ha appena tolto, rimandando quella spiacevole operazione a più tardi. Dopodiché fugge davvero.
Ghigni di nuovo, voltandoti verso l'orologio; in fondo è stata la seconda cosa interessante della giornata. Ti sei concesso un paio di secondi di mero diletto, alla fine.
Guardi di fronte a te, allora, e come al solito L'altro ti sta fissando. Fai una smorfia nella sua direzione, e per un attimo lui si volta da un'altra parte. Per poco, certo, un secondo dopo è come se nulla fosse successo. Ma adesso, perlomeno, hai avuto un terzo momento di diletto.
Se è stato Allock, col suo contributo, a portare a quello, allora forse non è poi così inutile come sembra. Anche se lo ha fatto involontariamente.
Pochi minuti dopo, in ogni caso, la porta si riapre di scatto, e compare il ragazzo, apparentemente un briciolo più calmo di prima, assieme al dottor Sherman, che ti raggiunge immediatamente.
"Signor Piton!" Esclama, quasi col fiatone, segno che è arrivato correndo da chissà dove.
Oh, allora sei un paziente importante...
"Signor Piton." Continua, con una luce nuova negli occhi "Bruce mi ha detto che riesce a parlare."
Bruce? E ora chi diavolo è Bruce? Oh, sì: il tirocinante. Allora ha un nome anche lui, dopotutto.
Annuisci.
"E' così, infatti." Rispondi, gracchiando leggermente.
Ora sembreresti decisamente un corvo, non c'è dubbio.
Sherman unisce le mani producendo un lieve battito sordo.
"Bene. Bene! È un'ottima notizia, un passo alla volta. Mi dica, riesce anche a muovere qualcosa?"
Non ci hai neanche provato, in effetti, dando per scontato che nulla sia cambiato, in quell'ambito.
Chini il capo guardando la tua stessa figura, e tenti di stringere i pugni.
"No." Rispondi laconicamente dopo un paio di secondi.
La luce negli occhi di Sherman assume un nimbo di delusione.
"Oh. Beh... Come ho detto, un passo alla volta, uno alla volta. Ora devo andare, in ogni caso. Bruce, per favore..."
Le sue ultime parole si perdono nell'aria, e non odi neanche il rumore dei suoi passi o la porta che si richiude. Avverti il tirocinante toglierti nuovamente il lenzuolo di dosso, ma come ogni altra volta, adesso, stai guardando verso il muro bianco.
Pensi soltanto al fatto che nel momento in cui hai cercato di stringere le dita a pugno – e non ci sei riuscito – hai percepito la mano sinistra formicolare più di quanto abbia fatto sino a quel momento.
Ci hai sperato, per un istante, e ti stavi sforzando davvero di muoverle, quelle maledette dita, sebbene la tua espressione fosse imperscrutabile.
Lascia il sapore amaro in bocca, il fallimento.
Per non sai neanche tu quanto tempo, all'inizio, non pensi assolutamente a niente. Buffo, quando invece sei un uomo che pensasempre, che vuole sempre avere tutto sotto controllo – o perlomeno ci prova.
Ma a cosa dovresti pensare? Alla guerra? Al fatto che sia finita, al fatto che il Signore Oscuro sia finalmente stato sconfitto? Al fatto che lì, fuori dal San Mungo, ci saranno orde di persone che vorrebbero la tua testa su un vassoio d'argento? Al fatto che Potter, per calmare le acque, riveli a destra e manca tutto il tuo passato?
Certo, sempre che tu gli stia abbastanza a cuore da prendersi il disturbo, ma ne dubiti.
A che dovresti pensare? Al tuo futuro?
Tu non ne hai. Neanche stavolta.
Due sarebbero le strade alle quali potresti essere destinato: una vita al San Mungo, in quella stanza, a lottare contro la noia, ad ascoltare le chiacchiere del Vecchio e a sopportare le occhiate malevoli del L'altro – e dovresti smetterla, a pensarci, di chiamarli così. Una vita da infermo, una vita da paralitico, confinato in quel letto per chissà quanto tempo, chissà quanti anni, se non fino alla fine dei tuoi giorni.
E l'altra strada quale sarebbe? Tornare a casa – o meglio, quella che dovrebbe esserlo ma che non hai mai reputato tale, guarito, magari, ma per far cosa? Per rimanere chiuso lì, tra le ombre, a sopportare le occhiate non di una sola persona, stavolta, ma di chiunque avresti incontrato ogni volta che avresti messo il naso fuori di casa. E non sai se quelle occhiate possano essere malevole, stavolta. Quelle sono più facili, da sopportare, sebbene estremamente fastidiose. Ti immagini già che tutti quelli che potresti incontrare avranno lo sguardo pietoso di Sherman, come la prima volta che hai incontrato lui. E tu finiresti per chiuderti in casa, per non uscire mai, per vivere tra quattro mura che detesti.
In ogni caso, qualunque sia la strada, finiresti prigioniero comunque.Sarebbe questo, il tuo futuro?
Tu non lo vuoi.
Basta. La tua vita si è conclusa alla Stamberga Strillante. Quello che vivresti d'ora in poi sarebbe solo un... riflesso. Un fantasticare costantemente – e penosamente – su quello che avrebbe potuto essere e che invece non sarà mai.
Immagini quali potrebbero essere le tue future giornate, in entrambi i casi.
Estremamente deprimente.
La tua vita è finita alla Stamberga Strillante, ti ripeti. Non ha senso continuare a svegliarsi tutte le mattine. Hai concluso quello che dovevi fare, Potter è vivo e il Signore Oscuro è morto. Fine.
Non hai più uno scopo. Che cosa esisti a fare? Cosa pensi di fare, adesso? Ti rimane solo aspettare la tua, di fine?
Credi di sì.
Perché la tua vita è davvero finita su quel pavimento alla Stamberga Strillante, con le zanne di Nagini conficcate nella tua carne.
Tu, un futuro, non pensi proprio di volerlo.
Ecco, a questo porta il mettersi a pensare per far passare il tempo, e non ti sorprendi che quelli intorno a te siano dei pazzi, a questo punto. Il piacere provato per essere tornato in possesso della facoltà di comunicare è già sparito da un po'.
Devi trovare qualcosa da fare, qualcosa che ti tenga la mente impegnata, se non vuoi fare la stessa fine loro. Va bene che non vedi vie d'uscita, di fronte a te, ma diventare un... demente non la consideri una delle possibili opzioni.

...Mosche Crisopa, da lasciar stufare per ventuno giorni, sanguisughe, erba fondente, da raccogliere durante la luna piena...
Sono ore, presumibilmente, che stai tenendo la mente occupata elencando gli ingredienti di ogni pozione che conosci.
...centinodia, corno di Bicorno...
Ovviamente vai in ordine alfabetico. Sei partito dall'Amortenzia ed ora sei arrivato quasi alla fine della lettera 'P'.
...pelle tritata di Girilacco, ed un pezzetto della persona... utile allo scopo.
Stai pensando alla Pozione Polisucco, naturalmente, e le labbra ti si arricciano in un'espressione soddisfatta quando ti rendi conto di esserti ricordato tutto senza commettere errori. Ti sta venendo piuttosto spontaneo, ultimamente, testare la tua memoria, a dire il vero. Specie da quando hai visto Allock, quella stessa mattina.
Ora è pomeriggio, di già, e non vedi l'ora che si concluda anche quell'ennesima giornata.
Il fatto è che è appena iniziata la fase del giorno destinata alle visite ai pazienti, e sei sicuro che di lì a poco verrà anche il signorino Evans, a far visita a suo padre. Non che tu gli dia tanta importanza, ma speri eviti di sbraitare come un ossesso, dato che non puoi semplicemente prendere ed andartene per evitare che sopraggiunga un mal di testa.
Neanche finisci di formulare questo pensiero che la porta si apre e Johnathan Evans entra nella stanza.
Dovresti raccontarlo a Sibilla, di averci azzeccato in pieno, tanto per vedere la sua smorfia di finta indifferenza e i suoi occhi spostarsi da qualche parte, al di là dei suoi spessi occhiali.
O magari no.
Evans ti guarda subito, ma non appena ricambi sposta gli occhi su suo padre. Ha un pacco tra le mani... Saranno i cioccolatini che ogni tanto gli porta.
"Ciao, papà."
Come la prima volta che quel giovane uomo è stato lì, ti volti dall'altra parte, e chiudi gli occhi per evitare di costringerti a guardare perennemente un punto fisso.
"Ti ho portato questo."
"Che cos'è?"
Senti il rumore della carta che si strappa.
"Una radio."
"Ti piace?"
"Non mi piace la musica."
Sei dello stesso esatto parere.
"Sì, lo so... Ma puoi sentire qualcos'altro, oltre alla musica. Può tenerti un po' di compagnia."
"Sì, questo è vero. Grazie, ragazzo."
Continuano a parlare, ma tu non li ascolti più già da un po'.
Dunque. Preparazione della Pozione Polisucco.
Raccogli le idee e stili una veloce lista dei procedimenti e dei passaggi, fino a giungere al punto finale: aggiungere un capello, un'unghia, qualsiasi cosa della persona di cui si vuole assumere l'identità, al preparato, ed attendere qualche minuto prima di bere.
Tu non l'hai mai provata, la Pozione Polisucco, e ti chiedi che gusto – o comunque che sapore – abbia. Non l'hai mai presa neanche quando eri Mangiamorte, durante una delle tue... missioni, per celare il tuo vero viso; per quello esistevano le maschere argentate, indossate con fierezza.
Quando uscirai da lì magari potresti provare, una volta, tanto per sperimentare.
O magari potresti pure iniziare a prenderla come un'abitudine, per evitare quegli stupidi sguardi ogni volta che andresti in giro. Perché no? Potresti, semmai uscirai dal San Mungo, assumere l'aspetto di un Babbano qualunque e vivere la tua semplice, tranquilla, monotona vita senza che nessuno ti disturbi più.
...Bah, hai indossato maschere peggiori. La tua stessa faccia è una continua maschera.
Ti rendi conto di quanto sia stata un'idea stupida anche solo pensarlo. Così non solo ti sentiresti prigioniero nella tua stessa 'casa', saresti anche dipendente da una pozione il cui effetto è limitato. Prigioniero di un preparato solo per non dover sottostare ai giudizi altrui, come un perfetto codardo – anche se non prettamente dal punto di vista fisico.
Bella prospettiva.
Non sei mai stato un codardo, e non ti è mai importato del giudizio degli altri, quindi ti sorprendi persino di aver pensato ad una soluzione talmente idiota.
Sospiri, e allora passi ad elencare mentalmente gli ingredienti della Pozione Restringente.
Quando sei ormai arrivato alla lettera 'U', però, una parola del discorso tra padre e figlio cattura la tua attenzione.
"...con questo Mangiamorte." Sussurra Johnathan, non sai se perché crede che tu stia dormendo per via dei tuoi occhi chiusi, oppure se per cercare di non farsi sentire da te.
Punti sulla seconda.
Lentamente ti volti, il collo leggermente indolenzito per non essersi mosso per tropo tempo, e guardi la scena: Johnathan Evans seduto sul bordo del letto del Vecchio, più o meno all'altezza dello stomaco di quest'ultimo, proteso in avanti verso di lui, come a volergli rivelare un segreto.
"Non mi dà fastidio." Senti – e vedi – mormorare dal Vecchio.
Non si sono ancora accorti dei tuoi sguardi, loro.
"Ma lo sai cosa ha fatto? Ha ucciso Albus Silente. Ti ricordi ti Albus Silente?"
"Albus Silente è anziano."
"Era, papà, era. E l'ha ucciso l'uomo nel letto accanto al tuo. È un manipolatore, un approfittatore, e non voglio che tu stia a contatto con lui."
Come se la malvagità possa attaccarsi come un comune virus.
"Io invece vorrei" Ti ritrovi a dire tu, invece, raggelando il sentito discorso del giovane Evans "che le cose me le si dicessero in faccia."
Il ragazzo sussulta, girandosi di scatto verso di te.
Nel notare la sua espressione fai un involontario ghigno.
"Lei invece non dovrebbe origliare." Ti risponde però lui a tono, dopo un breve istante di esitazione.
"Sono confinato in questo letto. Il minimo che lei può fare, allora, è parlare di cose che non mi riguardano."
"Cos'è, le dà fastidio?"
"Più che altro a lei dovrebbe dar fastidio nascondersi dietro un sussurro." Ribatti "Potrebbe andare ad intaccare la sua... virilità."
Lui arrossisce di furore e di imbarazzo.
Poi lui si alza, facendo un passo in avanti nella tua direzione.
"Lei dovrebbe solo ringraziare di non trovarsi in mezzo alla strada. Noialtri non dobbiamo niente a che vedere con gente come lei. Ionon sto zitto solo perché lo vuole lei; se voglio parlare di lei lo faccio, che lei sia o meno bloccato sul suo materasso."
Non ti scomponi più di tanto. Immagini che Sherman l'abbia informato della tua immobilità, ed è sicuramente per questo che lui fa tanto lo spavaldo.
"E non permetterò che lei divida la stanza con mio padre."
In realtà sei piuttosto stanco di ascoltare di nuovo una tale tiritera.
"Eppure" Rispondi, sperando di chiudere così il discorso "sono ancora qui. E a suo padre non sembra dare troppo fastidio. Non è vero, signor Evans?"
Ti volti appena, e il Vecchio ti sorride, con gran disappunto di suo figlio.
Ne sei praticamente certo, notando l'espressione di quest'ultimo: prima o poi ti salterà al collo.
Chissà, magari inconsciamente – neanche troppo 'inconsciamente', forse – lo stai provocando apposta per questo.
Oh, sei un ingrato. Avresti potuto ritrovarti in mezzo alla strada, a quest'ora.
Johnathan sembra fare un grande sforzo per non risponderti ancora. Lo noti dal modo in cui cerca di mantenere il proprio sguardo sul volto del padre, l'eccessiva forza nel serrare la mascella. Dev'essere frustrante preoccuparsi di dove debba vivere suo padre quando non pare importare neanche al diretto interessato.
A te invece non è mai importato della sorte toccata a tuo padre.
Ti volti nuovamente verso il muro, a quel punto, così magari quell'impavido ragazzino avrebbe ripreso a respirare normalmente. E gli occhi ti si chiudono quasi da soli, la gola ti pizzica perché forse hai parlato troppo, ma non ti addormenti, rimani così, progetto che stavi portando avanti già non molti minuti prima; ma sarebbe più corretto dire 'non molti giorni prima'. Non lo sai neanche tu per quanto tempo rimani così – forse ti sei perfino addormentato, alla fine, ma quando riapri gli occhi non senti più parlare come prima. L'unico rumore che senti sono i passi di Johnathan Evans che si sta dirigendo verso la porta per andare via.
Getti un'occhiata all'orologio, rendendoti conto che mancano pochi minuti alla fine del tempo dedicato alle visite ai pazienti.
Quando guardi nuovamente verso Johnathan, lui sta aprendo la porta, e come è giusto che sia non ti sta degnando di uno sguardo.
La porta si spalanca, e i suoi occhi si ingrandiscono, la sua bocca si apre in un'espressione di pura e quasi raggiante sorpresa.
La tua è solo perplessa.
"Harry Potter?" Dice con un fil di voce, ma tu lo senti benissimo.
Chiudi di nuovo gli occhi, istintivamente.
E ti senti un codardo, considerazione che ti fa infuriare, specie quello che ti sei detto proprio quello stesso giorno, riguardo a quell'argomento. Ma nonostante ciò non ti muovi – non muovi nulla dal collo in su – comunque. Potresti dar l'impressione che tu stia veramente dormendo.
"E' un piacere incontrarla." Senti parlare il giovane Evans con voce quasi... adorante "Lei ha fatto tanto, per noi."
"Sì, beh... Non c'è mica bisogni che lei mi ringrazi, ho fatto quel che era giusto."
Senti Johnathan ridere.
Non ti interessa, ti senti già abbastanza investito dalla voce di Potter. Speravi che Evans stesse avendo una sorta di allucinazione, e invece, sfortunatamente, no.
"Come mai è qui?" Continua poi Evans.
"Sono venuto a trovare – ehm... il professor Piton. È questa la sua stanza, no?"
"Ah." Per qualche secondo nessuno parla "Come mai?"
Invadente.
"Questioni personali. Anche lei è venuto per--"
"No. È mio padre, che si trova qui. Per ora. Ehi, papà, hai visto? Harry Potter."
"Oh, un parente di Henry C. Potter?"
Qualcuno sospira.
"E' così da un po'."
"Sì, capisco."
"La lascio ai suoi... affari, allora."
"Grazie. Magari ci rivediamo qui intorno."
"Oh, ora è lei che ringrazia me?"
Johnathan ride; poi la porta si richiude, dopo qualche istante, e presumi che l'unico in piedi nella stanza, ora, sia Potter.
All'inizio c'è solo silenzio, prima che il Vecchio – chi altri, dopotutto? – si metta a trafficare con la sua nuova radio.
Senti dei passi, lo strusciare di una sedia che di solito rimane semplicemente addossata al muro. Il rumore di qualcuno che si siede troppo vicino a te.
Tu, ovviamente, non dai segno di volerti 'svegliare'.
Vuoi che se ne vada. Perché diamine è venuto? Cosa pretende, di poter semplicemente fare quattro chiacchiere come due amici che non si rivedono da tempo?
È patetico. Lui è patetico, tu ti senti patetico, tutta quella maledetta situazione lo è.
Dalla radio escono le voci di quelli che dovrebbero essere gli interpreti di una telenovela di basso livello, e il Vecchio non cambia stazione.
"Sa," Dice poi Potter, all'improvviso "mi sembra quasi di star parlando con un uomo in coma," Forse lo sei "ma sotto un certo punto di vista è quasi meglio. Che-Che lei stia dormendo, intendo. Non saprei neanche per bene cosa dirle, se fosse sveglio, in effetti."
E allora vattene.
"Forse sarà meglio tornare quando lei sarà sveglio, non ha molto senso che io parli a vuoto." Sublime, non è vero? È la stessa sensazione che hai sempre provato tu ogniqualvolta gli dicevi qualcosa "E poi potrei anche correre il rischio di fare, adesso, uno di quei sentiti e spontanei discorsi totalmente inutili per il fatto che lei non potrebbe ascoltarlo; come in un film." Pausa "E' meglio che ritorni un'altra volta."
Il rumore della sedia che struscia sul pavimento e quello di una persona che si mette in piedi.
"Anche se mi sarebbe piaciuto" Aggiunge però Potter a voce un po' più bassa "che lei mi avesse parlato almeno una volta di mia madre."
Stringi i denti quasi involontariamente, ma Potter non dà segno di essersi accorto di qualcosa, fortunatamente.
Con quale faccia tosta, ora, viene da te pretendendo una cosa del genere? Con il rapporto che avevate, poi. Te la immagini, la scena: voi due, seduti su delle poltrone, in silenzio; lui che ti detesta e tu che detesti lui; un clima idilliaco per mettersi a parlare dei 'bei tempi andati'.
E poi ti vengono a dire che non devi considerare Potter uno stupido.
Albus, in particolare, te lo diceva in continuazione. Ti diceva tante cose, così come te ne ha sempre nascoste tante altre. Diceva che lo faceva per te.
L'ultima cosa che ti ha chiesto, però, non l'ha fatta pensando a te. Lo odi perché ti ha chiesto un favore del genere, e poi odi te stesso per aver pensato di odiarlo. Sei sempre stato piuttosto incline all'odio.
Anche a qualche altro sentimento, certo, ma l'odio si dibatte sempre, cercando di prevalere.
Stai impazzendo.
Senti i passi di Potter allontanarsi, in ogni caso, e poi la porta aprirsi e chiudersi. Se n'è andato, ma aspetti qualche minuto, prima di aprire gli occhi.
È tutto estremamente patetico, sì. E deprimente.
Non possono semplicemente lasciarti al tuo triste destino, senza cure, senza niente? No, ora non possono. Avrebbero potuto, prima, ma non l'hanno fatto, e ancora una volta devi ringraziare Potter, per questo.
"Perché Il Bambino Che E' Sopravvissuto è venuto a trovare te?" Dice proprio in quel momento L'altro, interrompendo ogni tuo ragionamento.
Ci voleva Potter per convincerlo ad iniziare una conversazione con te. Non che tu lo voglia così ardentemente.
"Presumo che Potter sia grande abbastanza – più o meno – per fare quello che vuole."
"Ma perché te?"
"Non ho detto che le sue scelte debbano essere condivisibili."
"Non ne sei degno, tu."
Degno? Tu non sei degno di Potter?
Ma non hai voglia di discutere con un pazzo – perché quello è – di argomenti più grandi di lui.
"Ti basti sapere" Rispondi comunque – ti piace avere sempre l'ultima parola "che senza di me Potter a quest'ora non sarebbe qui."
Davvero? Non eri stato tu a dirgli indirettamente di dover morire? Sono diverse, effettivamente, le cose che non sai.
Lui ti guarda con una smorfia, ma, allo stesso tempo, noti il dubbio insinuarsi nei suo occhi allucinati.
Sì, ti piace decisamente avere l'ultima parola.
Nel frattempo il Vecchio pare star apprezzando le vicissitudini amorose che le due stucchevoli voci narrano alla radio. Ti ci mancava solo quello, ma perlomeno d'ora in poi l'unico rumore ascoltabile non sarebbe stato il vociare perenne e senza un filo logico del tuo vicino e il ticchettio dell'orologio.
«...Oh, Winston, se non ci fossi stato tu sicuramente sarei salita su quel treno!»
«Non l'avrei mai permesso, amore mio.»
Oh, per Salazar.
"Signor Evans." Gracchi, facendo voltare il Vecchio verso di te "Sarebbe decisamente più utile se lei si sintonizzasse su qualche altra stazione. Qualcosa come un notiziario, per esempio."
"Un notiziario?"
"Sì. Può smetterle con queste cose da donnicciola ed interessarsi alla realtà, per dieci minuti?"
"A me piace questo..."
Sospiri.
Sapevi già che non avresti cavato un ragno dal buco; aveva persino iniziato il discorso cercando di essere... gentile, ma l'impazienza aveva preso il comando, facendoti comportare di conseguenza nel giro di neanche un minuto.
Se solo tu potessi muoverti allungheresti un braccio verso il mobiletto ed afferreresti quella dannatissima radio, cercando prima di capire come funziona e poi facendone uscire parole decisamente più urgenti da ascoltare.
Che... fastidio.
Ti viene da stringere in un pugno la mano sul lato del letto più vicino a quello stupido comodino, la sinistra, in un moto di rabbia e frustrazione.
E lo fai. I muscoli si tendono, scricchiolano, fanno muovere quelle ossa nel modo in cui desideri tu.
Lo sforzo non è comunque paragonabile al risultato: sebbene tu stia impiegando tutta la concentrazione possibile, in quel singolo atto, presumi che, se ti dessero una bacchetta da afferrare, quella cadrebbe subito a terra per la poca forza della tua presa.
Ma non ti importa: riesci a muovere le dita.
Che caspita di pozione ti hanno rifilato per poter avere un effetto simile?
Provi a fare la medesima cosa con la mano destra, ma il risultato non è quello sperato, non riesci a comandare nulla. Nonostante ciò continui a strusciare le dita sul lenzuolo, a far roteare il polso, che scrocchia appena... Sì, evidentemente quello era il giorno delle 'sorprese'.
Quando l'hai fatto notare a Sherman, lui che ne è rimasto estasiato. Sembrava un ragazzino a cui i genitori hanno comprato il suo primo zucchero filato.
Tu l'hai guardato con un sopracciglio inarcato.
D'altronde non è che tu possa fare chissà cosa, con solo una mano in movimento; perché è solo la mano, che si muove, il braccio e tutto il resto rimangono ben ancorati sul letto, addormentati ed inutili.
Li reputi quasi di troppo.
In effetti sarebbe molto più stimolante, pensi, essere solo anima e mente.
Anima. Quella che ti è rimasta, ovvio. Buona parte si è sgretolata, sotto il peso troppo insistente delle colpe. Tempo fa avresti pensato che in qualche modo tu fossi riuscito, almeno in parte, a riscattare la tua anima del pegno dell'orgoglio. Ti sei accorto presto che ci sarebbe voluto molto di più – tempo che non ti era stato concesso – per poter rimediare. E comunque quel poco che forse avevi salvato è di sicuro ripiombato nell'oscurità dopo l'omicid-- dopo quel favore fatto ad Albus.
Bah.
Insulsi pensieri. Devi attenerti ai fatti, non alla... metafisica, o quel che è.Giusto perché altrimenti finiresti col sentirti peggio.
Ma muovi una mano, e questo è un fatto; secondo Sherman è un notevole passo avanti, secondo te – razionalmente parlando – è una beffa, un assaggio di quel che avevi, non hai, e non sai se riavrai mai.
Cosa dovevi fare, lasciare accesa la speranza?
Sul momento, quasi a volerti convincere da solo, pensi che la speranza sia per chi non sa agire, per chi rimane a pensare ad un ipotetico futuro credendo che l'oggetto del suo desiderio possa cadere dal cielo dritto nelle sue braccia.
Chi agisce nel vero senso della parola sa già a cosa andrà incontro e cosa invece sarà – od è – costretto a lasciare indietro. Non ha bisogno di sperare.
Tu hai sperato di riuscire ad avere tante cose, in gioventù; non ne hai ottenuta neanche una. Anzi, quel poco che avevi l'hai anche perso.
Nel tuo personale vaso di Pandora la speranza non ha fatto in tempo a volare via, è rimasta nel suo contenitore altrimenti vuoto. Ci hai chiuso anche il cuore, lì dentro.
In ogni caso sei dovuto entrare a patti con l'entusiasmo di Sherman: ha continuato per giorni a prestarti le attenzioni più meticolose, quasi incredulo di fronte agli effetti quasi immediati della nuova pozione appena inventata. Persino Witherington ha sorriso... soddisfatto, e quando si trovava di fronte a te, per giunta, il che è tutto dire.
E beh, il risultato andò oltre le tue nebulose aspettative.
Non molti giorni dopo, infatti, hai riacquistato il possesso del tuo braccio sinistro, del tuo piede sinistro, e della tua gamba sinistra.
Ti hanno tolto una delle flebo per farti ricominciare a mangiare da solo. Poco dopo ti hanno tolto anche l'altra flebo, in quanto le tua analisi erano più che positive, e non c'era più bisogno di Pozioni Rimpolpa Sangue et similia.
Puoi metterti seduto e consumare i tuoi pasti come fanno il Vecchio e L'altro, per esempio, anche se dover fare tutto con la mano sinistra si è rivelato un po' problematico, all'inizio. Hai infatti rifiutato di mangiare molte volte per via della consapevolezza di avere la manualità di un bambino di cinque anni.
Quando hai imparato, ti sei rifiutato per mancanza di appetito.
In effetti ti ritrovi piuttosto smagrito, rispetto all'ultima volta che ti sei guardato in uno specchio, ma il tuo stomaco, con il risveglio del tuo corpo – di metà di esso, per la precisione – pare essersi chiuso irrimediabilmente. Oh, e hai anche la barba.
Per chiudere in bellezza Potter ha continuato a venirti a trovare; non tutti i giorni, ovviamente, altrimenti la cosa sarebbe risultata nauseante anche per lo stesso Potter, oltre che per te, ma perlomeno abbastanza frequentemente, immaginando di trovarti sveglio, prima o poi, durante una delle sue visite.
Tu hai fatto in modo che ciò non avvenisse nemmeno una volta.
Oh, riprovevole, Severus.
Al diavolo l'onore e l'orgoglio. Non volevi – non vuoi – parlare con lui. Non volevi parlare di ciò di cui lui avrebbe voluto parlare, perciò ti sei comportato di conseguenza. Fine della storia.
Una volta si è portato dietro anche la Granger, chissà per quale suo validissimo motivo. Sarebbe dovuto cambiare qualcosa? No, certo che no.
Il Vecchio ha continuato ad ascoltare i suoi amati romanzetti rosa radiofonici e in certi momenti ti è veramente sembrato di ammattire, ma alla fine ti sei talmente assuefatto a quei toni melensi che hai imparato a come non ascoltarli affatto, nonostante il volume anche piuttosto elevato.
L'altro, ad ogni tuo miglioramento clinico, ha presto a guardarti sempre peggio. Evidentemente provava in segreto un sottile e sadico piacere nel vederti in serie difficoltà. Poi, da un giorno all'altro, si è chetato. Non che abbia smessi di fissarti con astio, ma perlomeno è tornato quello che era all'inizio. Forse ha realizzato che, una volta che guarirai completamente, ci potrebbero essere buone probabilità che ti rinchiudano ad Azkaban. Lui c'è stato per chissà quanto tempo, quindi si sentirà soddisfatto, sicuramente, quando un Mangiamorte – uno vero – che ha tenuto costantemente d'occhio prenderà il suo posto vacante.
Magari alla fine ci finirai, ad Azkaban, chissà.
In ogni caso quei miglioramenti tanto repentini ed entusiasmanti ben presto hanno finito con l'arrestarsi: continui a muovere solo il lato sinistro del tuo corpo, mentre quello destro pare fatto di piombo. Sherman ha aumentato ulteriormente la dose della propria mirabolante pozione, ma non è servito praticamente a nulla.
La beffa prosegue fiera di sé. Ti muovi abbastanza autonomamente da poter pensare di fare tutto quanto da solo, ma sei sufficientemente debilitato da non riuscirci, invece.
Il giullare ride.  



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