Capitolo Cinque

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Credevi non avresti dormito affatto, ed invece, quando riapri gli occhi, trovi il sole che filtra tra le fessure degli scuri delle finestre. Non stai pensando a niente, sul momento, d'altronde ti sei appena svegliato, e, perlomeno nei primi secondi, il tuo cervello deve ancora 'connettere', come dicono alcuni in un termine gergale che sa molto di cultura babbana. Da quella posizione noti singoli raggi di sole scontrarsi contro il muro o sul pavimento, e il pulviscolo volare lentamente, galleggiare, quasi, come se non vi sia forza di gravità abbastanza potente da poterlo farlo precipitare. Sarebbe interessante poter essere parte integrante di una nube di pulviscolo: staresti tutto il tempo fermo più o meno nello stesso punto, sospinto da un filo d'aria quasi inesistente, saresti inavvertibile ed ignorato, visibile solo da determinate posizioni e solo con una certa luce.
Curioso come in gioventù hai fatto di tutto per smettere di essere invisibile mentre ora quasi aneli quello status quo ante.
Poi ti rendi conto che stai ragionando su delle sciocchezze, e semplicemente la smetti, segno evidentemente che la tua mente ha finalmente deciso di voler funzionare.
Pensi a cosa sia opportuno fare, a quel punto; meglio alzarsi o rimanere a letto? Al San Mungo non ti ponevi mai il problema, ma ora sei a casa tua, e questo cambia tutto, specie per il fatto che c'è una semi-sconosciuta che vaga per casa tua e che tu, ovviamente, vuoi tenere sott'occhio, onde evitare che lei combini qualche disastro.
Non che le effettive condizioni della bettola in cui ti trovi abbiano mai attirato la tua fugace attenzione, ma quella lì è pur sempre casa tua; se non altro ripara dalla pioggia.
In conclusione, dunque, pare che tu debba per forza alzarti, tra l'altro cercando di far venire da te quella O'Dampand, ovunque lei si trovi, per farti... aiutare. Non riesci neanche a pensarla, una cosa così, senza che la linea delle labbra ti si trasformi in una smorfia.
Ma, prima di questo, il bagno. Hai decisamente bisogno del bagno, anche perché, dopo un'intera notte – se non di più – certi... bisogni fisiologici iniziano a... sentirsi prepotentemente. E di sicuro non ti saresti sgolato per chiamare la tua 'badante' per quello, nossignore.
Hai perso credibilità e rispetto, non perderai anche la tua dignità – o ciò che ti resta di essa.
L'unica soluzione è arrangiarsi con le proprie forze, ed è proprio questo ciò che ti prepari a fare. Chiudi gli occhi un momento, visualizzi nella tua mente tutti i movimenti che dovrai compiere di lì a qualche secondo, e poi ti metti seduto, allora, tirando fuori entrambe le gambe dal letto con l'ausilio della tua mano. Rimani fermo un istante, con gli occhi prima fissi su quella stupida sedia a due ruote, ancora troppo distante dal letto, e poi, di conseguenza, sul pavimento sotto i tuoi piedi. La sera prima – giusto poche ore prima, a dirla tutta, non hai propriamente... camminato; c'è stato un appoggio e poi una semplice torsione del corpo che usava la tua gamba come perno, ma niente di più.
Oh, per la miseria, fa quando ti fai così tanti problemi?
Hai affrontato pericoli in vita tua molto più seri del semplice camminare, del mettere stupidamente un piede davanti all'altro. Sì, uno dei due è fuori uso, ma non vedi quale sia l'enorme difficoltà nel raggiungere quella sedia a ruote che di sicuro non è che sia distante da te delle miglia, ma solo qualche passo.
Così ti alzi in piedi, anche stavolta sostenendo il tuo peso con ciò che hai a disposizione. Mantieni lo sguardo fisso sul tuo obiettivo e poi ti muovi.
Non credevi che il rumore del tuo corpo che si scontra col pavimento potesse essere così sordo e forte allo stesso tempo.
Sei caduto, quindi, andando contro alle tue stesse previsioni, e come se non bastasse hai sbattuto la spalla che pare avere un minimo di sensibilità.
Ti metti seduto a terra con stizza e digrignando i denti, quasi facendoli stridere tra di loro.
Maledetta ed inutile gamba.
Dai una botta alla gamba, con forza, mettendoci in quel gesto tutta l'avvilimento che provi in quel momento.
Non senti alcun tipo di dolore, forse giusto una lieve rimembranza di quello che può essere un certo fastidio, ma nulla di più. Il braccio corrispondente a quella gamba giace inerme accanto alla tua coscia, il palmo della mano rivolto verso l'alto, e tu lo guardi con odio. Tiri su la manica del maglione e sbottoni velocemente il polsino della camicia per poi arrotolarlo su se stesso e scoprire la pelle bianca. I tuoi occhi scorrono sul tuo avambraccio, e subito fai la stessa cosa con le dita, piuttosto che con un inconsistente sguardo. Ti dai un pizzico, e di nuovo non provi alcunché.
Immagini che anche nella migliore delle ipotesi non potrai comunque più preparare nessun tipo di pozione.
In un moto di rabbia affondi le unghie nella carne.
Hai una parte fondamentale del tuo corpo praticamente inutilizzabile, ed è persino la parte... pulita, in un certo senso. Il Marchio Nero non è lì, ed è una beffa anche questa, secondo te.
Il giullare ride ancora.
E tu sei furioso, per questo, così spingi le unghie ancora più a fondo, sempre di più, anche quando vedi sgorgare fuori le prime gocce di sangue.
Ce l'avresti fatto tu, un marchio, lì sopra.
Hai lo sguardo fisso sulle tue dita, tanto che ti rendi conto di non stare neanche sbattendo le palpebre; probabilmente chi ti vedesse penserebbe che tu abbia lo sguardo folle, che tu sia un folle, ma tu sai da te che non è affatto così.
Alla fine lasci libero il tuo braccio, ed un unico, piccolo rivolo di sangue cola da uno dei tagli più profondi, finendo per macchiare il pavimento. Ora guardi il tutto senza espressione, la rabbia sembra essere fluita via anch'essa, lasciando momentaneo spazio all'indifferenza per quello che stai vedendo ma, allo stesso tempo, facendo posto anche ad una sottile vena di soddisfazione per il tuo operato. Sei in contraddizione con te stesso, molto probabilmente, ma i due sentimenti ti stanno invadendo allo stesso modo e senza sovrapporsi l'uno all'altro.
Tutto ciò però viene improvvisamente e per sfortuna interrotto dal rumore della porta che si apre di scatto. Ti volti di scatto anche tu, sopportando di conseguenza una breve fitta al collo, ma non te ne curi; ora tutta la tua attenzione è concentrata su O'Dampand, colei che ha appena aperto la porta: vedi il terrore – anzi, l'orrore – nei suoi occhi. Immagini quale potrebbe essere la sua futura reazione, e non ne sei di certo estasiato, anche se effettivamente ciò che lei pensa del tuo comportamento potrebbe benissimo tenerselo per sé, volendo.
"Che cosa sta facendo?" Esclama, avvicinandosi di corsa a te.
Proprio come avevi appena previsto.
"Che le è saltato in mente?" Prosegue, accucciandosi accanto a te e prendendoti il braccio tra le mani.
Tu la lasci fare. Tanto ormai il 'danno' è fatto.
"A quale delle due domande devo rispondere?" Chiedi invece tu, calmo – o apparentemente calmo – incurvando appena gli angoli della bocca verso l'alto, in un sorriso praticamente di scherno, come se tu reputassi la sua preoccupazione stupida e fuori luogo.
In effetti... è così.
"Non faccia lo spiritoso!" Dice allora lei, rialzandosi in piedi ed andando fuori dalla stanza.
Senti i suoi passi correre veloci giù per le scale, e dopo neanche due minuti te la ritrovi di nuovo davanti. Stavolta ha tra le mani quello che pare disinfettante e delle bende. Se continui così finirai bendato da capo a piedi.
Come prima, la lasci fare, e prima ti passa l'antisettico sui tagli, per poi cominciare a fasciare il tutto.
"Allora, che le è preso?" Ti chiede, ancora intenta nella sua operazione.
"Sono questioni che non la riguardano."
Alza gli occhi su di te. "Beh, dato che sono io che sono dovuta correre quassù... Meno male che ho sentito un rumore. E' caduto dal letto?"
"E' evidente, mi pare, a meno che io non ami passare le giornate sul pavimento, cosa che – le assicuro – non faccio."
Fa una pausa di silenzio, forse nel tentativo di non rimanere infastidita dal tuo commento scocciato.
"Un brutto sogno?"
"No."
"Che stava facendo, allora?"
Troppe domande.
In ogni caso, ti umetti le labbra, prima di rispondere.
"Stavo cercando di raggiungere il bagno."
Lei si sfrega le mani in un gesto automatico di chi ha appena finito il proprio lavoro con una certa soddisfazione, smettendo solo per un momento di guardarti. È stato solo un abbassare prolungato di palpebre, però, nulla di più.
"Credevo che avessimo chiarito sul fatto che sono qui proprio per questo genere di cose. Poteva chiamarmi, signor Piton."
Socchiudi gli occhi riducendoli a due fessure, adirati.
"Signorina O'Dampand." Ribatti, scandendo per bene ogni parola "Lei può dire quello che vuole, e può continuare a farlo anche all'infinito, la cosa non mi tange. Ma deciderò io cosa lei potrà fare a me e con me, è chiaro?"
Di nuovo silenzio.
"Quindi si trascinerà come uno straccio sul pavimento, fino a quando non avrà raggiunto il bagno?"
La guardi male, ancora. È una persona dalla lingua lunga, questo non l'avevi considerato. Evidentemente gestirla risulterà più difficile del previsto.
In ogni caso lei non aspetta neanche che tu le risponda, ma si alza in piedi, afferrandoti subito per un braccio e cercando di tirarti su; completamente da sola non ce la fa – si vede – perciò ti impegni anche tu, onde evitare anche che tu venga trattato ulteriormente come un banale sacco di patate, e presto sei di nuovo seduto su quella dannata sedia damalati.
"Lei mi accompagnerà di là." Dici allora, non trovando effettivamente altre soluzioni plausibili "Mi accompagnerà e basta. Mi porterà accanto al... gabinetto, e poi se ne andrà fuori dai piedi."
Sai di non essere gentile, ma al momento neanche ti preoccupi di fingere di esserlo.
La vedi storcere appena la bocca, sicuramente per il tono che hai appena utilizzato.
"Io l'avrei detto in maniera un po' diversa, ma... Se vuole così, a me va bene."
Perfetto.
"In ogni caso," Dice poi, una volta che esegue quanto da te stabilito, prima che esca dal bagno e che chiuda finalmente la porta "buongiorno, signor Piton."
La guardi con un sopracciglio alzato, senza effettivamente rispondere, e lei, alla fine, se ne va.
Fai quello che devi fare, a quel punto, senza ulteriori indugi – hai già aspettato troppo, per i tuoi gusti – e quando hai finito rimani un momento fermo, senza parlare, senza chiamare la O'Dampand che di sicuro starà aspettando una tua chiamata da dietro la porta.
Vagamente inquietante, a proposito.
Ti guardi allo specchio, e studi il tuo viso, notando come tu stesso ti riconosca a stento: hai un'aria stanca – ti senti stanco, in effetti – decisamente più trascurato del solito, con le occhiaie, con la barba e con l'aria smunta. Non sei mai stato bello, ma effettivamente così lasci proprio a desiderare.
Alla fine, comunque, sei tu che arrivi alla porta, dandole una lieve botta per spalancarla.
Ti ritrovi O'Dampand dalla parte opposta alla tua, appoggiata con la schiena al muro e con le gambe tese in avanti, intenta, a testa bassa, a guardarsi le punte dei piedi, che muove a ritmo di una musica udibile solo per lei, probabilmente.
Ah, beh. Almeno sa come passare il tempo durante i momenti di inerzia.
Alza gli occhi quando la porta finisce di aprirsi.
"Finito?"
"Evidentemente..."
Scendete al piano sottostante, a quel punto; ti fa parecchio strano trovarti davanti – di nuovo – le scale trasformate in quella specie di pedana, ma ormai dovrai farci l'abitudine.
Ti ricordano un po' la faccenda delle scale dei dormitori femminili che si trasformano in scivoli, ad Hogwarts. Silente, allora, sebbene la sua indole a fidarsi di tutto e di tutti – si è fidato persino di te, esempio più lampante non ci può essere – non si fidava dei propri studenti, in realtà.
Oh, ma d'altronde chi è che poteva fare affidamento su quei piccoli mocciosi, sempre pronti ad andare contro le regole, a trovare scappatoie anche nei cavilli più piccoli, a beffarsi dell'autorità e a pensare che tutto sia loro lecito semplicemente per il fatto che esistono? In effetti, se erano pronti a vagare di notte nel castello andando, peraltro, dove era stato espressamente vietato loro andare, come, per esempio, addirittura nella Foresta Proibita, non dovresti sorprenderti che un tempo abbiano quantomeno provato ad intrufolarsi nei dormitori femminili, per chissà quali impellenti motivi. Cosa che quindi ha portato Albus ad agire in determinati modo. Ne sapeva sempre una in più di Merlino, lui.
"Dunque." Fa poi lei, una volta che arrivate al centro del salotto "Vuole qualcosa di particolare per colazione?"
Le tende sono aperte, e non c'è più bisogno delle candele; alcuni libri che prima erano poggiati per terra li ritrovi riposti in libreria, quando li cerchi con gli occhi, e sul camino non c'è più quel tappeto di polvere grigia.
"Non ho fame." E' la tua risposta "Ma comunque non credo che troverà qualcosa di... commestibile, qui dentro."
Lei arriccia le labbra, pensierosa.
"Beh, sì, in effetti lei è mancato per parecchio tempo, quindi è comprensibile."
"Appunto."
"Possiamo andare a prendere qualcosa fuori. Ci sarà pure uno Starbucks, da queste parti."
"Un cosa?"
"Oh, intendevo... una caffetteria."
La guardi per un momento di sbieco, prima di risponderle.
"Non ho mai esplorato la giungla qui intorno, e neanche ne ho mai sentita la necessità, ma suppongo che sia possibile trovare qualcosa di quello che potrebbe cercare lei."
"Oh, bene, allora."
A quel punto lei si avvicina nuovamente a te, probabilmente pensando che tu voglia uscire insieme a lei.
Ah, che ingenua.
"Io non vengo, ovviamente; pensavo fosse sottinteso, questo."
"Perché mai?"
Incurvi un angolo delle labbra quasi autonomamente.
"Presumo che il professor Sherman voglia che io stia a riposo."
Lei incrocia le braccia al petto.
"Ah, adesso vuole seguire le istruzioni del professor Sherman?"
Non cambi espressione, e dalla sua traspare la comprensione che difficilmente cambierai idea.
Stimolante, però, la sua osservazione. Potresti anche aprire un dibattito, ma come è giusto che sia te ne astieni.
"Vada, se ha fame." Dici allora "Di sicuro non scapperò né tenterò di amputarmi qualche arto da solo... Non che cambierebbe qualcosa, ma credo proprio che ciò non le interessi."
Non risponde, sul momento, così continui.
"Esca, o mi faranno un mucchio di domande, se per caso dovessi averla sulla coscienza."
Lei abbozza un sorriso che di sicuro risulterebbe a chiunque abbastanza di circostanza.
"Va bene," Decide poi "vado a comprare qualcosa che riempia sia frigorifero che dispensa, visto che ci sono. Il costo della spesa lo divideremo a metà tra di noi."
Annuisci, pregustando già il momento in cui ti lascerà in pace.
"... Tanto mi sa proprio che non potrei fare o dire nulla che possa convincerla a cambiare i suoi piani. Se c'è qualcosa che ho capito di lei, è che è piuttosto testardo."
"Sorprendente, O'Dampand..." Commenti, sarcastico.
"Ci conosciamo da poche ore, poi. Non mi sottovaluti, signor Piton."
Non annuisci né rispondi, semplicemente inarchi un sopracciglio, fissandola senza espressione.
"Okay, uh,... Allora vado."
Afferra quello che pare un giacchetto ed una borsa, appesi al tuo attaccapanni.
Dopodiché ti guarda nuovamente.
"Mi promette che non farà nulla di... avventato?"
Sbuffi.
"Sono dotato ancora di un po' di razionalità, grazie."
"Ne è proprio convinto?"
Non sei sicuro se stia parlando dei gesti avventati o del tuo raziocinio.
"Vada. Immagini, per un momento, di sapere che la frustrazione, nei suoi picchi più alti, possa far compiere alcuni inconsueti gesti. Ora, però, mi pare di averle detto di non crearsi inutili preoccupazioni, quindi agisca."
Ti getta un'ultima occhiata, evidentemente provando ancora un po' di indecisione, ma alla fine si dirige alla porta ed esce. E ovviamente non risponde alla tua provocazione
Ora sei davvero solo, la prima volta dopo giorni.
Non è come di notte, che sei costantemente accompagnato dai tuoi fantasmi; ora sei veramente solo e, come pensavi, la cosa non ti disturba. D'altronde non sei mai stato abituato ad avere altre persone intorno a te – persone di cui non hai specificatamente richiesto tu la compagnia – quindi il silenzio che ora hai intorno non ti infastidisce.
L'abitudine, in effetti, rende sopportabile quasi tutto.
Nel frattempo che O'Dampand ritorni non ti impegni nel compiere chissà quale attività; non hai proprio voglia, in effetti, di renderti ulteriormente ridicolo a te stesso.
Ti allunghi appena per afferrare il primo libro che hai ad altezza d'occhio, e lo apri, poggiandolo sulle tue gambe.
Nel giro di qualche minuto ti rendi conto di come sia fastidioso dover cercare di non far scivolare il libro dalle gambe, mentre nel contempo cerchi di girare pagina. Finisci per gettarlo con noncuranza sulla poltrona, sbuffando.
Non vedevi l'ora che lei se ne andasse e ora, addirittura, ti annoi.
E' ridicolo.
Poi, improvvisamente, quasi ti sembra di sentire in lontananza l'eco della melensa radio del Vecchio, al San Mungo, e sussulti. Ti guardi appena intorno, ma quel suono sparisce tanto velocemente quanto era arrivato.
La smorfia sul tuo viso si accentua di più.
Poi, proprio in quel momento, bussano alla porta.
Inarchi un sopracciglio sebbene non ci sia nessuno ad infastidirsi per la tua espressione.
Evidentemente O'Dampand non si era ricordata di prendere le chiavi, e di sicuro questo non va a suo favore, dato che in questo modo fa la figura dell'incapace: prima dice che penserà a tutto lei, facendoti quasi saltare i nervi, e adesso ti costringe ad arrivare fino alla porta.
"Oh, questo non è assolutamente professionale." Dici tra te e te.
Senti nuovamente bussare alla porta, piano.
"Un attimo." Rispondi, allora, leggermente alterato.
Ciò che ti sorprende, però, è che odi provenire dall'altra parte della porta un distinguibile bisbiglio, cosa che – almeno questo – non puoi di certo imputare ad O'Dampand. Quindi c'è qualcun altro, fuori. E probabilmente sono più di uno.
Inizi ad avvicinarti alla porta, a che punto, piuttosto lentamente. Anzi, forse sarebbe meglio andare prima a sbirciare dalla finestra l'identità dei tuoi inaspettati visitatori, da bravo scorbutico di quartiere.
Arrivi più o meno a metà strada, però, che dall'altra parte della porta stavolta ti arriva il rumore di un concitato, seppur ridotto, scalpiccio.
"Ehi! E voi che fate qui?"
Questa è decisamente la voce di O'Dampand, che, a quanto pare, mette persino in fuga i tuoi visitatori, dato che ti giunge chiaro e forte alle orecchie uno strilletto e poi dei veloci passi che si allontanano.
Un attimo dopo la porta si apre, e la tua badante entra in casa.
"Cosa è successo?" Chiedi immediatamente.
Lei si stringe appena nelle spalle.
Ha in mano una scatola rosa e nulla di più.
"Bambini." Spiega con semplicemente.
Tu, invece, di tutta risposta, ghigni.
"Avranno visto le tende aperte e ne avranno dedotto che il mostro è tornato; con molta probabilità avranno voluto sincerarsene di persona."
"E invece hanno incontrato me."
Il ghigno ti si trasforma in una smorfia.
Immagini già i pettegolezzi.
"Non è molto amato, da queste parti?"
Lei nel frattempo se ne va in cucina, e, prima di soddisfare quella sua tediosa domanda, la raggiungi, in modo da osservarla. Ci metti giusto un po' di tempo.
"Non sono amato da nessuna parte, signorina O'Dampand."
La ragazza si sta togliendo delle buste minuscole dalle tasche – la spesa, ovviamente – del suo giacchetto, per poi posarle sul tavolo ed ingrandirle con la propria bacchetta.
Dopo che comunque pronunci quelle parole, lei subito si volta prontamente verso di te.
"Non mi guardi in quel modo. Mai." Dici, e senza attendere oltre te ne torni al centro del salotto.
Possibile che tutti pensino che per far stare meglio una persona basti guardarla con compassione? Questo serve solo a denigrarti, nel tuo caso, non a farti sentire meglio.
Ma poca gente lo capisce, evidentemente.
Rimani in salotto, allora, con sguardo cupo.
L'improvvisa predisposizione a voler avere una sorta di dialogo con quella guaritrice – tanto per far passare i momenti morti, si intende – è sparito con talmente tanta facilita che ti chiedi se in effetti tu l'abbia mai veramente avuta.
Continui a rimuginare su pensieri ormai fin troppo consuetudinari, quando vedi due gambe fermarsi di fronte a te. Sei a capo chino, e alzi gli occhi per guardare O'Dampand, domandandoti, nel frattempo, cosa diamine voglia, ancora. Le lanci un'occhiata sbieca.
In mano ha di nuovo quella scatola rosa, anche se aperta, stavolta, e la tiene tra le mani come se te ne stia offrendo il contenuto. Esso consiste in ciambelle, in pratica; tutte più o meno della stessa misura, colorate, glassate, ed alcune con sopra anche delle sottospecie di zuccherini a fantasia multipla.
Probabilmente ti verranno delle carie solo se continuerai a fissarle troppo a lungo.
"Ne prenda una." Ti dice lei "O anche di più, se vuole."
Ti fa un sorriso.
Oh, è estremamente irritante, questo suo comportamento.
"Le ho già detto che non ho fame."
"Ne è sicuro?"
"Si sta prendendo gioco di me o cosa?"
"No, le sto semplicemente offrendo la colazione."
E ti fa un altro sorriso.
Non demorde, lei, e continua ad insistere nei suoi buonismi. La costanza di solito è una caratteristica che finisci con l'apprezzare, ma in mosti casi – come questo, a tuo parere... perseverare diabolicum est.
E tu ne sai parecchio, a riguardo, giusto?
In ogni caso la guardi negli occhi con espressione risoluta, e lei finalmente capisce che è ora di rinunciare.
Chissà quanto ci metterà, prima di capire che potrebbe desistere su tutto, quando si tratta di te.

Anche stavolta, sebbene l'ambientazione sia cambiata, l'unico scopo della giornata sembra far passare il tempo il più velocemente possibile.
Sei seduto sul divano, con la testa appoggiata allo schienale, le mani in grembo, e gli occhi che vagano per la stanza senza soffermarsi su nulla in particolare.
A pensarci, quando eri al San Mungo, ti riusciva facile rimanere a fissare anche soltanto il muro, mentre ora non ci riesci un granché. Evidentemente il cambio di sede ha comunque sortito alcuni effetti.
Oh, sì che ne ha avute, di conseguenze, non c'è neanche da chiederlo.
Improvvisamente ti viene la curiosità di sapere chi stia occupando il tuo letto al San Mungo, in questo momento, dato che ti hanno sbattuto fuori proprio per far posto a malati più gravi di te. Una decisione che tutt'ora non condividi per niente, ma nessuno – a parte te stesso – sembra pensarla allo stesso modo.
Al momento stai guardando una macchia di umidità sul soffitto, ma poi sposti gli occhi sulla carta da parati sbiadita. Non sai, esattamente, se sia stato tuo padre o tua madre a scegliere quella carta da parati. Guardandola, è piuttosto semplice: sul marrone chiaro, con delle strisce verticali leggermente più scure abbastanza distanti l'una dall'altra. Forse, data proprio la monotonia di quella fantasia, sarà stato tuo padre, a scegliere; ma neanche tua madre era mai stata una donna da oggettistica a fiori e dai colori sgargianti, dopotutto.
La tua vita è sempre stata priva di colori accesi, perciò, sotto questo punto di vista, è stato più che automatico, per te, adeguarti ad una regola simile. Non è una sorpresa che il tuo guardaroba sia perlopiù tendente al nero, dunque.
Sì, beh... Per qualche tempo, a dire il vero, nella tua vita ha fatto capolino un po' di rosso, e ci aveva pensato lui a portare quella luminosità che mancava alle tue giornate. Ti piaceva, quel rosso.
Alla fine, però, è sbiadito anche lui. Proprio come la carta da parati che hai davanti agli occhi.
Poi un rumore ti distrae, in ogni caso, causato da colei che il tuo trasferimento dal San Mungo ha comportato.
Senti O'Dampand scendere quelle che un tempo erano scale, prima che te la ritrovi davanti. Si siede stancamente sulla tua poltrona, lei.
"Ha concluso l'opera?" Chiedi.
"Sì, non c'è poi voluto molto, no?"
Ti stringi nelle spalle.
O'Dampand si era infatti assentata per circa un'ora – non che tu ti sia disperato per questo, anzi – per svuotare la propria valigia. Ovviamente si è stabilita nella tua vecchia camera, e tutto ciò ha solo contribuito a farti ulteriormente capire che lei davvero ha intenzione di rimanere lì, da te. Per qualche momento hai anche pensato di comportarti in modo talmente pessimo – non che tu sia la compagnia ideale già di tuo, comunque – che lei sarebbe stata praticamente costretta ad andarsene per evitare il sopraggiungere di un attacco isterico o, nella migliore delle ipotesi, di un esaurimento nervoso. Poi hai giustamente pensato che, anche nel qual caso lei fuggisse più o meno letteralmente da casa tua, subito sarebbe subentrato qualcun altro per prendere il suo posto, e tu di sicuro non avresti avuto la pazienza necessaria per imparare a sopportare l'ennesimo guaritore, con annessi e connessi il suo carattere, i suoi modi di fare, la sua costante ed imperitura presenza.
Perciò ti sei detto, tutto sommato, di fare questo sforzo, e che, alla fine, ti sarebbe anche convenuto.
Ma questo di certo non voleva dire che avresti reso vita facile alla tua badante, ovvio.
"Spero non abbia combinato danni." Le dici, in ogni caso.
Lei apre gli occhi momentaneamente chiusi e volta il capo verso di te.
"Non che ci fosse molto, da mettere in disordine." Ti fa notare.
"Ho uno stile di vita piuttosto... spartano."
"Beh, è scapolo."
Inarchi un sopracciglio.
"E questo che cosa c'entrerebbe?"
Lei risponde solo dopo qualche secondo, forse perché in quella frazione di tempo ha ponderato se tornare o meno sui propri passi. Poi, appunto, invece, risponde.
"Volevo solo dire che si nota il fatto che non vi sia il tocco di una mano femminile, in casa sua." Dice diplomatica.
"Come se poi ce ne fosse tutto questo gran bisogno..."
Lei si stringe nelle spalle, e la discussione cade. Così come, poi, si conclude brevemente ogni sporadica conversazione che durante quella giornata nasce quasi per caso, come se ci fosse il bisogno – da parte sua, naturalmente – di dire qualcosa, qualsiasi cosa, per forza, anche solo un commento sul tempo.
Ha già collezionato una folta seria di tuoi consecutivi ed auto-concludenti 'Mmh'.
L'essere umano non riesce veramente a stare zitto. Nemmeno quando non c'è più nessuno ad ascoltarlo. Anche Albus diceva spesso di essere solito parlare da solo. Pare quasi che l'uomo rischi di morire, se non parla, parla, parla. Tu di sicuro non rientri in una tale categoria di... chiacchieroni; forse non sei neanche umano.
Oh, non che O'Dampand ti rintroni costantemente con il proprio blaterare, anzi, è piuttosto silenziosa, ma spesso – appunto – non resiste più al silenzio che si abbatte su di voi, quasi fosse nebbia, e dice quella che pare la prima cosa che le sia venuta in mente.
"Quando ero più piccola, avevo paura delle lucertole." Se n'era per esempio uscita ad un certo punto, nel bel mezzo del pomeriggio.
Tu non l'hai neanche guardata.
Alla fine è arrivata la sera, hai mandato giù qualcosa di commestibile di cui neanche sapevi l'esistenza – in un quantitativo decisamente minimo – e poi sei voluto andare a letto; O'Dampand ha acconsentito immediatamente.
Come quella stessa mattina ti ha lasciato in bagno; ti sei spogliato e poi ti sei preparato per la notte in completa autonomia, cosa che hai provveduto a ribadire di voler fare sempre e comunque, in ogni occasione, tutti i giorni.
Forse O'Dampand ha capito come poterti prendere, perché stavolta non ha fatto quasi nessuna storia.
Meglio così, un fastidioso ed imbarazzante problema di meno.
Prima di sdraiarti sul letto lei ti dà le tue solite pozioni e, una volta steso, provvede lei stessa a disfarti le bende sul collo per poterti medicare la ferita. Così comincia gentilmente a sciogliere tutta quell'infinita fasciatura, finché non viene via del tutto.
Quello che non ti saresti aspettato, a quel punto, è il suo sguardo.
Non appena posa gli occhi sulla tua pelle quelli le si sgranano, e le labbra le si socchiudono appena. No, non è sorpresa. Conosceva la situazione ancora rima che vi incontraste per la prima volta. Il suo è disgusto.
Non gliene fai una colpa, d'altronde non sei tu che la ripugni – dovrebbe? – ma solo una parte di te, qualcosa che un altro ti ha inferto a tradimento.
Continui a fissarla, e lei, ignara, finalmente smette di guardarti, e si accinge ad indossare un guanto antibatterico alla mano destra, con la quale, quindi, ti avrebbe messo la pomata. Prende il barattolo, allora, e lo apre, svitando con un rumore cigolante il tappo rotondo.
"Me la faccia vedere."
Lei si ferma con la mano che tiene il tappo ancora a mezz'aria.
"Come?"
"Voglio guardarmi il collo."
"Ma non penso..."
Si blocca senza che tu né dica niente né che la guardi in maniera particolare. Forse sta semplicemente iniziando a capire che non cambi idea molto facilmente.
"Ho uno specchio, di là. Se aspetta un attimo lo vado a prendere."
Oh, di tempo, di sicuro, ne hai parecchio.
Comunque lei si alza, chiude nuovamente il barattolo ed esce dalla stanza. Muovendosi crea uno spostamento d'aria che ti va a sfiorare la ferita. Sebbene l'aria sia stata veramente poca, ti senti rabbrividire sin dentro le ossa. La ragazza torna dopo solo un paio di minuti, e, effettivamente, ha uno specchio di piccole dimensioni, in mano. Si riposiziona lì dove si era messa poco prima.
"Ne è sempre sicuro, sì?"
"Ovviamente."
E allora muove lo specchio in modo che tu possa guardarti. All'inizio però vedi solo il tuo mento, così le dici di spostare lo specchio un po' più in basso.
Quando lei lo fa, tu rabbrividisci di nuovo, ma stavolta non è a causa di un altro spostamento d'aria.
Ciò che Nagini ti ha procurato ti lascerà il segno finché vivrai, di questo puoi esserne certo; lo sfregio che ti ritrovi non ha una conformazione particolare: ti ricorda la sagoma di un neurone che hai visto una volta su un libro babbano. Peccato che non sia la forma, ciò che più balza all'occhio: è tutta... scura, piena di sangue rappreso, e solo una parte di essa si è rimarginata. Ecco perché ti fa così male, durante la medicazione; c'è ancora la carne viva, lì sotto. In più, per concludere il tutto, la superficie sembra stranamente... lucida, un effetto dato con molta probabilità da del disgustoso e giallognolo pus che ora, alla mera luce della candela, non riesci pienamente a scorgere. Non ne fai un dramma, giustamente.
"Va bene così." Dici allora, e O'Dampand toglie lo specchio, posandolo sul comodino.
Ciononostante è come se l'immagine dello stato in cui si trova il tuo collo sia ancora davanti ai tuoi occhi, tanto è vivida nella tua mente.
O'Dampand non sta dicendo niente, te ne accorgi solo adesso, e dal suo viso non traspare alcuna voglia né necessità di commentare la faccenda. Semplicemente, a quel punto, riapre il barattolo e, dopo riessersi messa quel guanto di plastica bianca, prende della crema, appena un po', ed inizia a spalmartela sulla ferita. Lo fa delicatamente, ma tu stringi la mascella lo stesso, irrigidendoti appena. L'espressione di lei è concentrata, i suoi occhi sono fissi su quanto sta facendo, e la piega delle sue labbra è semplicemente piatta. Sorridere non avrebbe portato giovamento a nessuno. Senti le sue dita tamponarti il collo, ed ogni tocco è un bruciore in più.
Dopo non più di qualche minuto, però, l'opera si conclude, e il barattolo viene richiuso e riposto nuovamente nella sua borsa. Il contatto con le bende non è che sia un vero e proprio sollievo, ma perlomeno, in quel momento, smetti di infilzarti il palmo della mano con le tue stesse le unghie.
"Fatto." E' la prima cosa che dice lei, e tu le fai giusto uno stentato cenno d'assenso, tanto per farle sapere di aver capito.

Passano alcuni giorni, ma la situazione non è cambiata. Sei ancora – e sempre lo sarai – sull'attenti, nel controllare O'Dampand in modo che non faccia nessuna mossa azzardata e nessun passo falso. Tali categorie di azioni, per te, racchiudono le attività comportamentali più disparate, perciò lei ha molto, su cui stare attenta.
Quella mattina sei riuscito finalmente a farti un bagno caldo, prestando molta attenzione. Non credevi di avere così tante costole, o che fossero così visibili, poi. Quando poi esci dal bagno non trovi lì O'Dampand, pronta ad attenderti, e provi un certo disappunto, a riguardo.
Strano, il disappunto. All'inizio ti era venuto proprio perché consideri la sua presenza troppo asfissiante, e ora è il contrario. Bah.
Poi la senti parlare, ma al piano inferiore, e di sicuro non con te.
"Non mi ha parlato di vecchi amici..." Sta dicendo... a chi?
Nel frattempo, tu ti avvicini lentamente alle 'scale'.
"Sì, immagino." Una voce maschile risponde "Avrà notato che è una persona piuttosto scostante."
"E poi siamo vecchi amici," Continua un'altra voce, stavolta femminile "per cui è probabile che non siamo tra i suoi primi pensieri." Un sospiro "Me ne rammarico un po', in effetti."
"Certo che non siete tra i suoi primi pensieri." Ribatte O'Dampand "Il fatto che stia male ha un po' la priorità, non credete?"
Vi è una pausa, e tu ormai sei giunto alla rampa. La porta camuffata da libreria è accostata, ma da una fessura, seppur piccola, riesci ad intravedere l'interno del tuo salotto, in particolare il divano sul quale, a quanto pare, vi è seduta la donna che dice di essere una tua vecchia amica. Riesci solo ad intravederne i capelli castani che le ricadono sulle spalle.
"Oh, sta tanto male?" Chiede la donna castana, con un tono di voce talmente finto da far quasi ridere. Allo stesso tempo, però, pare... interessata.
A questa sua sentita domanda, comunque, segue una pausa.
"Perché siete venuti proprio adesso, se non lo vedete da così tanto?"
"O'Dampand!" Stavolta sei tu, che parli, interrompendo quel patetico siparietto che è durato fin troppo.
Non appena, però, annunci, così indirettamente, la tua presenza, la luce che filtra dalla fessura che dà sul salotto si oscura, solo perché l'uomo presente nella stanza si è interposto al sole per guardarti. L'unica cosa che pare brillare è il suo stupido sorriso smaltato. Non fai in tempo a dire niente che lui, allora, spalanca la porta con una mano, sempre con quell'espressione sulla faccia e con persino un luccichio negli occhi che già sai provvederai a far scomparire nel giro di qualche secondo.
"Oh, Sever--"
"Fuori da casa mia."
La donna castana, nel suo tailleur grigio scuro, si è alzata in piedi, ed ora si gira verso O'Dampand.
"Non ci riconosce. Ha subito uno shock, quindi è sinceramente scusa--"
"Fuori."
Ripeti, guardandoli dal basso.
"Sentite, forse fareste meglio ad uscire..." Spiega O'Dampand, ma tu interrompi anche lei.
"Prima soprattutto che io perda la pazienza. Ed io non sono un tipo paziente."
Assottigli lo sguardo, e vedi i loro sorrisi cominciare a vacillare.
"Vi conviene andare via, signori." Riprende O'Dampand "Non penso sia... il momento più opportuno."
"Non ci sarà mai un momento opportuno. E adesso, di grazia..."
"Oh, andiamo, Piton." L'uomo ora ti guarda praticamente impaziente. E anche seccato "Si tratterebbe soltanto di qualche doman--"
"Ho detto fuori!" Esclami ad un tono decisamente più alto, con la voce che ti si fa addirittura più rauca, e la donna fa istintivamente un passo indietro, dando una botta al divano, peraltro.
"Sì, andiamo." Fa proprio lei, rivolta al suo compare "Craig, forse dovremmo andare..."
"Sì. Dovreste."
L'uomo fa una smorfia, prima di voltarsi verso la porta e di lanciarle un'occhiata. Dopodiché entrambi vanno velocemente proprio verso la porta, ed escono senza dire neanche una parola.
Alla fine ci sei riuscito, a togliere quel luccichio dai suoi occhi.
Non appena la porta si richiude, O'Dampand va alla finestra e guarda fuori.
"Si sono appena smaterializzati." Dice, e poi fa un momento di pausa "Avevano detto di essere suoi amici..."
"Erano giornalisti, O'Dampand, e l'hanno raggirata come fosse una bambina. Non faccia più entrare nessuno se non è stato espressamente invitato, chiaro?"
Si volta. "Sì, va bene. Scusi. In effetti avrei dovuto chiedere."
"Esatto."
A quel punto lei ti raggiunge, e ti fa scendere in salotto, posizionandoti – ti verrebbe da dire 'parcheggiandoti' – accanto alla poltrona, di modo che tu possa sederti su di essa, alzandoti appena, in autonomia, mentre lei si dirige in cucina.
"Io mi stavo facendo una tazza di tè. Ne vuole?"
"Mmh. Sì."
"Biscotti?"
"No, solo tè."
Per qualche momento ciò che si ode è solo il rumore dell'ondeggiare del pendolo.
"Signor Piton, posso farle una domanda?"
"Questa è già una domanda."
Il suo busto sbuca fuori dalla cucina, lanciandoti un'occhiata veloce.
"Perché non ha voluto parlare con loro?"
"Prego?"
"Con i giornalisti. Okay, lo so che si sono presentati senza che nessuno li abbia chiamati, però..."
"O'Dampand, la pianti immediatamente con tali discorsi, o farà danni."
Prima che lei risponda la vedi tornare con due tazze di tè nelle mani, e te ne porge una, che afferri saldamente, prima che lei si sieda sul divano.
"Pensavo solo..."
"Non pensi." Dici, ma lei pare far finta di non aver sentito affatto.
"...Che domande avrebbero potuto farle, in caso?"
Dai un sorso al tuo tè, prima di dire qualsiasi cosa.
"Non ha mai sentito parlare di me, O'Dampand?"
Impossibile che lei sia così totalmente fuori dal mondo.
"Oh, sì che ho sentito parlare di lei." Dice, con fin troppa tranquillità.
"E..."
Ti interessa, per caso? Tanto otterrai solo ulteriori parole intrise di veleno.
In ogni caso lei si stringe appena nelle spalle, invece. "Preferisco conoscerla da me, una persona, prima di esprimere un qualsiasi tipo di giudizio."
"Mmh."
"Se proprio ci tiene, alla fine glielo riferirò."
Fa un lieve sorriso che tu non ricambi, mentre, tu assumi un'espressione, invece, piuttosto pensierosa.
"La cosa non rientra propriamente tra i miei interessi." Dici infine, freddo.
Stavolta è lei che non risponde, così finisci per distogliere tutta l'attenzione dalla tua interlocutrice, concentrandoti piuttosto sul tuo tè.
No, di sicuro non è fuori dal mondo, magari lo conosce persino più di quanto sembri, ma non può sul serio ignorare ciò che ha sentito su di te. Nessuno lo farebbe, nessuno ne sarebbe capace, nessuno sarebbe così... non assennato.
Ti ha praticamente appena detto che vuole conoscerti. Se davvero è interessata ad intraprendere una tale strada, finirà col fuggire via. Ci sono cose che non possono essere ignorate.
Beh, che fugga, allora, l'hanno fatto in tanti, lei sarà solo una tacchetta in più sul bastone delle persone che hai incontrato e che poi hai imparato a dimenticare.
Ma tanto lei è solo una conoscente di passaggio, non ne risentirete né tu e né lei.
Vuole conoscerti? Ci provi. Tu non vuoi conoscere lei, peraltro, ed è difficile confrontarsi ed essere amichevoli, quando si ha davanti un muro di pietra.





Angolo Autrice:

Salve a tutti! :D Spero il capitolo vi sia piaciuto! Let me know!
Alla prossima :)


ConvalescenzaWhere stories live. Discover now