Capitolo Quattro

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Sei ancora lì, al San Mungo, nella tua stanza bianca, seduto sul tuo letto con la schiena sorretta dai cuscini. Hai ricominciato a passare il tempo fissando le cose, ed ora è la ringhiera di ferro ai piedi del tuo letto ad attirare la tua attenzione, in particolare un piccolo graffio, su di essa, che chissà chi ha causato, e chissà come. Non ti sorprenderesti se il responsabile fosse il solito tirocinante o assistente di Sherman. O quel che è.
Poi la porta si apre, e tu già sai chi ti troverai davanti.
L'orario delle visite è terminato da un po', perciò non pensi possa trattarsi di Potter; per questo non ti scomponi. È Sherman, come immaginavi, ed insieme a lui c'è, stranamente, Witherington. Non è l'ora della pozione o della medicazione della ferita, e non ti avevano detto che quel giorno avresti dovuto fare altre analisi; e dubiti che vogliano semplicemente fare quattro chiacchiere con te. Per questo ti limiti a studiarli con aria perplessa.
Witherington rimane impassibile come suo solito – per un certo verso, credi che ti somigli – mentre da Sherman, invece, traspare una certa... agitazione.
La noti dal modo in cui arriccia le sue sopracciglia folte verso l'alto, dal modo in cui continua inutilmente a sistemare il cartellino col suo nome attaccato alla perfezione sul suo camice.
No, non è agitazione, invece. È... rassegnazione.
Ma quando è successo a te, tanto tempo prima, sei sicuro di non avere avuto quella faccia.
"Cosa c'è?" Chiedi.
Che qualcuno si degni di parlare, almeno.
Sherman guarda per un momento il suo collega, e gli fa subito segno di prendere la parola.
"Signor Piton." Dice finalmente "Mi spiace informarla che questo sarà l'ultimo giorno che passerà al San Mungo."
Inarchi un sopracciglio. "Come, scusi?"
"Disposizioni della Direzione." Spiega allora lui "Hanno deciso di liberare i posti dei pazienti che si sono ristabiliti in favore di eventuali altri malati gravi. La guerra ha portato con sé anche questo. Arrivano feriti ogni giorno e non sappiamo più--"
"Ristabiliti?" Lo interrompi, però, tu "Io vi sembro ristabilito?"
È una follia.
"No! Ovviamente no." Si affretta ad aggiungere Sherman "Solo che... La situazione è stabile, per il momento, c'è poco da fare. Non sta dando più quei segni di... cambiamento, perciò, almeno per ora, non c'è bisogno di tenerla... continuamente sotto osservazione. E non c'è neanche il pericolo che lei peggiori improvvisamente, gliel'assicuro."
Tu continui a guardarlo con sguardo sempre più scettico, sin dall'inizio di quella fastidiosa conversazione.
"E quindi, secondo quella mente suprema che è la vostra Direzione, io dovrei far cosa? Andarmene a basta?"
Una soluzione abilmente studiata. Si vede. Sei quasi commosso.
"Oh, non la lasceremo di certo da solo. Si tratta solo... di un cambio di sede, ecco. Avrà comunque tutta l'assistenza di cui ha bisogno, signor Piton."
"E quale sarebbe questa... sede in cui dovrei andare, dunque?"
"Beh, casa sua, in effetti."
La tua espressione, stavolta, si incupisce in maniera decisamente preoccupante.

Il tuo trasferimento è stato programmato per la notte inoltrata.
Sherman ha giustificato l'orario da nottambuli dicendo che in questo modo avreste avuto meno problemi, riuscendo, per esempio, ad evitare la massa di giornalisti che, ogni giorno, vengono chiusi fuori dal cancello principale del San Mungo.
Nella notte ne rimane solo qualcuno, perseverante, che fa avanti e indietro, con le mani nelle tasche, ad osservare la nuvola di alito addensato che gli esce fuori dalla bocca per il freddo. Che cosa stia facendo, lì fuori, non se lo spiega neanche Sherman, ma fatto sta che sarà facile – dice – evitare tali individui. Evitati loro, evitati i problemi, dice.
Dopo cena – cena che non hai consumato, ma sono dettagli – ti hanno riportato i tuoi amati vestiti. O meglio, quelli che credevi che fossero i tuoi vestiti, quelli con cui ti hanno portato lì. Quando hai visto il tirocinante entrare con quel mucchio di abiti scuri hai subito pensato che fossero i tuoi, puliti e rimessi più o meno a nuovo. Invece non erano altro che dei comuni vestiti babbani.
Neri, ma sempre e comunque vestiti babbani. Non i tuoi, comunque.
Indossi quindi dei vestiti non tuoi, presumi che neanche siano stati comprati per l'occasione, quindi è più che probabile che li abbiano rimediati prendendoli a qualcun altro, chiunque sia; o fosse.
In ogni caso, li indossi borbottando, ma la tua protesta finisce lì, specie quando noti che avresti ben altro di cui protestare, per esempio riguardo la sedia a rotelle su cui ti sistemano.
Nessuno parla per tutto il tempo che ti serve per prepararti, né Sherman, né il tirocinante Bruce, né Witherington; evidentemente hanno afferrato che potresti sputargli addosso da un momento all'altro, tanto sei scuro in volto.
Sherman ha detto che ti accompagnerà solo Witherington fino a Spinner's End, a casa tua, e passa qualche minuto prima che lasci quella che fino a quel momento è stata la tua stanza; guardi il Vecchio e L'altro, entrambi a letto a dormire per via della tarda ora. Pensi che probabilmente sarà difficile che rivedrai uno dei due, dato che, anche nel qual caso dovessi tornare al San Mungo per altre analisi o controlli, difficilmente entreresti comunque in quella stanza. E tu non li hai neanche salutati, prima che si addormentassero.
Oh, da quando questi pensieri insulsi?
Non ti stanno neanche simpatici, hai inveito prima mentalmente e poi verbalmente nei loro confronti, non hai mai avuto una conversazione decente con loro, e, quando ci hai provato, te ne sei pentito.
Il giorno prima, infatti, hai guardato il Vecchio, per un momento, e l'hai chiamato.
"Signor Evans."
Lui si è girato subito verso di te, in attesa.
"Conosceva una certa Lily Evans?"
Domanda stupida, dato che avevi già appurato da tempo che lei non c'entrasse nulla con la famiglia del Vecchio, ma ti era uscita dalle labbra prima che tu potessi fermarla.
Lui, in ogni caso, ti ha guardato senza capire.
"Chi è, una delle tue vittime?" Si era, allora, intromesso L'altro.
Non l'hai mai guardato così male. E, se avessi potuto, lo avresti guardato peggio.
Il bello è che per un momento hai pensato che la sua frase fosse più che giusta.
No, non ti dispiace particolarmente lasciare quella stanza.
Witherington non parla, mentre uscite da una porta secondaria, e tu di certo non intavoli un'improvvisa conversazione sul più e sul meno; passando intorno all'edificio, noti, effettivamente, decisamente in lontananza, un uomo seduto su una panchina, poco distante, ed un altro un po' più lontano, che cammina in tondo, guardando, di tanto in tanto, verso gli ultimi piani del San Mungo. Non puoi certo dire che quelli siano dei giornalisti, ma da quanto ti hanno raccontato è molto probabile che lo siano; in ogni caso, tu non riesci a vedere i loro visi, a causa della notte, e loro non riescono a scorgere i lineamenti del tuo, così passi indisturbato, guidato dal silenzioso Witherington, senza che nessuno vi infastidisca con le sue inutili chiacchiere. Se pensi a cosa potrebbe chiederti un eventuale intervistatore, allora sì che preferisci la silenziosità del tuo... accompagnatore.
Ti senti improvvisamente vecchio, pensando all'immagine che devi trasmettere in quel preciso momento: un malato spinto in carrozzina da un medico. Effettivamente è così, e il fatto che tu ti renda conto che devi accettarlo e basta è... frustrante. Debilitante.
Vi appartate in un angolo, lontano da quei pochi occhi indiscreti, e Witherington ti poggia una mano sulla spalla, prima di smaterializzarsi.
Spinner's End è sempre lo stesso squallido quartiere di sempre.
Siete riapparsi sotto un lampione – peccato che sia spento – e, non appena hai messo a fuoco, hai visto un gatto sparire di corsa sotto un'automobile parcheggiata lì a fianco. Non ti preoccupi che qualcuno vi abbia potuti scorgere: è tardi, è buio, e quello è un quartiere nel quale la gente tende a chiudere le tende e le persiane non appena la luce del sole colora di rosso il tramonto, in cui gli abitanti si chiudono nella loro piccola dimora, si fanno gli affari propri, di notte, ed improvvisamente diventano ciechi e sordi nei confronti di tutto ciò che accade loro intorno.
Anche tu, ogni volta che torni a... casa, ti comporti così, è proprio Spinner's End a fare quest'effetto.
Certo, non fosse per il fatto che, dietro le spalle di chiunque, quegli stessi abitanti che sembrano pensare solo alle proprie faccende poi spettegolino senza pudore su tutti e tutto, tra di loro, di giorno. Dal far parte di una marmaglia simile, perlomeno, ti sei salvato. Anche perché, abbastanza frequentemente, sei proprio tu l'oggetto dei vari discorsi delle casalinghe, che sicuramente non hanno nulla di più utile da fare.
Senza dire nulla, comunque, tu e Witherington iniziate a muovervi.
L'aria è praticamente gelida, c'è poco da fare: sebbene si stia ormai avvicinando l'estate il clima londinese non lascia scampo, specie di notte. Dovresti esserci abituato, ma, nonostante ciò, con la mano sinistra ti sistemi meglio la sciarpa che ti hanno dato e che ti copre le bende che ti fasciano il collo.
Dopo non molto, in ogni caso, Witherington si ferma di fronte alla consunta porta di casa tua; dietro un finto mattone del muro c'è una chiave di riserva, e così entrate. Ovviamente non è cambiato nulla, rispetto a quando ci sei stato l'ultima volta: è più polverosa, e l'odore di chiuso è decisamente più pungente, ma, a parte questo, puoi di per certo dire che l'atmosfera sia sempre la stessa.
Quando attraversi la soglia, senti il gelo, più freddo di quando ti trovavi per strada.
Witherington, comunque, si dà un po' da fare, rendendosi utile: accende le candele con dei veloci colpi di bacchetta, dopodiché passa anche al camino. Perlomeno, intorno a te, non fa più tanto freddo; per il dentro è un'altra storia.
"Dov'è la sua camera da letto?" Ti chiede, allora, lui, all'improvviso.
"Al piano di sopra." Rispondi laconicamente.
"Mmh, d'accordo." Si guarda intorno, per un momento "E le scale dove sono?"
Inarchi appena un sopracciglio.
"Dietro la libreria."
Witherington si volta in direzione della suddetta libreria con un'espressione tra il perplesso ed il sorpreso.
"Dietro la... Ma come si apre?" Fa lui.
"Oh, ovviamente basta togliere il libro giusto dallo scaffale. Ma attenzione, perché dietro ogni porta che troverà in seguito vi potrebbe essere un trappola mortale, Witherington."
Lui si volta di nuovo verso di te, l'espressione di prima ancora più marcata, anche se stavolta noti anche un sottile velo di spavento. Ghigni.
"Sta mentendo."
"Complimenti, è più perspicace di quanto sembra in realtà."
Stavolta ti guarda completamente neutrale, quando capisce di essere palesemente stato preso in giro.
"Avanti, mi dica dov'è questa camera da letto."
Incurvi un angolo delle labbra. "Gliel'ho detto: al piano di sopra, passando per le scale che si trovano dietro la parete adibita a parte della libreria."
"Seriamente." Continua lui, non credendoti "Perché svia? Non voglio mica sedurla, sa?"
Inorridisci.
"Dietro. La. Libreria." Dici duro, stavolta, sparito ogni briciola di... umorismo "Se... mi porta lì glielo mostro."
Witherington sembra leggermente esasperato, ma non ti importa granché, e aspetti che esegua quanto gli hai chiesto. Quando ti porta di fronte alla libreria tocchi un punto preciso dello scaffale, a metà altezza, e, in effetti, si apre una porta segreta, oltre la quale si intravedono le famose scale.
Lui quasi si stupisce. "Aveva detto di star mentendo." Osserva.
"Mi riferivo alle trappole. Evidentemente, allora, non è poi così perspicace."
Lui riassume la sua espressione neutra. Supponi che, evidentemente, quando si arrabbia o si infastidisce, invece di guardare male le persone, semplicemente fa finta di non badare all'effetto che le loro parole hanno su di lui. Adotta la tecnica dell'indifferenza, il che, a dire il vero, è oltremodo interessante.
Le persone che fanno così potrebbero, proprio per questo, dare la sensazione che nessun commento le tocchi, che si possa dire loro qualsiasi cosa che tanto verrà semplicemente ignorata, e tutto proseguirà nel solito modo. Non viene ignorata affatto, invece. Witherington, almeno, ti dà l'idea che non faccia così: lui immagazzina; difatti, ogni volta che poi ti rivolge la parola, noti un briciolo di freddezza in più, nel suo tono. Piccolo e quasi impercettibile, ma c'è.
A quel punto, in ogni caso, il guaritore si posiziona proprio di fronte al primo gradino, e, con un altro veloce incantesimo, trasforma le scale in una semplice e liscia salita, non troppo pendente, di modo che possa essere tranquillamente percorsa in entrambi i sensi sia da chi è provvisto di ruote sia da chi no. Sospiri, a quella triste visuale. Sorprendente come una semplice pedana possa risultare così demoralizzante alla sola vista.
"Comunque." Esordisce, allora, Witherington, interrompendo il silenzio "Veniamo alle cose pratiche, è meglio."
Si volta verso di te, quindi, e fa in modo che entrambi vi ritroviate al centro del salotto in un attimo; lui fa per sedersi sul divano, ma poi ci ripensa, e semplicemente si appoggia al bracciolo della poltrona.
"Ebbene?" Chiedi.
"Ebbene, non c'è molto da dire: tra non molto..." Si guarda per un momento il suo orologio da polso "...in effetti dovrebbe essere qui tra poco, arriverà – appunto – qualcuno che avrà il compito di assisterla, durante il giorno e la notte, in qualsiasi cosa sia necessaria."
Aspetti un momento prima di rispondere.
"Non ho bisogno di un badante."
La tua è più una sentenza che una semplice affermazione.
"Doveva parlare col dottor Sherman, allora, io non posso cambiare le disposizioni, specie se è già stato fatto tutto per metterle in atto."
"Sherman non mi ha parlato affatto di una cosa del genere, anche volendo non avrei potuto!"
"Evidentemente, allora, voleva proprio fare in modo che lei non avesse la possibilità di discuterne."
La sua espressione dice palesemente 'Nessuno potrebbe biasimarlo', come se la frase gli stia scorrendo a chiare lettere lungo la fronte.
"Chi è questa persona?"
"Non lo so, non me l'hanno riferito. Ma tra poco sarà qui, quindi se ne potrà rendere conto da lei."
"Spero che costui non sia informato della situazione tanto quanto lo è lei, altrimenti sono sicuro che morirò nel giro di mezza giornata."
Espressione piatta. Poi, però, un sorrisetto.
"Le piacerebbe."
La frase in sé non ti spiazza più di tanto, ma ti disorienta lo stesso, soprattutto perché non ti viene automatico rispondere di no, cosa che comunemente dovrebbe accadere.
Ma il caso, stavolta, ti evita l'onore di una risposta – o di una non-risposta – dato che, proprio in quel momento, bussano alla porta.
Non hai mai conosciuto tanta gente nuova come in quegli ultimi tempi, senza contare l'orda di studenti che cresceva sempre più, di anno in anno. Ma tanto sono solo altri volti che tu dimenticherai presto – si spera – e viceversa.
Witherington, dal canto suo, sospira palesemente di sollievo, mentre si stacca dalla poltrona e va ad aprire alla porta.
"Certo che una zona un po' meno spettrale non si poteva proprio scegliere, eh?" Dice una voce, al di là della soglia, di cui ancora non vedi la proprietaria.
Perché è una voce da donna.
"Oh, ciao, Serena." E' la risposta di Witherington.
"Non far finta di essere sorpreso di vedermi, Abner, dai."
E, mentre pronuncia l'ultima parola, la nuova arrivata entra in casa tua.
La guardi. Non sembra particolarmente anziana – ergo, esperta, secondo i tuoi canoni di giudizio – ed ha sulle labbra un sorriso totalmente inopportuno.
E poi è una donna, per Salazar.
E al diavolo se i medici dicono che quando si tratta di 'curare i malati' non c'è alcun bisogno di fare delle distinzioni di sesso. Tu fai delle distinzioni persino se ti ritrovi davanti più uomini, quindi... figurarsi.
Almeno non sembra una di quelle ragazze da copertina, tutte imbellettate e che pensano che la prima impressione, ed in particolare il loro aspetto, sia la cosa più importante: ha i capelli biondi, raccolti in una coda alta, e non ha neanche un minimo di trucco; ha indosso un cappotto che probabilmente è di una taglia più grande del necessario, e, abbassando lo sguardo, vedi un paio di scarpe da ginnastica ai suoi piedi.
In ogni caso, ha una valigia con sé, e la cosa non ti rassicura molto.
"Non pensavo avrebbero mandato te. Sinceramente." Continua Witherington, dopo aver richiuso a chiave la porta.
"Perché?" Fa invece lei "Abner, sei un esperto guaritore, ma non l'unico, anche io ho i miei..."
"No, ma non intendevo questo, solo..."
Al che Witherington posa lo sguardo su di te, cosa che a quel punto fa anche la nuova arrivata, come se si sia accorta solo ora della tua presenza.
E certo, povera lei, quale ingrato compito le è toccato.
"Buonasera." Ti dice, allora, un po' più seria di prima "Anche se forse dovrei dire buongiorno, data l'ora, nonostante sia ancora buio."
Ti esce una specie di... grugnito.
"Buongiorno, allora." Dici poi, quasi seccato.
La vedi rimanere un po' sulle sue, ma alla fine si rilassa. Beh, si rilassa. Più che altro rimane vigile, in quello stato d'animo di chi si trova in un posto nuovo e non sa se ritenerlo ostile o meno se non dopo averlo studiato almeno un po'.
Witherington, nel frattempo, passa lo sguardo da lei a te, e poi posa un braccio sul gomito della sua collega.
"Potrei parlarti un momento?" Dice, e lei si volta interrogativa, distogliendo gli occhi da te.
"Certo."
Lei posa la valigia a terra, accanto al divano, e tu corrughi le sopracciglia senza neanche accorgertene, prima che lui conduca la ragazza fuori di casa, di nuovo, per poi giusto accostare la porta.
Alla faccia della discrezione; non stanno facendo altro che entrare ed uscire da lì.
Potresti approfittarne e chiudere fuori tutti e due, e magari prendere la valigia della guaritrice e buttargliela fuori dalla finestra, ma dubiti che loro sarebbero così arrendevoli da lasciarti in pace, una volta compiuto un tale gesto. Come minimo entrerebbero proprio dalla finestra.
A proposito di finestre, comunque, voltandoti verso di essa vedi naturalmente che ha le tende chiuse, e tu ti senti in diritto di vedere cosa stiano facendo quei due lì fuori.
Abbassi lo sguardo su quella sedia per malati babbani su cui ti hanno... sistemato, allora, e consecutivamente sulle sue ruote. Li hai visti muoversi, i Babbani, facendo muovere quelle ruote direttamente con le loro mani; se ci riescono loro, ci puoi riuscire anche tu, questo poco ma sicuro.
Sì, anche con una mano sola.
Ci provi, quindi, anche se trovi il tutto un po'... faticoso. Per non parlare, poi, del fatto che in questo modo la sedia pare ruotare su se stessa, mentre dovrebbe andare dritta. Ti aiuti con una gamba, allora, e finalmente raggiungi la finestra.
Ti riposi un attimo, riprendendo fiato. Hai faticato, in effetti, più di quanto ti saresti aspettato, e il fatto di avere un po' di fiatone di sicuro non ti fa bene alla gola. Non ci badi, e a quel punto scosti la tenda sbiadita quel tanto che basta per guardare fuori. Li vedi lì, sotto il lampione, la cui luce si accende ad intermittenza – potrebbero degnarsi di aggiustarlo, prima o poi – parlare e gesticolare. Ma non riesci a vedere molto di più, da quella posizione. Facendo più attenzione, però, e concentrandoti sulle espressioni dei loro visi, non credi che stiano avendo una conversazione molto tranquilla. Probabilmente non stanno alzando la voce solo per non rischiare di svegliare tutto il vicinato e, consecutivamente, attirare l'attenzione su di loro. E su di te, cosa più importante.
Poi, all'improvviso, tutti e due si girano verso di te, guardandoti, ma tu sei ben lontano dal richiudere le tende e far finta di non aver visto niente. Come se tu avessi visto chissà che: una mera discussione, e immagini anche quale sia stato il fulcro del loro discorso.
Magari Witherington ha paura che tu possa sconvolgere la sua collega procurandole qualche trauma permanente.
Beh, fa bene a preoccuparsi.
Non ti piace, e non la vuoi in casa tua.
Sherman è un idiota, ad avertela mandata.
O chiunque l'abbia deciso, se non è stato lui.
Rientrano in casa, a quel punto, guardandoti con sospetto.
Bah, li hai solo guardati, non hai mica l'udito di un pipistrello.
...Interessante paragone.
"Ebbene?" Dici, allora, ricambiando il loro sguardo con un'occhiata palesemente ostile e rivolgendoti alla guaritrice "Sta valutando l'offerta di Witherington di fuggire via a gambe levate? Perché presumo che il suo collega le abbia suggerito proprio questo."
Il diretto interessato ti guarda con aria colpevole, stavolta, più che infastidita. Hai fatto centro, senza dubbio, e ghigni apertamente, guardandolo.
"Beh..." Risponde lei, dopo un lieve momento di esitazione "Più che altro mi ha detto che potrei non trovarmi... a mio agio, dovendo svolgere un simile incarico..."
Il ghigno soddisfatto che avevi un istante prima sparisce.
"Nessuno la trattiene."
Lei sgrana appena gli occhi. "Come, prego?"
"Non è tenuta a rimanere qui. Lei non vuole fare questo lavoro, glielo leggo in faccia, e Witherington non ha poi tutti torti. Io, tra l'altro, non ho bisogno di una badante. Se lei se ne va non se ne risentirà nessuno."
Witherington alza gli occhi al soffitto. "Oh, solo l'intero San Mungo."
"Se non dite niente non ci sarà alcun problema."
"Ma si rende conto di cosa sta dicendo?" Esclama poi, all'improvviso, lei, alzando appena la voce, tanto che sussulti internamente, non aspettandotelo,
E dire che ti era sembrata una persona piuttosto... pacifica.
"Prego?"
"Non so se l'ha capito, ma evidentemente pare di no..." Comincia, con tono più che serio. Serissimo "Nessuno è qui per chiacchierare o farsi una partita a scacchi. Siamo qui – in questo caso io – per assisterla, per aiutar--"
"Non ne ho bisogno."
"Non sono d'accordo."
"Se proprio ci tiene, nel caso in cui vi sia necessità di medicarmi lo sfregio sul collo, può presentarsi qui ad orari prestabiliti; non può pretendere che questa casa venga adibita ad ostello gratuito."
"Lei non è sposato ed ha bisogno di qualcuno che le dia una mano, e non solo per quanto riguarda le medicazioni."
"Le ripeto che posso fare da solo quel che mi occorre."
"Come fa a stabilirlo?"
"Me la sono cavata in situazioni ben peggiori, quindi parlo con cognizione di causa!"
"Ah, sì? Me lo dimostri, allora."
La guardi in modo leggermente interrogativo.
"Si metta in piedi." Precisa poi.
Che colpo basso.
Assottigli lo sguardo, come risposta.
"Appunto." Dice poi lei, senza però assumere quell'espressione soddisfatta di cui neanche ti saresti dovuto sorprendere più di tanto.
"Non sono qui per farle un dispetto, signor Piton, gliel'assicuro." Continua allora "Ho comunque la mia vita e una casa tutta mia, oltretutto, che adoro e nella quale vorrei essere, al momento, magari a dormire; quindi se sono qui non è per me, ma per far sì che lei si senta meglio."
Vorresti dirle che per sentirti meglio basterebbe che lei se ne tornasse nella sua tanto amata e lodata dimora, togliendo il disturbo. Questo che ti farebbe sentire meglio. Ma sai già da te di non poterlo dire: al San Mungo, stranamente, tengono alla tua salute – nonostante ti abbiano cacciato da poche ore, in pratica, ma parrebbe non rilevante, ai più – così come pare che tu non sia effettivamente neanche in grado di stare in piedi sulle tue stesse gambe.
È un po' un trovare un compromesso: la guaritrice-infermiera di fronte a te avrebbe svolto il suo lavoro – un modo come un altro, seppur sgradevole, di assicurarsi uno stipendio – e tu non saresti finito a pensare disperatamente a come riuscire ad aprire lo sportello in alto della dispensa.
"Se non si può proprio evitare..." Dici, passando lo sguardo da lei a Witherington.
"No, a quanto pare no." Conferma lui.
Fai una smorfia, dato che pare che la questione si sia irrimediabilmente chiusa da sé.
Bello notare come la gente invada casa tua, il tuo privato, la tua... intimità – non osi neanche immaginare in quale subdola maniera ciò sicuramente avverrà – senza avere alcuna voce in capitolo.
"In ogni caso" Fa allora lei, accennando anche un lieve sorriso, al che sposti nuovamente gli occhi sulla sua figura "Io sono Serena O'Dampand, piacere."
Ha teso la propria mano verso di te.
Oh, beh, il piacere è tutto suo.
Guardi la sua mano, allora, e poi guardi lei. Non la stringi, né rispondi, e alla fine lei la ritira, facendola ricadere lungo il proprio fianco.
"Ehm... Spero che... La nostra convivenza possa essere piacevole, signor Piton."
Convivenza.
"Presumo che quindi si insedierà qui stabilmente, allora."
Lei annuisce. "Così può avere un'assistenza continua. Non dovrà preoccuparsi di nulla, deve stare tranquillo."
Oh, ma tu non sei mica agitato; sei solo estremamente infastidito.
"Lo spero. Spero vivamente che starò tranquillo, signorina O'Dampand."
Lei ti guarda perplessa, sul momento. "Certo."
Lo dice come se si trattasse della cosa più semplice del mondo.
Oh, ma lei non ti conosce, e di sicuro tu non rimarrai inerme come il vegetale che sembri, durante il suo soggiorno. Che si azzardi anche solo un minimo ad intromettersi nei tuoi affari – di qualunque genere possano essere – e non sarai più tanto gentile.
Sì, i tuoi standard di gentilezza non sono molto elevati.
"Bene." E' Witherington che parla, stavolta "Il mio, di lavoro, io l'ho fatto. Quindi credo proprio che le nostre strade si separeranno qui."
Ti sta guardando, ma, effettivamente, non sembra molto dispiaciuto di doversene andare da casa tua.
In effetti anche tu ne andresti da casa tua, se potessi. Di sicuro, se tu possedessi una quantità abbastanza massiccia di denaro – cosa che non hai mai particolarmente avuto o desiderato, ma che di sicuro non otterrai a breve, dato che non hai più neanche un lavoro – ti trasferiresti immediatamente, e di certo il più lontano possibile da Spinner's End. Forse andresti vicino Hogsmeade; non troppo vicino da essere visto da qualche studente in visita al villaggio, ma abbastanza da poter guardare Hogwarts dalla finestra del salotto, magari.
"Ciao, Abner." Dice O'Dampand, voltandosi verso il diretto interessato.
Credi che vi sia un po' di smarrimento, negli occhi di lei, ma da quella posizione non riesci a capirlo. D'altronde tra non più di due o tre minuti rimarrà in compagnia tua, e la cosa, per quanto lei possa essere ligia al dovere, non deve essere molto... allettante. Figuriamoci se lo è per te, allora, che te la sei ritrovata tra capo e collo.
In ogni caso, saluti Witherington con nulla di più di una pigra occhiata.
"Tanto immagino ci rivedremo, signor Piton." Dice lui, poi "Quindi non si sprechi in discorsi d'addio."
La prima vera volta in cui lo senti fare il sarcastico. Sì, in un certo verso ti somiglia abbastanza.
Un altro momento e Witherington si ritrova in strada. Poco dopo è sparito da Spinner's End.
Già il fatto che Witherington se ne sia andato dà il suo contributo a rendere più tesa l'atmosfera. Lo era anche prima, ovviamente, ma sebbene lui sia un soggetto prevalentemente silenzioso, almeno la sua presenza sembrava attenuare la consapevolezza di quel che sarebbe successo d'ora in poi: siete in due, ora, dentro casa tua, e questa è di sicuro una di quelle cose che non avevi pianificato.
Né che avevi mai avuto intenzione di pianificare.
Ma evidentemente è da quando ti hanno tirato fuori dalla Stamberga Strillante che sono gli altri, a decidere per te.
Guardi la ragazza, e ti accorgi che anche lei ti sta guardando. Nessuno di voi due dice nulla, per un po'.
"Uhm, dov'è la sua camera da letto?" Ti dice, poi.
"Al piano di sopra."
"E le scale?"
Le indichi la parete spostata della libreria, e lei va a controllare senza fare la petulante come Witherington, almeno.
Quale déjà vù.
Forse i guaritori e le guaritrici hanno una prassi da seguire, domande da pronunciare, ogni volta che uno di loro si intrufola e siimpianta a casa di qualcun altro per 'assisterlo', per 'rendergli più agevole la sua convalescenza'.
Ah, curioso notare come per te tutto ciò equivalga a lasciarti totalmente ed incondizionatamente in pace.
Ma, ovviamente, il tuo modo di pensare non è un pensare... comune, perciò presumi che ti ritroverai O'Dampand sempre tra i piedi per chiederti se può fare qualcosa per te o semplicemente per sapere come ti senti.
Già non la sopporti.
E dire che per ora ti sta solamente conducendo al piano superiore.
Ti senti nuovamente quasi decrepito, e forse dentro di te – e anche un po' all'esterno, in effetti – sei sempre stato vecchio.
Ti fai portare in camera da letto – tu ti fai portare, non è lei, che porta te – e lei si ferma prima che possiate entrare nella stanza. Non dice nulla, lei si è già mossa ed è entrata, lasciandoti lì. La vedi, dalla soglia, tirare fuori la bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni – posto assai poco consono – e far comparire una candela accesa, dapprima, per poi guardarsi intorno; effettua degli incantesimi non verbali molto velocemente: per esempio, le coperte del letto vengono tirate via, così come le lenzuola, le ante dell'armadio si aprono e ne esce della biancheria pulita che provvede a sistemarsi sul letto adeguatamente. Non ci mette più di qualche secondo, e quando finisce punta un'ultima volta la sua bacchetta sui panni meno puliti, ammucchiati a terra, e li fa Evanescere. Solo a quel punto si volta verso di te.
"Li ho trasferiti al piano di sotto." Ti spiega.
Evidentemente hai una involontaria espressione interrogativa sul viso. Oppure è semplicemente lei, che vuole parlare.
"Gli darò una sistemata domani mattina."
"E' una guaritrice, lei, o almeno dovrebbe esserlo, avevamo appurato; non una cameriera."
Lei si stringe nelle spalle, prima di spingerti dentro.
"Non è un problema." Chiude così la questione.
Alla fine, comunque, mentre vi fermate nuovamente, decidi: lei non ti avrebbe messo a letto. Non vuoi, e non vedi perché lei dovrebbe. È lì per darti le pozioni, per medicarti la ferita e, se ti occorre, prenderti e darti qualcosa che chissà quando hai riposto troppo in alto.
Che poi tutto ciò si potrebbe benissimo evitare, se ti avessero ridato la tua bacchetta. Sempre se esiste ancora, perché a questo punto ti viene anche il dubbio che potrebbero avertela persa. Mentecatti.
Dovrai chiedere informazioni, a riguardo, il prima possibile.
Ma nonostante le tue convinzioni lei sembra voler proprio... metterti a letto, come se tu fossi un moccioso troppo cresciuto.
Blocchi ogni sua azione sul nascere, non appena noti che si sta abbassando alla tua altezza, raggelandola – presumi – con un'occhiataccia, ed alzando la mano.
"Faccio da me." Le dici.
Non è solo un'affermazione, è un modo per ordinarle indirettamente di non toccarti in alcun modo.
Lei, però, non pare recepire appieno il messaggio, specie considerando l'aria di rimprovero del suo sguardo. Sì, ti sta... rimproverando. Non ha ancora detto niente, ma è sicuramento quello, il suo muto intento.
Il mondo è veramente finito sottosopra, in quegli ultimi, ultimissimi tempi.
"Le ho già detto che concordo con lei, non sono la sua balia, ma deve lasciarmi la possibilità di fare ciò che è necessario."
"Faccio. Da. Me." Ripeti, ignorando completamente il principio di quello che immagini sarebbe stato un discorso piuttosto sentito.
Lei assottiglia le labbra e si sposta appena, finalmente.
A quel punto, allora, ti sporgi verso il letto e vi poggi sopra la mano sinistra; trasferisci tutto il peso sul braccio, in pratica, e ti alzi in piedi, sorretto dalle tue gambe – o dalla tua gamba – per non più di un paio di secondi; ricadi sul letto ritrovandoti perfettamente seduto.
"Non ci sarebbe stato problema se l'avessi aiutata io." Osserva lei, quando finisci di sistemarti.
"Non ci sono stati comunque problemi." Rispondi "E, ora, non c'è più bisogno che lei rimanga qui, signorina O'Dampand."
"Ma potrei..."
"No. Se ne vada e mi lasci in pace."
"Come vuole."
Evidentemente, allora, qualcosa la riesce a capire.
Prima di uscire, comunque, si volta ancora verso di te.
"C'è una camera degli ospiti o... qualcosa del genere?"
"Sì, una." E' la tua laconica risposta, e lei se ne va, allora, socchiudendo la porta della tua stanza.
Prima che sparisca dalla tua visuale la scorgi alzare gli occhi al cielo, e tu fai una smorfia, tra te e te.
Guardi per un momento la porta, quasi per assicurarti che lei non rientri per disturbarti nel giro di un paio di secondi. E a quel punto ti stendi, allora, sdraiandoti al centro del letto. Merlino, di sicuro il tuo non sarà il letto più confortevole del mondo, ma di sicuro è molto meglio di quell'ammasso di molle del San Mungo.
Rimani supino, con gli occhi fissi al soffitto, aperti; non li chiudi, sperando di dormire, sai già che il sonno non arriverà, per il resto della notte, ma di sicuro per te è una soluzione migliore startene in camera, fermo, e in silenzio, piuttosto che rimanertene in soggiorno, per esempio, in compagnia della tua badante.
Sì, saresti comunque in silenzio, ma sarebbe un silenzio diverso: in soggiorno, con O'Dampand, staresti zitto per mancanza di interesse nel conversare con lei, o, in caso, per esprimere tutto il tuo fastidio per quella situazione. Ora, in camera, invece, sei in silenzio non perché non hai nessuno con cui parlare – non lo faresti comunque in ogni caso – ma perché preferisci così, semplicemente. Preferisci rimanere con gli occhi puntati in alto, a pensare.
Silenzio – o solitudine, le due cose sono spesso correlate – e pensieri sono due concetti che vanno spesso a braccetto, d'altronde.
Peccato che i pensieri non siano mai dei più allegri, nella maggior parte dei casi, ma ci sei abituato, e anche qualora tu immagini la scena più disfattista del mondo, non ti sconvolge più di tanto. Sempre che la scena riguardi te stesso, si intende. In effetti la solitudine viene spesso definita come il teatro dei risentimenti. Peccato che tu i tuoi risentimenti li rivolgi proprio al loro creatore, te.
Ma alla fine, per quanto lo reputavi inutile sino ad un attimo prima, lentamente abbassi le palpebre. Non sai se ti addormenterai o no, ma almeno passerai il resto delle ore che ti separano dal sorgere del sole nel modo in cui la Notte vorrebbe, nel modo in cui tutte le creature racchiuse dentro di te, nel tuo profondo, vorrebbero. Al buio, insieme a loro.
Capisci che in realtà non sei mai completamente solo.  





Angolo Autrice:

Ciao! :D
Spero che questa storia vi stia piacendo, lasciate un commentino, se vi va :)


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