II Gea

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Quella mattina mi svegliai più tardi del solito. Considerando l'agitazione della sera precedente, avevo dormito sorprendentemente bene. Solo quando scoccai un'occhiata all'orologio mi resi conto di quanto fossi in ritardo.
Avrebbe dovuto essere tutto perfetto e invece... invece, come al solito, auto sabotavo me stessa.
Avevo passato diverso tempo sepolta in mezzo ai vestiti dell'armadio per scegliere quelli giusti, tuttavia non mi sembravano più carini come lo erano qualche ora prima. Infilai un paio di jeans scuri e una maglietta verde bottiglia. Quel colore predominava nel mio armadio, insieme al nero e all'azzurro pastello.
I capelli non potevano starmi peggio, ma del resto erano una massa di onde senza un verso sette giorni su sette. Cercai di modellarli in modo da non sembrare un cespuglio e mi precipitai fuori, struccata e frettolosa.

Quando arrivai sul luogo del concerto, il palco era già montato e i fonici erano al lavoro. Mostrai il pass a un bodyguard che mi degnó soltanto di un cenno della testa.
Il motivo per cui avevo avuto il privilegio di indossare quel pezzo di carta attorno al collo aveva un nome: Daniel.
Il migliore amico di mio padre, che conoscevo da tutta la vita, era l'organizzatore ufficiale dell'evento. Per questo, quando scoprí chi avrebbe suonato, gli chiese di farmi entrare nel backstage. Daniel, però, superò le aspettative.
Gli artisti si sarebbero fermati il giorno del concerto e la mattina seguente, ma le prove erano state fissate soltanto per il pomeriggio, mentre per il resto erano liberi di passare il loro tempo in giro. Per evitare che si perdessero in quel buco di città, Daniel ingaggió una sorta di guida per mostrare loro qualche posto carino: me.
Quando lo seppi chiamai tutti i miei amici come se fossi impazzita. Per tutta la nona edizione di x factor avevo votato per loro, dichiarandoli miei preferiti sin dalla prima audizione.
Avevo atteso quel giorno con impazienza, pensando a cosa avrei indossato e a dove avrei potuto portarli. Invece, come sempre ero in ritardo e, per giunta, non avevo avuto tempo di nascondere le occhiaie con il correttore.
Raggiunsi Daniel cercando di fare il prima possibile, e lo trovai già con i ragazzi.
Stavano chiaccherando tranquillamente, Alessio parlava e Gennaro annuiva senza trovare nulla da aggiungere.
Interruppero il discorso quando mi videro arrivare, lasciandomi addosso un leggero disagio.
Erano esattamente come in video: Alex mi osservava in attesa che parlassi, Genn spostava, inquieto, gli occhi da me, a Daniel, all'amico.
Dan si schiarí la voce.
"Ragazzi, lei è Gea, vi accompagnerà a fare un giro stamattina. Ho pensato che vi avrebbe fatto piacere farvi mostrare qualcosa da qualcuno che conosce ogni angolo di questa città."
"Non che ci siano molti angoli da conoscere, in realtà", aggiunsi porgendo la mano ad Alessio. Ricambió con una vigorosa stretta e un sorriso, ringraziando Daniel per il pensiero. Quella di Genn fu molto più veloce, e le sue mani tornarono immediatamente in tasca. Indossava il cappellino rosso che gli avevo visto diverse volte nel programma, quello che rendeva i suoi occhi ancora più grandi e azzurri.
"Gea", disse, facendomi sobbalzare leggermente. Non mi ero aspettata di sentirlo parlare così presto. "Un nome importante."
Non capii con chi stesse parlando: io ero il soggetto ma stava guardando Alessio.
Gea. La dea primordiale, la madre di tutti gli altri, colei che aveva partorito i Titani e parlava per mezzo dell'Oracolo di Delfi. I miei genitori, appassionati di mitologia, avevano optato per quel nome così inusuale che non mi era mai piaciuto molto.
Quello che mi stupì, fu il constatare che sapeva da chi derivasse: non era famosa quanto le altre dee, nonostante fosse stata la genitrice di tutti.
"Sai chi è?", mi lasciai sfuggire.
Avevo pensato che sarei stata più agitata davanti a loro, invece mi sembrava di parlare con due comuni persone e non con i secondi classificati di x factor, ormai famosi anche oltreoceano.
Gennaro scosse le spalle e non rispose. Daniel, cercando di smuovere la situazione, mi spinse verso la porta. "Avete tempo fino alle tre, se volete pranzare fuori. Andate, su!"

Quando ci ritrovammo all'esterno, mi resi conto che forse avrei dovuto prendere una giacca, ma era ormai troppo tardi per pensarci.
"Dove ci porti?", domandó Alessio, incuriosito.
"Ditemi cosa vi va di fare, sono qui per voi", replicai, come una perfetta guida turistica.
"Ho fame", borbottó Gennaro, immerso nel giaccone scuro.
"Oh. Bè... non ho fatto colazione nemmeno io, quindi... okay. Conosco un posto fantastico."
Alessio rivolse un sorriso all'amico, che ricambió debolmente. Non era particolarmente loquace. Eppure, nel programma, era quasi sempre lui a parlare mentre Alessio annuiva alle sue spalle.
"Dobbiamo andare in macchina, però. È dall'altra parte della città, e anche se è piccola ci metteremmo una ventina di minuti a piedi. Possiamo spostarci meglio con l'auto", dissi muovendomi verso il parcheggio. Li guidai sino alla piccola Punto verde parcheggiata in un angolo e feci loro segno di salire.
"Aspetta, guidi tu?" chiese, interdetto, Gennaro.
"Sì, certo", replicai confusa. "Perché?"
"Mah, ti avrei dato sedici anni", rispose infilandosi dietro e lasciando il posto del passeggero ad Alessio. Avrei voluto dirgli che anche lui sembrava un sedicenne, che non dormiva da mesi tra l'altro, ma evitai. Quando allacciai la cintura, Alessio rispose all'amico.
"Gennà, si vede che è più grande!"
Lui, dal retro, si strinse nelle spalle.
"Diciotto almeno", continuó Alessio.
"Per forza", borbottó Gennaro. "Se guida..."
"Ne ho venti, veramente." Girai le chiavi nell'accensione e partii, mentre Alessio cercava un canale che passasse musica decente e Gennaro guardava fuori dal finestrino, immerso nel suo mondo.

Strangers  (in the same empty space)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora