Capitolo IV

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Ci fu un ultimo saluto fra me e mia mamma, nulla di estremamente strappa lacrime, figuriamoci. D'altronde, non c'era nemmeno bisogno di esagerare; si trattava di un periodo indefinito, il che non significava per sempre. I padroni ci concessero un abbraccio, nient'altro e Christina ne approfittò per sussurrarmi all'orecchio: «Abbi cura di te e ricorda: se eseguirai alla lettera i loro ordini, non ti verrà torto un capello» ed io, questo, lo sapevo benissimo. Solo, non ero felice di doverlo fare.

Osservai tristemente la limousine nera con i finestrini completamente offuscati andare via e portarsi dietro anche una parte di me. Sapevo già che mia madre mi stava lasciando in pasto agli squali. Mi domandai a cosa servisse lei nelle questioni di lavoro del padrone e la risposta fu fin troppo chiara: la padrona voleva allontanarci. Per me era quella la verità.

Agatha mi posò una mano sulla spalla, aprendo le labbra in un sorriso maligno, che le metteva in mostra i canini aguzzi. «E così sei rimasta sola, piccola Eloise», ghignò soddisfatta ed io non risposi. Avrei voluto guardarla con aria di sfida, ma mi limitai a mostrarmi indifferente e questo, probabilmente, le diede ancor più fastidio. «Non che cambi molto, schiava eri e schiava rimani.»

Sapevo benissimo anche questo. Con o senza la presenza di mia madre, loro potevano fare di me tutto ciò che volevano. Mia madre era soltanto il mio appoggio, la spalla su cui piangere, l'unica persona che in quella casa mi amava, insomma, il mio unico punto di riferimento. Come per lei doveva esserlo stato mio padre. «Vuole che faccia qualcosa, mia signora?», domandai sfacciata, sorridendo appena per non lasciar trasparire il mio vero stato d'animo. Ero turbata. Malinconica. E triste.

«Per il momento nulla di pesante. Ritira gli abiti in lavanderia e fa' attenzione che non si sgualciscano», annuii ubbidiente ed esiguii gli ordini, dirigendomi verso la lavanderia.

Il tragitto non era lungo e quel giorno non mi curai di ciò che mi stava attorno, camminai a testa bassa immersa nei miei pensieri e poco dopo, mi pentii inevitabilmente di averlo fatto.

Ero quasi arrivata, la porta della lavanderia era vicina e mancava poco così dall'entrare nell'unica stanza nella quale sarei stata al sicuro: nessuno della famiglia frequentava mai la lavanderia, era troppo sporca, umile e sciatta per gente del loro rango. Abbassai la maniglia, sempre a testa bassa e mi catapultai all'interno, con troppo foga, perché andai a sbattere contro qualcosa.

E se fosse stato qualcosa, probabilmente, sarebbe stato meglio.

«Cazzo, ma cosa fai? Hai fatto cadere tutti i miei libri, stupida schiava!» sbraitò e nel riconoscere quel timbro, il mio cuore perse un colpo.

«S-signorino.. Luke» balbettai impaurita. «Io..mi dispiace davvero. Non volevo, scusatemi, lasciate che vi aiuti», mi affrettai a dire e a rimediare all'errore che avevo commesso.

«Hai rallentato il mio lavoro, cazzo, schiava!» urlò. Non avevo il coraggio di alzare lo sguardo e di guardarlo in viso, ma sapevo che lui era già arrabbiato per qualcosa, altrimenti non avrebbe reagito in quella maniera. Difficilmente perdeva le staffe, di solito manteneva la postura silenziosa e indifferente nei confronti del mondo intero.

«Io... sono mortificata, signorino. Lasciate fare a me» tentai di rimediare, ma sapevo benissimo che qualunque cosa avessi fatto sarebbe risultata inutile.

Snudò le zanne, mettendo in bella mostra i suoi lucenti denti affilati, affinché io vedessi cosa avrebbe potuto farmi, se solo avesse voluto.
«Sta' ferma, non ho bisogno di te per raccogliere le mie cose!»

Nella caduta, mi soffermai a guardare i fogli che erano volati dai libri che prima reggeva in mano e capii perché si era innervosito in quella maniera. Si trattava di disegni, i più belli che avessi mai visto e il mio sguardo cadde su uno di quelli che ritraeva una donna nuda, ma delicata. Una sciarpa leggera, tanto da sembrare velluto, teneva coperte le sue zone private, dando al disegno un'aria di classe e non volgare. La mia bocca si aprì automaticamente e in quel momento pregai che qualcuno mi tagliasse la lingua. «Dio, siete così bravo! Che disegni meravigliosi!»

Eloise - Figlia di una schiavaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora