They say before you start a war, you better know what you're fighting for

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Ad Annabeth faceva male la schiena e il collo. Il sedere stava chiedendo pietà per tutto il tempo che stava passando seduta sul pavimento freddo e doveva andare in bagno.

Aveva gridato, ringhiato e imprecato per tutta la notte fino a che il sonno non aveva avuto la meglio persino sul male che le faceva tutto il corpo. Ma la cosa peggiore era il fatto che -cavolo- il ragazzo che aveva ucciso, stringendogli le gambe al collo e sbattendogli la testa a terra, era lì davanti a lei. E si, la stanza era buia, ma lo sentiva. Sentiva gli occhi vacui fissi su di lei, sentiva ancora il cuore che batteva forte, impazzito mentre lo stringeva e gli spaccava la testa.

Non aveva pianto solo perché non avrebbe potuto asciugarsi le lacrime. Non aveva pianto perché, e lo sapeva bene, non avrebbe potuto nascondere il dolore e la paura.

Aveva tentato di spingerlo più lontano da sé con le gambe stanche, ma un ragazzo alto un metro e novanta con chissà quanti chili di muscoli, non è decisamente facile da spostare. E lei, comunque, era sfinita.

Sapeva che quello della Cronos era un tentativo di farla impazzire e sapeva che, se solo avesse avuto un po' meno autocontrollo ci sarebbe riuscita. Ma doveva resistere. Doveva farcela ancora per un po'.

Doveva resistere agli incubi che la svegliavano frequentemente. Incubi che le mostravano i volti di tutte le persone che aveva ucciso. Incubi che le mostravano il sangue che le macchiava le mani. Incubi ai quali non avrebbe potuto porne fine Percy.

Chiuse gli occhi per quanto fosse già avvolta dal buio e si conficcò le unghie nei palmi delle mani finché non gemette, nel tentativo di allontanare dalla mente la malsana idea di rompersi i pollici per poter far sgusciare le mani via dalle catene.

Poggiò la testa al muro e inalò più aria possibile nel tentativo di calmarsi, un attimo prima che la porta, aprendosi violentemente, la facesse sussultare. La luce si accese, bruciandole gli occhi, e fu costretta a sbattere le palpebre più volte nel tentativo di abituarsi.

La sagoma di Ethan Nakamura si avvicinò a lei con un sorriso beffardo, piegandosi sulle ginocchia per poterla guardare negli occhi.

- Buongiorno piccola dea. Hai fame? - le domandò con strafottenza e Annabeth sorrise, combattendo contro tutti gli istinti che le dicevano che si, sputarlo in quell'unico occhio buono sarebbe stata la soluzione migliore.

Lo stomaco di Annabeth brontolò in risposta e lei serrò le labbra, sperando di non essere stata sentita.

- Il capo ti vuole vedere - le rivelò, sporgendosi verso di lei, facendole voltare il capo verso destra per puro istinto.

Annabeth annuì un paio di volte, voltandosi di scatto e sorridendo quando Ethan indietreggiò per la sorpresa. - Io devo andare in bagno. - Disse.

Il ragazzo sorrise, portandosi una mano a coppa dietro l'orecchio. - Come?

La bionda si ritrovò a respirare profondamente, stringendo i pugni quando il fiato si mozzò in gola.

Doveva alzarsi.

- Devo andare in bagno - ripeté, scandendo le parole come avrebbe fatto con un bambino.

Ed Ethan, in tutta risposta, sorrise ancora, sporgendosi verso di lei ancora un po'. - Come?

Il cuore di Annabeth batté un po' più forte nel petto. Inarcò la schiena nel tentativo di far arrivare più aria ai polmoni, conficcandosi le unghie nel palmi delle mani così forte da gemere per il dolore. - Devo pisciare, razza di idiota! - urlò, piegando una gamba e colpendolo al braccio abbastanza forte da farlo cadere all'indietro. - Per cui, o mi porti in bagno e poi io vado dal tuo capo a dirgli tutto quello che vuole oppure - continuò con uno sorriso, piegando la testa lateralmente, - ti ammazzo adesso come il tuo amico che non hai neanche avuto la decenza di seppellire, mi rompo i pollici, scappo via da qua e la Bomba Zar, il tuo capo può anche farsela esplodere nel culo.

Angel with a shotgunDove le storie prendono vita. Scoprilo ora