CAPITOLO 2

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Tornata a casa, Haven si precipitò in cucina dove il pranzo preparato per lei da sua madre attendeva di essere scaldato.
Togliendosi le scarpe con un calcio scivolò nell'ampia e spaziosa cucina, sfruttando la scarsa antiaderenza delle calze sul pavimento.
Accese al volo la televisione impostandola sul canale della musica e buttò il piatto di ceramica con una manciata di pasta precotta nel microonde.
Pochi secondi e il pranzo fumante era in mano a lei, che stava seduta sul bancone e agitava le gambe nell'aria a ritmo.
Finita la pasta afferrò un frutto dalla cesta della e lo divorò in un paio di bocconi. Non aveva tempo da perdere. Doveva allenarsi per la gara.
Quel giorno il professore di ginnastica le aveva preparato una tabella con la dieta che doveva seguire e i precisi allenamenti che doveva fare giornalmente per essere in forma il giorno della competizione e lei aveva tutta l'intenzione di rispettarla alla lettera.
Il coach Carson era un uomo davvero gentile e premuroso con i suoi alunni e ancor di più con gli studenti iscritti ai suoi corsi sportivi. Haven si presentava ai corsi di basket, pallavolo e atletica leggera dove eccelleva nella corsa dei cento metri.
Il coach era molto fiero di lei che aveva vinto diverse gare sia in sede che fuori e l'ultima cosa che Haven voleva era deluderlo. Non se lo sarebbe perdonato.
Lavato il piatto della colazione, quello del pranzo, posate e bicchieri spense la televisione e si diresse al quarto piano, dove oltre alla sua stanza aveva ricavato una palestra personale con gli attrezzi che stavano nella sala sportiva di quando quel palazzo era un hotel.
Sua madre, Victoria, possedeva insieme al suo socio una vasta catena di alberghi. Per questo vedeva Haven solo la sera se non stava partecipando a qualche cena di lavoro. Ed era proprio il suo impiego ad averle permesso di acquistare e ristrutturare completamente l'hotel a quattro piani dove era andata a vivere con sua figlia quando lei aveva solo otto anni.
Molti a scuola consideravano Haven una ragazza viziata, snob e infantile ma pochi sapevano quanto tutto ciò fosse assolutamente falso.
Raramente veniva fuori quel discorso con lei. L'ultima volta che ne avevano parlato aveva ripetuto quello che diceva sempre:
"Preferirei mille volte vivere in un minuscolo appartamento ma con la certezza che se mi facessi crescere le corna almeno mia madre se ne accorgerebbe"
Certo, non era colpa di Victoria se doveva lavorare, però questo non placava né avrebbe mai placato il muto desiderio di Haven di avere una madre più presente.
Ultimamente si era messa a frequentare un uomo. Un tipo simpatico, a quanto diceva. Usciva con lui almeno tre volte al mese da... Quanto? Cinque mesi? Forse nove... O poteva anche essere da più di un anno per quello che ricordava Haven. Cercava di non stressare molto sua madre riguardo ai suoi appuntamenti ma forse aveva esagerato un tantino nel farsi gli affari suoi.
Le pareva si chiamasse Noah. Era venuto a cena da loro qualche volta, cosa che aveva stupito parecchio Haven, visto che non era mai successo.
Corse su per le scale, giungendo al quarto piano. Una volta lì, un improvviso abbaiare la riscosse.
La tentazione fu troppa e invece di entrarvi, superò la palestra entrando nella stanza adibita a sala da gioco dei suoi tre cani.
Appena varcò la soglia venne amorevolmente aggredita dai tre animali che le saltarono addosso, stendendola, e presero a leccarle il viso senza interrompersi nemmeno quando iniziò a strillare e a spingerli via.
Quando riuscì a liberarsi si mise seduta pulendosi la faccia, con i tre cani da guardia che le vorticavano intorno.
~ Calma calma, state buoni!~ esclamò Haven senza riuscire a trattenere un sorriso.
Tentava di distribuire equamente le sue carezze a tutti loro che se le contendevano senza pietà spintonandosi e abbaiandosi l'un l'altro.
La madre di Haven le aveva regalato quei tra cani addestrati quando aveva cominciato a stare in casa da sola e da allora non se n'era mai separata. La seguivano ovunque e spesso giocava con loro sul tetto fornito di veranda, piscina e piccoli spazi verdi con piante e arbusti disseminati ovunque, i cui confini erano protetti da una barriera di vetro alta circa un metro e mezzo.
~ Venite in palestra con me? Eh? Vi va?~ chiese loro accarezzandogli le teste.
I tre gioirono allegri e quando la ragazza si alzò la seguirono come di consueto, saltellandole accanto.
Aprì la porta scorrevole della palestra e la lasciò aperta, facendo entrare i cani che vi si precipitarono dentro, dirigendosi verso la porta finestra che permetteva di accedere alla terrazza che circondava il quarto piano. Ce n'era una in ogni piano dell'edificio. Ogni stanza aveva la propria porta finestra che conduceva nella rispettiva parte di terrazza. Ognuna era separata da un muretto che Victoria aveva fatto abbattere una volta acquistato l'hotel.
Haven, mentre i cani uscivano abbaiando felici, si diresse verso il suo attrezzo preferito, il tapis roulant. Aveva diversi attrezzi ginnici tra i quali la cyclette, i pesi, i tappeti elastici, le spalliere e la sbarra.
La stanza dove si trovava prima che la trasformasse in una palestra era una camera da letto, dunque c'era la televisione.
L'accese sempre sul canale musicale e, attivato il macchinario, prese a correre moderando la velocità.
Si allenò per un'ora e mezzo come di consueto, poi andò a fare una lunga doccia rinfrescante.
Quando era sola in casa, ovvero l'ottanta percento del tempo, teneva sempre la musica a tutto volume per non sentire quell'opprimente e pesante silenzio che tanto detestava.
Finita la doccia girovagò un po' per la casa con solo il lungo asciugamano arancione addosso e i capelli bagnati ordinatamente posati sulla spalla.
Con un fischio acuto richiamò i cani che in poco tempo furono seduti vicino a lei, comodamente spaparanzata sul divano a semicerchio.
Ormai si erano fatte le sette meno un quarto. Sua madre sarebbe tornata alle otto.

Brotherly Love - Cinque fratelli di troppoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora