1. Strani incontri.

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Quando mi guardai attorno per osservare quel che rimaneva della mia stanza ormai vuota sentii un nodo allo stomaco. Non potevo farcela, così scoppiai a piangere e la voce strozzata rimbombava per via dell'acustica della camera spoglia, facendomi sentire ancora peggio.

È tutto finito, mi ripetevo, dovrò ricominciare da zero.

La vita era così ingiusta! Spinsi la valigia per terra provocando un rumore assurdo -dovevo pur sfogsrmi con qualcosa-, ma non me ne curai più di tanto. Ero triste, arrabbiata, frustrata e nervosa: in quel momento potevo comportarmi come mi pareva.

La porta della stanza che si aprì di scatto mi bloccò per via del rumore improvviso e le lacrime si fermarono. Avevo capito chi si celasse lì dietro ancor prima di sentire mia madre che aveva cominciato a urlare: "Jacklyn, dai, è ora di andare!" I suoi occhi marroni vagavano dappertutto e, dopo aver passato una mano sui suoi neri e ricci capelli, puntò lo sguardo sulla mia figura che a sua volta ricambiava con intensità, si morse il labbro...e io ricominciai a piangere.

"Non voglio venire. Vacci tu." Sussurrai tra un singhiozzo e l'altro, asciugandomi le lacrime. Avevamo discusso parecchie volte su questo argomento e puntualmente finivo qui a deprimermi. Quei capricci non mi avrebbero portata da nessuna parte, ma cosa ci potevo fare se ero ormai disperata?

"Andiamo, non farmi arrabbiare! Dobbiamo essere in aeroporto in meno di dieci minuti." Mi informò accennando un velo di tristezza nel suo viso mentre, vicino alla sottoscritta, si abbassava alla mia altezza. Sapevo che nemmeno lei voleva lasciare quella casa: ci teneva tanto ad essa.

"Non voglio lasciare Londra! Ci sono i miei amici e pure Brian. Lo sai quanto tengo a lui. E poi c'è tutta la nostra famiglia. Io non me ne vado!" Continuai a dire, sicura di me e di quello che dicevo.

"Ma anche papà fa parte della nostra famiglia, perciò non fare storie e vieni con me." Mi impose trascinandomi per un braccio. Cercare di opporre resistenza era inutile, sapevo anche questo, ciononostante continuavo a tirarle la mano per non farle fare un altro passo.

Da una parte aveva ragione: papà mi mancava tanto e non lo vedevo da settimane. Lui lavorava a New York e dovevamo trasferirci lì perchè non ci vedevamo mai se non nelle vacanze estive.

Dall'altra parte, però, mi sarebbe mancato Brian, il mio amico più caro. Eravamo praticamente cresciuti insieme, i miei genitori erano in perfetta sintonia con i suoi e sembravamo una famiglia: dove andava uno andava l'altro, tanto per intenderci.

Lo chiamavo addirittura fratellone e aveva solo un anno in più di me. Un bambino dolcissimo e buonissimo: da immaginare che aveva paura perfino di calpestare le formiche, non sto scherzando!

Gli volevo così bene...

Glielo avevo detto esattamente due settimane fa, lo stesso giorno in cui mia madre lo annunciò a me. Ero praticamente in lacrime quando sono andata a casa sua.

Gli avevo spiegato la situazione e lui aveva pianto insieme a me per il dispiacere, poi avevamo promesso che avremmo passato il resto delle settimane insieme, senza perderci nemmeno per un secondo.

Era l'unica persona di cui potevo fidarmi ciecamente, l'unico migliore amico e punto di riferimento che avessi mai avuto in vita mia, e non volevo salutarlo così...dirgli addio con le lacrime agli occhi per poi sparire completamente.

Non volevo partire e lasciarlo da solo. E se avesse poi trovato una nuova amica e si fosse dimenticato di me, dopo la mia partenza?  Non lo avrei sopportato mai, perché lui non sarebbe mai uscito dalla mia testa.

Ho bisogno di te. [#1]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora