Capitolo 2: i disegni dimenticati

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Il palazzo era al buio, l'illuminazione era fornita da un interruttore a tempo. Ma Paine era troppo turbata per rendersi conto dell'oscurità che l'avvolgeva. Il luogo in cui era diretta, non godeva delle luci al neon.

Poggiò la mano contro una porta di legno – con cui era stato sostituito il vecchio cancello arrugginito – di cui solo lei possedeva la chiave, e la spinse. La porta celava un corridoio che Paine percorreva da anni. Conduceva a un deposito abbandonato che utilizzava per nascondere i sui quadri. Quadri che nessuno avrebbe compreso.

Raccolse la torcia e si incamminò verso il magazzino nel seminterrato che un tempo aveva ospitato lettini d'ospedale e materiale medico.


Ammassati in scatole di legno, vi erano decine e decine di dipinti. Anni di duro lavoro di un genio folle che doveva rimanere anonimo.

Puntò la torcia sul fondo del magazzino, verso un cancello serrato da un lucchetto che lei stessa aveva posto gettandone la chiave, decisa a non farvi ritorno mai più. Temeva il luogo che il freddo metallo proteggeva. Non si avventurava oltre esso da decenni.

Sul pavimento c'era un piede di porco, che soleva usare per aprire le casse. Posò la torcia in modo che il fascio di luce fosse puntato sul cancello, e lo afferrò.

Colpì ripetutamente il lucchetto finché questo cedette. Tolse la catena e con riluttanza aprì il cancello. Dopo questo c'era una porta di legno, l'ultimo varco che proteggeva il mondo che lei definiva "reale" da quello spaventoso della sua infanzia.

Una sensazione gelida le si riversò nel corpo. Aveva paura. Le guance erano rosee per lo sforzo e temeva che la prolungata esposizione alla pioggia e al freddo le avesse fatto salire la febbre.

Spinse la porta con forza e i cardini cedettero, sembrava che quell'ammasso di legno marcio avesse deciso per lei che era tempo di smetterla di scappare dalla realtà; non avrebbe più potuto chiudere la porta e fuggire via da se stessa e dai ricordi. Oramai la porta poggiava completamente al suolo e Paine dovette sforzarsi per non farla cadere.

Emise un verso gelido che vibrò insinuandosi nei condotti. Recuperò la torcia e camminò in cerca di una stanza che costeggiava la parete ad est. Si trattava di una stanza ricavata nella roccia, che un tempo doveva essere stata usata come luogo in cui i contrabbandieri riposavano prima di ripartire.

Poggiò le dita sul pomello gelido e lo girò. Illuminò l'interno.

Era piccola e spoglia. In un angolo erano ammassate delle fascine di legno rinsecchito e qualche attrezzo da lavoro.

Paine si rasserenò. "Non c'è niente qui" disse con sollievo. Si voltò per andare via.

Toc toc toc.

Le si mozzò il respiro. Delle dita stavano tamburellando sul pavimento. In quella stanza, qualcuno, oltre a lei, respirava. Un respiro affannoso, vittorioso.

Mosse lentamente la testa in direzione del rumore. Girò prima un piede, poi la gamba.

Il respiro divenne più intenso, non si trattava del sibilo del vento.

Strinse la torcia, quasi a trarre forza dall'oggetto, e, con uno scatto della mano, fece percorrere al fascio di luce una falce, che illuminò alla svelta gli spazi.

Per un millesimo di secondo, la falce illuminò una figura eterea, un fantasma.

Paine emise un gemito di terrore e addossò le spalle al muro. Roteò la torcia in ogni direzione per rintracciare la visione, ma non c'era nessuno.

"La mia immaginazione..." Si posò una mano sul cuore per calmarne i battiti, nel farlo abbassò la torcia, che illuminò un punto più scuro del pavimento.

Il terriccio era stato smosso di recente.

Si avvicinò al fosso e al suo interno intravide un cartoncino celeste. Con la mano scostò il terriccio rimanente e recuperò una scatola di scarpe per bambini.

"No" disse, sconfitta.

Si sedette sul pavimento, non aveva timore di essere aggredita alle spalle. Tolse il coperchio.

Il primo disegno era una rappresentazione infantile di un omicidio.

Con la mano tremante passò al secondo disegno, non dissimile dal primo.

Diede una veloce scorsa agli altri fino ad arrivare al bel viso di una donna con i capelli biondi.

"Iside..." sospirò.

L'ultimo disegno la terrorizzò. Si lasciò scivolare l'intero blocco dalle mani. I fogli si sparpagliarono sul pavimento confondendo l'ordine cronologico.

Coprì la bocca spalancata.

Su quel disegno c'era la manifestazione dei suoi ricordi, era Robert. Robert era reale.

Raccattò i disegni velocemente e li infilò nella scatola, richiudendola. La tenne tra le mani a lungo, non sapeva se portarla fuori dal nascondiglio o seppellirla per sempre.

Non ricordò che, in passato, aveva posto in cima al blocco il disegno di Robert e subito dopo quello di Iside. La scatola non era stata sotto il pavimento di terra battuta per venti anni. Qualcuno l'aveva ripresa molto prima e aveva guardato i disegni più volte, dimentico dell'ordine originale.

Qualsiasi fosse stata la sua decisione – dimenticare o ricordare – non avrebbe avuto scelta.

L'Angelo della MorteTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang