Capitolo 9

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Il sole era alto nel cielo e con i primi generosi raggi rischiarava la città ancora addormentata. Una folata di venticello fresco, tipico delle prime settimane di settembre, si insinuò attraverso la finestra di Paine. Era sveglia da ore. Erano trascorse due settimane dal suo incontro con Robert e da allora gli eventi si erano susseguiti ad un ritmo serrato.

Capitava spesso che sua madre si lagnasse della vita asserendo che non si verificavano particolari cambiamenti – e, pronunciando quella parola al telefono, lanciava uno sguardo speranzoso verso Paine, sperava che scomparisse e la lasciasse in pace. Ora Serena non aveva nulla di cui lamentarsi, il desiderio di un cambiamento si era avverato: la signora Di Vito era morta qualche giorno prima e, siccome non aveva eredi, aveva lasciato una parte del suo patrimonio a Paine.

Ma la bambina era troppo piccola per poter amministrare il denaro ricevuto e Serena ne aveva avuto la custodia fino alla maggiore età della figlia. Ma entrambe sapevano che quei soldi sarebbero scomparsi molto prima. Giusto il tempo di una macchina, un paio di ritocchi dal chirurgo – per eliminare quei segni spiacevoli che Paine le aveva lasciato con la sua nascita – e il resto per i divertimenti.

Serena, nonostante il denaro ricevuto, si era persino lamentata di dover cercare una nuova babysitter. Ma non in pubblico, non lo avrebbe mai fatto. Con gli altri doveva mostrare il suo lato religioso, doveva essere una buona cattolica. Al funerale era in prima fila, si era tenuta un fazzolettino sul volto per tutta la funzione, fingendo di piagnucolare.

Paine era dovuta andarci per forza, disubbidendo al volere di Robert, voleva salutare Dorotea per un'ultima volta. Era l'unica persona abbastanza vicina a Serena da accorgersi del grosso sorriso che la donna cercava di nascondere.

Oltre all'evento – spiacevole o piacevole a seconda di chi ne parlasse – si erano verificati altri cambiamenti per Paine: gli alieni che la perseguitavano erano scomparsi e lei, seguendo il consiglio di Robert, si stava esercitando nella pittura.

Aveva cambiato la disposizione dei mobili spostando la scrivania sotto la finestra, in modo da tenere sempre d'occhio il giardino, nel caso Robert fosse ritornato.

Ora c'era un ultimo cambiamento da imporre... Guardò la sveglia con la coda dell'occhio, mancavano pochi secondi alle otto. Il meccanismo scattò diffondendo il fragore fastidioso della suoneria per la camera.

Paine deglutì, con un gesto stizzito premette il pulsante per spegnerla.

Puntuale come un orologio svizzero, Serena aprì la porta bruscamente scatenando un movimento d'aria che fece svolazzare i disegni sparsi sulla scrivania. Paine protesse quello a cui stava lavorando, poggiandoci sopra le braccia.

"Svegliati Paine.." Si guardarono negli occhi. "Ah, sei sveglia.", disse delusa. "Vestiti, non voglio fare tardi oggi."

"Devi confessarti?" chiese.

Serena cercò di non pensare all'impertinenza della figlia. Era talmente felice alla prospettiva delle protesi che avrebbero arricchito il suo decolté da non voler arrabbiarsi. "Ovvio, è una cosa che va fatta ogni domenica."

"Hai ragione, la settimana scorsa non hai potuto confessare la felicità della morte di Dorotea..."

Serena era furiosa, sua figlia aveva subìto un cambiamento drastico nelle ultime due settimane, aveva il coraggio di controbattere su ogni cosa. "Metti questo." Le lanciò un vestito verde che le passò sulla testa, oltrepassò la finestra e finì in giardino.

Paine non si mosse e scelse un rosa chiaro tra i pastelli.

"Paine! Perché non l'hai preso?" urlò. La sua voce era tanto forte da far vibrare il vetro della finestra. Non era riuscita a trattenere la rabbia.

"Mi hai detto di metterlo, non che lo avresti lanciato" rispose laconica.

"Sei insopportabile!" sbottò. "Si può sapere cosa ti è accaduto? Se continui a comportarti in questo modo, non troverai mai degli amici!"

Paine guardò il disegno che aveva fatto di Robert. Lo aveva appeso alla parete una volta ultimato. "Nemmeno tu hai amici."

"Ne ho, carina" rispose altezzosa, si comportava come una bambina.

'I tuoi amanti sono amici solo del tuo portafogli.' Non lo pensò lei, ma una persona più matura che albergava in una porzione del proprio cervello, la stessa che le aveva conferito dei ricordi che non le appartenevano. Era accaduto una settimana prima, stava guardando una trasmissione sulla Francia meridionale e i luoghi che vedeva all'inizio le erano familiari, in seguito – quando il cameraman inquadrò uno chiesetta posta su uno sperone di roccia – aveva sorpreso sua madre descrivendo ogni angolo prima che fosse inquadrato. Aveva chiesto a Serena se ci fossero mai state, forse era un lontano ricordo. Ma Serena le aveva rivelato che non si erano mai mosse dall'Italia.

"Ora vestiti, andiamo in chiesa."

"Tu ci vai, io no."

La Regina si voltò con furia. Il viso era talmente contratto da farle apparire nuove rughe. "Cosa hai detto? Ti dispiace ripetere?"

"Hai capito, io in chiesa non ci vengo...e nemmeno la settimana prossima. Non metterò più piede lì dentro." Posò il rosa e raccolse il pastello celeste che era caduto sul pavimento in seguito all'irruzione ventilata di Serena.

"Non..." strinse i denti "...non si discute con me! Sei piccola e fai quello che ti dico io!"

Paine si voltò, gli occhi erano lontani, il viso impassibile. La voce che non le apparteneva disse: "Ciò non vuol dire che tu sia più saggia." Poi tornò la voce familiare. "Tanto non ci vengo."

Serena serrò i denti con uno scatto secco, una goccia di sudore le rigò la guancia. Da due settimane era diventato impossibile imporre le sue decisioni a Paine. Immaginava che il motivo fosse la morte di Dorotea, quella donna era stata una seconda madre per la piccola, forse l'unica. "Vorrà dire che chiederò alla vicina di badare a te. Non è cristiana e non va in chiesa la domenica.." fece il segno delle croce prima di continuare "...tra infedeli vi troverete benissimo." La bambina non le rispose. "Sei insopportabile, lo sai?" Ripeté per l'ennesima volta. Erano due anni che le ripeteva quella frase, giorno o notte, con il sole o con la pioggia, che fosse triste o felice. Ogni occasione era ottima per ferirla, per torturarla, per riversare su di lei tutto l'insuccesso e gli errori commessi in passato.

Paine era stanca del comportamento di Serena, il suo animo era in tormento, non poteva più resistere alle crudeltà. Tentava di rimanere calma ma gli anni di abusi verbali avevano formato uno strato inossidabile di catrame sul suo cuore e non avrebbe mai perdonato Serena. L'odio spingeva, tentava di uscirle dalla bocca. Strinse il pastello nella mano destra, le nocche le divennero bianche. Si udì un crack e il pastello si spezzò in due.

Serena strillò un verso incomprensibile. "Avrei dovuto abbandonarti alla nascita! Questo è il ringraziamento per tutti gli sforzi che ho fatto per crescerti? La mia vita è dura, piccola impertinente, solo per colpa tua! Se non ti avessi, potrei..." Era così furiosa che non finì la frase prima di essere uscita dalla camera. Si udirono i suoi passi in corridoio e un paio di porta che sbattevano durante il suo passaggio.

Paine era sollevata nel veder scomparire la presenza negativa di sua madre.

Completò il disegno ponendo in basso una firma dal tratto incerto. Il disegno raffigurava il volto di una donna dai capelli biondi. Era certa di non averla mai vista e si sorprese della perfezione maniacale che aveva riversato su ogni tratto di quel volto. Non poteva saperlo, aveva ritratto Iside.

L'Angelo della MorteWhere stories live. Discover now