Terza parte: la verità. Capitolo 1

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Con la coda dell'occhio si guardò alle spalle e strinse i fascicoli con forza maggiore. Era certa che ci fosse qualcuno dietro di lei, ma non aveva l'ardire di voltarsi per metterlo in fuga. Aumentò l'andatura per seminare l'inseguitore. Deviò il percorso, scegliendo stavolta una strada con maggiore illuminazione.

L'inseguitore decise di emergere dall'ombra in mancanza di stradine in cui nascondersi. Paine, con la coda dell'occhio, vide la sua figura indistinta e si voltò di scatto in avanti e si guardò disperatamente intorno, in cerca di qualcuno che potesse aiutarla.
Ma non si era accorta che deviando il percorso si era allontana molto da casa, finendo nella zona residenziale della città. La strada era avvolta nella macchia mediterranea e ad ogni passo si precludeva una via di fuga.

I passi dell'uomo erano sempre più vicini, li sentiva nitidamente. Eppure l'inseguitore manteneva il solito incedere, mentre lei oramai era in procinto di correre. Il quartiere residenziale era una babele di viuzze, proseguire la traversata sarebbe stato imprudente.

Non poteva continuare oltre, si voltò di scatto, sperando che quel gesto sorprendesse chiunque avesse alle calcagna. Con stupore, si accorse di essere sola.

Scese dal marciapiede, fermandosi nel mezzo della carreggiata. Si guardò intorno, con le sopracciglia aggrottate per la mole di pioggia che le costringeva di serrare gli occhi, incredula dell'improvvisa sparizione.

Allentò la stretta delle braccia attorno al busto e sentì i fascicoli sfuggirle dalla maglia. Finirono sull'asfalto bagnato e prontamente si calò per raccoglierli.

Proprio in quel momento, una Porche sbucò da un vialetto, sfrecciando a folle velocità verso di lei.

Paine alzò la testa e vide i fari della vettura avvicinarsi, ammiccanti. Si alzò in fretta e si lanciò di lato, evitando l'impatto.

I fascicoli finirono sotto le ruote della macchina che sfondò il cartoncino in cui erano protetti i preziosi documenti, lacerandolo e stracciando i fogli umidi.

La Porche frenò bruscamente dopo averla superata abbondantemente di tre metri.

Paine si rialzò dal pantano di acqua e fango in cui era finita. Il cuore le batteva forte e l'adrenalina in circolo non bastava per bloccare la sensazione di freddo spiacevole della pioggia.

Dalla vettura smontò un uomo sulla cinquantina, che, prima di precipitarsi da lei, si riparò sotto un ombrello nero. "Sta bene, signorina?"

Paine lo guardò avvicinarsi con gli occhi barrati, due aperture fameliche simili agli occhi di un'aquila. "Ma è impazzito?" gli urlò. L'espressione furente si trasformò man mano che i lineamenti dell'uomo le divennero più chiari. Anche se non aveva più i capelli brizzolati, il volto gioviale, l'altezza e persino la silhouette gli erano familiari.

Era lo scrittore che sua madre preferiva: Alberto Gallo.

Sul viso furente di Paine comparve prima lo sgomento, poi la paura. Non ricordava l'uomo solo per aver visto la sua foto sui libri di Serena. Lei lo aveva sognato, ed era proprio in quel quartiere che aveva avuto inizio il suo sogno. Un incubo di solitudine durato quasi vent'anni.

Alberto era appena uscito di casa, un appartamento che Paine conosceva dettagliatamente, sapeva persino che nascondeva una chiave di riserva sull'infisso della porta.

"Signorina, mi dispiace infinitamente." Le protesse la testa con l'ombrello. "Sta bene?"

Paine si rianimò. "Sì, ho solo qualche graffio."

"Non credevo che ci fosse qualcuno al centro della carreggiata, a quest'ora di notte poi."

Paine distolse lo sguardo, gli occhi le finirono sulla poltiglia di fogli sporchi.

Seguendo il movimento della testa, Alberto si accorse del danno. "Erano documenti importanti?" le chiese.

"Ormai sono inservibili."

"Sono rammaricato. Andavo di fretta." Le guardò meglio il viso. "È raro incontrare una bella donna come lei nel mio quartiere, sarebbe stato un peccato privare la terra del suo fiore più bello."

Le parole sdolcinate di Alberto le risuonarono nelle orecchie come fango viscido. Indietreggiò e nel farlo alcuni capelli le si impigliarono nei ferretti dell'ombrello.

"Vuole cambiarsi?" chiese ammiccante. "Vivo qui vicino." Le indicò la casa. "Potrei prestarle un vestito pulito e accompagnarla a casa in macchina una volta che le condizioni atmosferiche miglioreranno." La fissava con perfidia mista ad eccitazione, uno sguardo che Serena avrebbe apprezzato.

Paine scosse la testa. "Devo tornare a casa."

Alberto insisté. "Posso accompagnarla io, non sia timida, accetti il mio aiuto."

"No" disse con autorità.

"Mi scusi se sono tanto invadente...mi sembra di conoscerla, di averla vista nei miei sogni."

"Ora devo andare." Scandì le parole come se fossero una minaccia. Corse via, dimentica degli importanti fascicoli irrimediabilmente danneggiati. La sua fu una vera e propria fuga dalla realtà. Aveva il fiato smorzato, interrotto di tanto in tanto da un accesso di tosse nervosa.

Allontanatasi a sufficienza dall'uomo, rallentò la corsa. Vagò per le strade deserte con l'animo tormentato. Tentava di recuperare un ricordo sepolto ormai dal tempo, il ricordo di un volto, di un incontro avvenuto tanti anni prima. Ma ogni volta che afferrava un lembo del pensiero, le doleva il cuore.

Si sentiva persa, abbandonata, tradita.

"È passato tanto tempo, non ricordo nulla."

Come un lampo, le balenò nella mente un'immagine confusa: una donna che precipitava dinnanzi a lei, il volto tumefatto, un foro le squarciava il cranio.

Era una scena che apparteneva all'orrenda carneficina che si era consumata anni addietro, ma Paine era certa che il ricordo della donna morta fosse solo un'invenzione del suo cervello.

Con il fiato corto, si poggiò al muro che precedeva il viottolo di casa.

Tra il buio fitto dell'androne delle scale, immaginò degli spari che squarciavano il buio, illuminando per pochi secondi le persone che reggevano le pistole. Uomini con strane uniformi, uomini che cercavano una persona; la stessa persona che l'aveva afferrata per portarla in salvo, un uomo dagli occhi verde chiaro.

Scosse la testa per scacciare i pensieri. Il petto magro si gonfiava ritmicamente in cerca di ossigeno. Scostò i capelli bagnati dal viso.

Una folgore squarciò il cielo facendola fremere.

Con passo esitante si avvicinò al portone, specchiandosi nel vetro lucido. Il volto nobile era smagrito, il trucco le colava dagli occhi stanchi. Li ripulì con un gesto veloce. Con le righe nere scomparve anche la coltre di fitte ombre che le offuscavano la memoria. In quel mare ignoto, dalla tempesta furente, emerse un nome. Robert.

L'Angelo della MorteOù les histoires vivent. Découvrez maintenant