Momento di gloria

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Rafael ha dormito sul pavimento. Ha preferito il parquet al divano: scelta comprensibile.
Gli ho detto che poteva sdraiarsi nel letto, ma ha risposto che se avesse accettato l'offerta Evan gli avrebbe strappato le palle, quindi è davvero rimasto a terra. E ha dormito. Sul serio.
Non so come accidenti abbia fatto.
Io non ho chiuso occhio. Ogni movimento è una tortura. Mi sono limitata a starmene sul materasso con gli occhi spalancati e con la sensazione di stare per soffocare.

Quando chiudevo gli occhi rivedevo Dann.
L'orologio segna le otto del mattino, motivo per cui decido che è arrivata l'ora di smettere di provare a dormire e strisciare fuori dal letto. Letteralmente. Non riesco a fare dei movimenti degni di essere chiamati tali. A terra Rafael dorme abbracciato al suo cuscino, i capelli biondi scompigliati. Ha l'aria da saputello anche mentre dorme.
Sorrido al suo corpo addormentato e mi muovo fino ad arrivare alla cucina. È qui che il mio vero cellulare inizia a squillare. Chi mi chiama a quest'ora?

Il cuore mi balza in gola quando leggo il nome del comandante Barrett. Cazzo. Non gli ho mandato nessuna relazione nelle ultime settimane.
Mi tremano le mani mentre rispondo: «Sono indignato, agente Kelley». Mi saluta così.
Come va a Boston? Hai preso bene il trasferimento immediato? Ti sei fatta degli amici? I colleghi ti trattano bene?
«Signore...», la mia voce è roca. «Buongiorno»

«Buongiorno? Mi sono arrivate delle voci che mi hanno fatto rimpiangere di averti spedita lì, agente Kelley. Cambio di centrale operativa, provvedimento disciplinare, relazione con il capo dipartimento contro la criminalità organizzata!», sta urlando.
«Signore...»
«La tua reputazione è finita nel cesso, agente Kelley! Hai rovinato la tua fottuta carriera, agente! Ti ho mandata a Boston per essere i miei occhi e le mie orecchie, non per amoreggiare con il capo dipartimento!»
«NON STO AMOREGGIANDO CON NESSUNO!», sbotto, colta da un'improvvisa rabbia. «È una copertura per una missione!». Mi pento nell'istante stesso in cui lo dico.

Il comandante Barrett può essere a conoscenza di queste informazioni? Non lo so.
Ma presumo di sì.
Insomma, è uno di noi.
«Una missione?», abbassa la voce, forse per non farsi sentire dai colleghi. «Che tipo di missione?»
«Non posso darle tante informazioni adesso. Solo... Mi hanno dato una nuova identità per stare a stretto contatto con un criminale»
«Quale criminale?»
«Io non posso dirle di più, signore. Mi dispiace»
«Agente Kelley!».

Sto per riattaccare quando lo sento minacciare: «Mi aspetto una relazione dettagliata dove mi spieghi tutto quello che sta succedendo! Sono stato chiaro?».
Riattacco senza rispondere. Che casino.
Mi fa male la testa.
Poggio con poca delicatezza il cellulare sul bancone e mi massaggio le tempie. È in questo preciso istante che Evan entra in casa. Lui non bussa. Usa le chiavi come se fosse a casa sua.

Nota subito la mia espressione sconvolta e si blocca sulla soglia, la fronte aggrottata: «Che succede?»
«Niente», mi stampo un finto sorriso sulla bocca. «Solo... Non ho chiuso occhio, la mia gola brucia, il mio corpo è un ammasso di lividi e la mia emicrania vuole darmi il colpo di grazia».
Viene verso di me e solo ora noto una scatola bianca tra le sue mani: «Mi dispiace», sussurra. «Rafael è andato via?»
«Oh, no. È in camera da letto. Sta ancora dormendo».

Uno strano bagliore gli passa nello sguardo e aggiungo in fretta: «Non capisco come faccia a dormire in modo così beato sul pavimento».
Rilassa le spalle: «Ha dormito in posti peggiori».
Esce dalla casa per poi tornare da me con un enorme cesto di frutta tra le mani e diversi mazzi di fiori. Ma cosa?
«Da parte del dipartimento», dice. Fa un cenno verso la scatola bianca: «La torta la manda l'agente Smith. Mi ha chiesto di dirti che è fiero del tuo gancio destro», poi passa ai tulipani rosa. «Colin», borbotta. «Ti ha anche scritto un biglietto».

NON SONO UNA SPIAWhere stories live. Discover now