Troppe emozioni

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Sta succedendo qualcosa di strano. Sono sicura.
C'è decisamente qualcosa che non va.
Mi trovo in un angolo del giardino, sotto un enorme albero e con il cuore che batte velocissimo nel petto. Sono preoccupata.
Chi sono quegli uomini? Non sono degli agenti, ne sono certa.

Ma perché Evan si è mescolato in mezzo alla folla come se fosse uno di loro? Quelle sono persone con cui di solito si evita di avere contatti, ma lui... Mi passo nervosamente le mani sul volto e ripenso alla scena a cui ho appena assistito.
Penso anche al bacio sulla fronte.
Mi ha protetta da quell'uomo con quel gesto. Quindi sa di avere a che fare con gente pericolosa.

Mi sto facendo troppe paranoie? Magari sono dei suoi amici.
Ma non sembravano amici, anzi.
Era come se lui fosse quasi... Il loro capo.
Di solito mi fido delle mie intuizioni e questa situazione sta mandando moltissimi segnali di allarme al mio sistema nervoso.
E se fosse Evan a far fuggire le informazioni?
E se il comandante Barrett stesse cercando proprio lui?
No. Impossibile.

Passo il peso del mio corpo da una gamba all'altra e scatto in avanti verso il punto in cui l'ho visto sparire. Voglio sapere che succede. Mi guardo intorno e mi muovo tra la folla, ma di loro non c'è più traccia. La penombra non aiuta a raggiungere il mio obiettivo. Dove si sono cacciati? Che stanno facendo?

Vago per il giardino per diversi minuti, ma proprio non riesco a trovarli. Decido allora di prendere posto su uno sgabello alto vicino al bancone in modo da avere un'ampia visuale di tutto ciò che mi circonda.
Cosa stai tramando, signor Royden? Perché non hai coinvolto il tuo team?

Provo a trovarlo con lo sguardo diverse volte senza riuscirci. Che nervi. Dovrei aspettare qua e fare finta di niente? No.
Torno a vagare per il giardino fino a quando non vedo Evan uscire da una porta con su scritto: vietato l'ingresso.
Dei due uomini di prima non c'è traccia.

Lui si muove tranquillo tra la gente mentre digita un messaggio sul suo cellulare, poi alza lo sguardo e mi inchioda sul posto. Non so come abbia fatto a trovare con tanta facilità il mio viso in mezzo a tanto caos. Ripone lo smartphone nella tasca dei pantaloni e fa lo slalom tra le persone senza mai smettere di guardarmi.
Più si avvicina, più mi agito.

Il suo sguardo è come una fiamma che brucia in una foresta buia. Mi schiarisco la voce e provo a formulare delle domande di senso compiuto, ma lui cancella i miei pensieri con la sua vicinanza.
«Ti avevo detto di non muoverti, Darlene», mi afferra la mano e un'ondata di confusione mi travolge.

Cosa accidenti sta succedendo?
Le nostre dita si intrecciano e il mio respiro diventa irregolare mentre lui mi tira verso di sé e mi conduce attraverso la folla.
La sua presa è ferma, decisa, prepotente. Guardo i nostri palmi che si toccano e mi manca l'aria.

Provo a liberare la mia mano dalla sua stretta, ma non me lo permette. Si ferma solo per il tempo di ammonirmi con lo sguardo e invitarmi silenziosamente a camminare.
Che odio. Che odio. Che odio.
Come fa a dare ordini senza aprire la bocca?
Torna a guidarmi in mezzo alla gente fino a quando non raggiunge la sala interna del locale. Qui finalmente lascia libere le mie dita dalla sua stretta e fa un cenno del capo in direzione del tavolo in cui si trovano i miei colleghi: «Prendi le tue cose e raggiungimi fuori». Eh?

Si accorge della mia espressione da pesce confuso, dunque torna a parlare: «Ti spiegherò tutto dopo. Adesso, per favore, prendi le tue cose e raggiungimi»
«Sono confusa»
«Muoviti», alza gli occhi al cielo, scocciato e irritato dal mio atteggiamento. Sparisce in fondo alla sala senza attendere altre risposte, pienamente consapevole del fatto che farò proprio come mi ha detto lui.

Non sto capendo niente.
Zero.
Ma chi sono io per contraddire Evan Royden?
Faccio come mi ha ordinato: recupero borsa e giacca senza dare troppe spiegazioni e mi fiondo nel parcheggio dove Evan mi sta già aspettando, appoggiato con nonchalance sulla sua moto scura. Mi porge un casco ed un brivido di eccitazione mi solletica la schiena.
Dove andiamo?
Come diavolo sono finita qui con lui?

«Hai due opzioni», comincia. «Numero uno: ti accompagno a casa e la tua serata finisce qui».
Schiudo le labbra per ribattere, ma lui mi azzera il cervello con un sorriso diabolico: «Oppure... Vieni con me»
«A fare cosa?»
«Lavoro», sintetizza con una parola.
«Lavoro», ripeto. «Dovrei venire con lei per lavorare durante una serata in cui non sono in servizio? Preferisco tornare dentro e mangiare pizza fino allo sfinimento proprio come avevo programmato, signore», muovo un passo indietro e lui torna a porgermi il casco. Questa volta non mi concede opzioni: «Ti accompagno a casa. Non puoi tornare dentro. Fine della discussione».

Afferro il casco con esitazione e mi tremano leggermente le mani. Continuo ad essere confusa.
«Che succede?», il cuore rimbomba nel petto con un ritmo disumano. Sensazioni contrastanti mi attanagliano senza pietà.
Paura. Rabbia. Curiosità. Fastidio. Attrazione.
Sale sulla moto e il motore ruggente mi intimorisce ancor di più. I suoi capelli neri come l'ebano si muovono accarezzati da un leggero venticello fino a quando non li nasconde sotto il casco. Mi porge la mano per invitarmi silenziosamente a raggiungerlo sulla sella.

Sto per svenire. Lo so.
La testa comincia a farmi male.
Troppe emozioni tutte insieme.
Dovrei seguirlo? Pensa, Althea, pensa.
Al diavolo.
Lo seguo.

Mi sistemo il casco sulla testa e salgo sulla moto senza afferrare la sua mano: «Non voglio tornare a casa», lo avviso. «E gradirei delle spiegazioni su ciò che è avvenuto poco fa in quel giardino, signore», anche perché mi pare ancora di percepire le sue labbra sulla fronte, signor Royden.
Ignora le mie domande e parte, costringendomi ad aggrapparmi ai suoi fianchi per non essere sbalzata all'indietro.

Il locale sparisce alle nostre spalle mentre ci allontaniamo.
«Mi sta portando a casa?», chiedo.
Non ottengo risposte.
«Signor Royden», ritento.
Si ferma al rosso di un semaforo e il motore ruggisce come una belva selvaggia. Evito di pensare al mio corpo totalmente attaccato al suo e mi sforzo di rimanere concentrata: «Chi erano quegli uomini? Cosa volevano?».

Una moto ci affianca ed Evan gira piano la testa per osservare i due uomini che sono sulla sella. Li fissa per pochi e brevi istanti, poi sfreccia sull'asfalto anche se il semaforo non è ancora diventato verde. «Reggiti forte!», urla. «E non avere paura, okay?»
Poi mi ritrovo a pregare tutti i santi.

Buonasera!!
Finalmente ho trovato due minuti per aggiornare. Ho avuto una settimana stra-intensa. Mi scuso se aggiorno a quest'ora, ma ho preferito farlo adesso piuttosto che farvi aspettare un giorno in più.
Spero che questo capitolo anche se breve vi sia piaciuto, ma mi serviva spezzare il capitolo a questo punto per darvi il prossimo con i fiocchi 😍
Vi lascio con l'ansia.
Fatemi sapere cosa ne pensate e le vostre teorie.
Un bacio grande
Sara
Ps. Se ci sono errori scusate. Rileggerò con più calma.

NON SONO UNA SPIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora