Allontanati

2.3K 260 58
                                    

Non so che cosa succede al corpo degli altri esseri umani quando Evan invade il loro spazio vitale, ma so per certo che cosa succede al mio: il cuore inizia a battere come un tamburo impazzito, ogni cellula del mio essere si risveglia, le mie dita tremano e mi pare di sentire il calore della sua pelle anche senza toccarlo. È come se l'aria stessa attorno a noi si caricasse di energia pronta a scoppiare in una scintilla incandescente.

«Non cerco niente», a malapena sento la mia voce. Evito di guardarlo in faccia, ma trova subito una soluzione a questo problema: mi poggia un dito sotto al mento e solleva il mio viso. Adesso i nostri sguardi sono incatenati. Mi sta leggendo il cervello. Starà leggendo con i suoi poteri mistici la relazione che ho mandato la scorsa settimana al comandante Barret.
«Non ti credo». Ecco. Appunto.
«Lei cosa cerca, signor Royden?», mi sento coraggiosa per una frazione di secondo, cercando di ignorare il suo dito ancora attaccato alla mia pelle.

«Risposte», ribatte senza esitazione e si avvicina ancora di più al mio viso. Mi manca l'aria.
«Non credo di conoscere le risposte che sta cercando, signore». Sto andando a fuoco.
Allontanati.
Allontanati.
Allontanati.

Le sue labbra si inarcano nell'ennesimo sorrisetto diabolico, ma il silenzio che ci circonda gli fa scattare la testa da un lato e anch'io mi concentro su ciò che sta guardando lui.
Tutti gli agenti ci stanno osservando, alcuni con sguardi sorpresi e altri con un pizzico di malizia che mi fa avvampare ancora di più. Evan si allontana e finalmente il suo dito si stacca dal mio mento, ma continuo a sentire addosso la sua impronta digitale.

«C'è qualche problema di cui volete discutere?», la sua non è una domanda, ma un minaccioso invito a farsi gli affari propri.
Tutto intorno a noi riprende vita e il caos della centrale ritorna a farci compagnia mentre Evan mi ammonisce con lo sguardo prima di sparire in fondo al corridoio buio.
Mi lascia addosso una grande angoscia che non mi molla nemmeno diverse ore dopo quando sono a casa e nel mio letto.

Ho fatto una doccia rigenerante e adesso sto scrivendo l'ennesima relazione al comandante Barret, le dita scorrono veloci sulla tastiera mentre gli faccio una breve descrizione di ogni agente con cui sono stata più a contatto: Smith, Cristina, Colin. Evan.
Scrivo che il capo del dipartimento nutre dei sospetti su di me. Non so cosa passi per la sua testa, ma di certo è molto diffidente nei miei confronti. Invio la relazione e avvio una videochiamata di gruppo con Mia e Sarah. Parliamo degli ultimi avvenimenti delle nostre vite e mi fanno compagnia mentre mi preparo la cena: un sandwich con prosciutto e mozzarella. Sono decisamente pronta per un programma culinario.

Poggio il piatto sul tavolo e mangio davanti alle loro facce rimpicciolite nello schermo. Sarah mi sta raccontando di come è caduta ieri giù dal letto a castello quando mi arriva un messaggio da parte di Cristina. Ingoio il boccone e lo leggo ad alta voce; «Ciao Althea! Sono felice di invitarti alla mia festa di compleanno che si terrà venerdì sera presso "Il giardino segreto" alle otto. Ci tengo molto alla tua presenza, quindi non mancare! Un bacio, Cristina», concludo il mio monologo con una smorfia che non passa inosservata.

«Perché quella faccia? È il tuo primo evento sociale a Boston!», Mia batte le mani entusiasta.
«Non credo di volere andare», ammetto. «I miei colleghi iniziano ad essere più gentili con me, è vero, ma continuo a sentirmi a disagio a volte»
«Cristina è stata gentile con te», mi ricorda Sarah. «E credo che ti farebbe bene fare qualcosa a parte mangiare schifezze e lavorare»

«Ehi, non mangio schifezze!», gesticolo con il mio toast e alzo gli occhi al cielo nel vedere i loro volti accusatori. Entrambe scoppiano a ridere e il suono delle loro risate mi rincuora un po'.
«È solo una festa di compleanno. Sarà divertente!», dice Mia.
«Esatto. E forse sarà l'occasione perfetta per rilassarti un po' e socializzare con nuove persone», continua Sarah.
«O rimorchiare», suggerisce Mia.
«O semplicemente passare una serata diversa».

Sospiro e mi rilasso contro lo schienale della sedia: «E va bene», sbotto. «Andrò a questa festa, ma solo perché non ho intenzione di sentire altri vostri tentativi di persuasione. E perché forse un po' di divertimento non mi farà male».
Vedo Mia alzarsi dalla sua sedia e sollevare i pollici: «Brava! Così si fa! E adesso pensiamo a cosa indosserai», e inizia una lunga, lunghissima discussione sui miei vestiti.

Il giorno della festa, però, non perdo nemmeno un istante di troppo per prepararmi. Indosso un completo con un pantalone nero, abbinato a un top coordinato con dettagli luccicanti. Per non sentire freddo ho scelto -Mia ha scelto- un blazer nero per ottenere un outfit total black elegante e mai fuori luogo.
Queste sono le precise parole della mia migliore amica.

I miei tacchi rintoccano sul marciapiede illuminato dai lampioni e dalle luci dei negozi mentre cammino spedita verso il locale. I capelli acconciati in morbide onde si muovono leggeri sulle spalle ad ogni mio movimento. Spero di passare una bella serata. Perché mi mette ansia andare ad una festa con i miei colleghi? Insomma, li vedo ogni giorno! Però è praticamente la prima volta che vedo tutti in una situazione informale.

Sbuffo e mi fermo davanti al rosso di un semaforo; incrocio le braccia al petto mentre aspetto il verde. Per le strade c'è ancora qualche pozzanghera dovuta alle piogge precedenti e sto calcolando lo slalom che devo fare per non inzupparmi i pantaloni quando il rombo di un motore mi fa voltare la testa. Mi fermo ad osservare una moto nera fermarsi proprio vicino a me, a pochi centimetri dalle strisce pedonali che aspetto di attraversare. Fisso le punte dei miei piedi, ma mi sento in qualche modo osservata dal motociclista.

Anche lui, come me, è vestito interamente di nero. Il suo viso è coperto da un casco scuro opaco e gli occhi non sono visibili dietro la visiera. Nonostante ciò, mi pare di sentire il suo sguardo addosso. Mi fissa ed io mi scordo perfino del semaforo.
È lui a fare un cenno del capo in direzione della luce verde e mi riscuoto, camminando con passo incerto sulle strisce pedonali. Volto piano la testa per guardarlo un'altra volta e lo trovo intento a scrutarmi. Ancora. Mi fa ciao con la mano coperta da un guanto nero ed io non ricambio. Mi allontano da lui con una strana agitazione nella pancia.

Raggiungo il locale dopo altri dieci minuti di cammino e ammetto di essermi pentita di aver scelto delle décolleté per questa lunga passeggiatina.
Un vasto parcheggio si estende davanti all'insegna verde luminosa con il nome del locale.
Il giardino segreto.
Il perimetro del parcheggio è incorniciato da lanterne a forma di farfalle e sorrido compiaciuta mentre percorro il sentiero ciottolato che conduce all'entrata.

Il sorriso si spegne sulle mie labbra tinte di rosso quando, proprio alla mia sinistra, vedo lui: il motociclista. Mi viene voglia di svenire e credo di aver appena assunto un'espressione terrorizzata perché l'uomo che prima non ho salutato è Evan Royden. È qui, davanti a me, poggiato alla moto nera, senza casco e con i guanti tra le mani. Le luci al neon gli illuminano gli occhi che sembrano pietre nere brillanti. Ha un sorrisetto leggero sulla bocca, quasi divertito.
Forse sono talmente sconvolta da sembrargli buffa.

Il mio cuore assume un battito frenetico, un ritmo folle.
Stava aspettando qualcuno.
Aspettava me?
«Signor Royden», lo saluto cordialmente e il suo sorriso astuto si allarga, come se avesse pianificato questo incontro e tutto stesse andando secondo i suoi piani.

«Agente Kelley», ricambia con finta formalità. E sottolineo finta perché ha la faccia di uno che vorrebbe ridermi in faccia.
Muovo due passi verso di lui e dondolo sui miei stessi piedi: «Anche lei qui?»
«Pare di sì», le sue iridi si muovono con devastante lentezza lungo la mia intera figura.
«Era lei, prima», mi schiarisco la voce. «Al semaforo»

«Osservazione acuta, agente Kelley», mi prende in giro ed inizia a camminare verso la porta. Io rimango immobile per qualche istante prima di seguirlo a passo svelto.
«Mi stava aspettando per entrare?», la mia domanda lo fa ghignare.
Non mi aspetto una risposta, ma lui mi spiazza: «Stavo tornando a prenderti», mi dice. «Ci mettevi troppo ad arrivare».

Buona sera! 🙌❤️
Come state?
Siamo tornati 🤩🫶🎉
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che Evan vi abbia fatto venire qualche farfallina nello stomaco 😂
Siete pronti per la festa?
Io no 🤯
Succederanno cose 🤐
Fatemi sapere i vostri pareri.
Un bacio grande,
Sara.

NON SONO UNA SPIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora