7- Quin

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Sbatto la porta della mia camera e lo faccio così forte, che i fogli sopra la scrivania volano a terra e un quadro appeso alla parete lì accanto, si stacca dal chiodo e cade di faccia sul pavimento.

Chiudo a chiave, così da evitare ingressi indesiderati e mi stendo sul letto, con le cuffie ben salde alle orecchie, i Radiohead con Creep in modo da non sentire le loro urla. Per potermi isolare da tutto questo schifo, da questo marcio che, lentamente, mi scivola sempre più addosso, infiltrandosi attraverso i pori dell'epidermide per cercare di arrivarmi al sangue, alle vene, agli organi e rendermi infine putrefatto quanto lo sono loro.

Per sempre.

Lo sento strisciarmi sulla pelle anche adesso.

È una sensazione viscida, fredda, che mi fa venire la voglia di scorticarmi la carne dalle ossa.

Lo odio.

La odio.

Odio tutto quanto.

   «Tutto bene ragazzo?»

Sollevo la testa, stando attento a non sbatterla contro il cofano dell'auto che sto tentando di riparare, per fissare mio zio Chet con un sopracciglio incuneato.

Lui abbozza un sorrisetto sfrontato e si avvicina per controllare cosa sto combinando. «Di norma non ti ci vuole tutto questo tempo per aggiustare il motore di una Chevy...»

Gli rifilo uno sbuffo infastidito e torno a concentrarmi sul mio lavoro.

Ha ragione, però.

Di norma a quest'ora avrei già finito.

Oggi ho la testa completamente assente.

Afferro la chiave a esagono giusta e ignoro il corpo di mio zio che si appoggia contro il cofano accanto a me. «Problemi a casa?»

«Il solito...»

Lo sento tamburellare con le dita contro la carrozzeria e io roteo gli occhi all'indietro.

Non sono proprio dell'umore giusto per questa chiacchierata.

Vengo a dare una mano allo zio nella sua officina di quando in quando. È utile per racimolare qualche spicciolo e anche per allontanarmi da quella gabbia di matti che sarebbe casa mia.

Questo quando mio zio Chet, -fratello maggiore di mia madre- non insiste con il voler chiacchierare e ficcanasare negli affari miei.

Tipo ora.

«Allora questo muso lungo è causato da problemi di donne?» Ride e io mi alzo di scatto, chiudendo brusco il cofano. Per poco non glielo sbatto in testa.

Gli rivolgo un'occhiata caustica e, pulendomi le mani dal grasso del motore con lo straccio logoro, mi incammino fino alla macchinetta del caffè. Ignorandolo.

Peccato che lui se ne freghi e mi segua, con la sua risatina rauca che indispone ancora di più il mio umore già schifoso.

Cioè... di norma non ho un umore gioviale di natura, ma attualmente è anche peggiore.

È sempre così quando sono costretto a scappare da casa.

Mi faccio un caffè veloce e lo mando giù ancora bollente. Strizzo occhi e bocca ed espiro dal naso.

«Sì, sì, sì! Qui c'entra decisamente una ragazza», gongola e io vorrei mandarlo a quel paese.

«Io non ho mai problemi con le ragazze.» Getto il bicchiere di plastica nel bidone e vado a lavarmi mani e faccia al lavandino. «Bisogna avere una relazione, per avere noie e io non ne ho. Le ragazze le uso solo come antistress.»

«Uuh! Come è macho, mio nipote!»

Lo guardo in cagnesco attraverso il piccolo specchio rovinato e lui mi ricambia allargando il suo sorriso contornato da rughe d'espressione e una barbetta nera incolta.

Lo guardo in cagnesco attraverso il piccolo specchio rovinato e lui mi ricambia allargando il suo sorriso contornato da rughe d'espressione e una barbetta nera incolta

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Per certi versi, io e Chet ci assomigliamo molto. Ho ereditato molti tratti dalla famiglia di mia madre e alle volte, guardare mio zio è come avere una chiara immagine di come sarò tra venti anni. Anche se spero di non essere rompiscatole e petulante come lui.

Mi asciugo le mani e la faccia e poi vado a sfilarmi la tuta da meccanico. «Qui ho finito...» Estraggo il pacchetto di sigarette dalla tasca posteriore dei jeans e ne recupero una. «Ci vediamo sabato mattina.» Mi avvio all'uscita del garage ingombro di attrezzi e pezzi di ricambio, salutando con un cenno della mano gli altri due ragazzi che lavorano qui.

«Prima o poi mi dirai come si chiama!» Cantilena inseguendomi insistente fino alla serranda in metallo rosso sollevata per trequarti.

Scuoto la testa. «Tu vaneggi...» Infilo la sigaretta in bocca e mi sbrigo ad accenderla, prima di rivolgergli un veloce cenno con la mano, lasciando in bella mostra il dito medio.

Espiro il fumo e scuoto la testa.

Grattacapi con le ragazze... non ho decisamente tempo per queste cose.

Nemmeno se posseggono intensi occhi castani dal particolare taglio affusolato che ipnotizzano e ammaliano, o bocche carnose a forma di cuore che tormentano i sogni più perversi.

Nemmeno se posseggono intensi occhi castani dal particolare taglio affusolato che ipnotizzano e ammaliano, o bocche carnose a forma di cuore che tormentano i sogni più perversi

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NOTA DELL'AUTRICE: Per questa settimana è tutto. Ci vediamo la prossima con un nuovo capitolo... baci baci

Melissa

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