Capitolo 23

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«Conosci il regolamento?».

«Lasciatelo fuori da questa storia», intervenne Chase, affiancandomi e spingendo via la mazza di baseball con cui mi obbligavano a rimanere indietro.

«Fa parte della squadra, nessuno è esentato»

«State esagerando, porca puttana», non avevo mai sentito Chris imprecare in quel modo. Mi afferrò con dolcezza il gomito, sentii il suo calore invadermi le ossa e lo ringraziai mentalmente per quel contatto. Non mi ero accorto di star per crollare, lui mi sorreggeva ancor prima di averne bisogno, anticipava le mie debolezze.

«Lasciate andare Julian», Adam provò a muoversi in avanti, ma qualcuno dell'altra squadra gli diede una spinta e lo fece tornare da noi, come una pallina del flipper che viene rispedita verso l'alto, per riscendere e rimbalzare, frastornando con le decine di suoni e luci. Chase si irrigidì visibilmente, non era raro vedere i gemelli prendere le difese l'uno dell'altro, proteggersi o sorreggersi. Erano la dimostrazione del legame che si crea tra fratelli. Non potevi insultare seriamente uno di loro, senza incorrere nell'ira dell'altro. Per un attimo sperai che Chase si scagliasse contro il tipo che aveva spinto il suo gemello, anche se quello era parecchio più massiccio e aveva negli occhi una luce che si poteva vedere negli sguardi delle persone nelle foto segnaletiche.

«Che cazzo di problemi avete», mi scansai in tempo per evitare di venir colpito dalla palla da baseball lanciata da Alex alle mie spalle. Mi girai scioccato e lo trovai con i denti digrignati, le mani tremolanti abbandonate lungo i fianchi e le guance rosse per la rabbia. Mancava poco e la saliva gli sarebbe scesa dagli angoli della bocca. Con la palla aveva colpito il ginocchio di uno degli avversari, ne fui felice, ma anche turbato, se avesse sbagliato mira avrebbe potuto colpire, oltre che me, anche Julian.

In quel momento compresi perché il coach mi aveva detto che ero facilmente sostituibile. Alex era senza ombra di dubbio un ex-lanciatore. Avrebbe potuto prendere il mio posto se mi fossi dimostrato indisciplinato durante gli allenamenti.

«Perdete la testa facilmente, voi della Zefiro».

«E voi siete soliti rapire i bambini?», Drew si piegò a raccogliere la stessa palla che aveva lanciato Alex e che, una volta rimbalzata contro la gamba dell'altro ragazzo, era rotolata di nuovo verso di noi. La lanciò in aria e la riprese al volo un paio di volte, sul viso uno sguardo allucinato. Appunto, da foto segnaletica.

«Sapete come si dice dalle mie parti, quando si fa un torto coinvolgendo bambini o donne?».

Da dove veniva Drew? Non mi ero mai posto quella domanda, pensavo che fosse un ragazzino ricco e viziato, come la maggior parte dei ragazzi che alloggiavano al dormitorio. Forse, mi sbagliavo.

«Stupiscici».

«Che la merda, che sia di cavallo, gatto o cane, puzza sempre allo stesso modo, proprio come gli esseri umani che si abbassano al livello della feccia che calpestiamo sul marciapiede».

Si diceva anche dalle parti mie, anche se non in questo modo così articolato, noi semplicemente affermavamo qualcosa tipo: «Puzzi come la merda che ho calpestato l'altro giorno», il concetto era chiaro.

«E sapete cosa rispondono queste persone a tale insulto?».

«Cosa?», quei ragazzi si lanciavano occhiate divertite, quasi trattenevano le risate. Forse ai loro occhi Drew sembrava ridicolo, ai miei sembrava uno squilibrato pronto a uccidere, non gli avrei mai riso in faccia.

«Nessuno lo sa, non hanno mai avuto il tempo di parlare, perché si trovavano subito piegati a terra a cercare i denti nella polvere».

E fu proprio questo ciò che successe. Gli avversari ebbero solo il tempo di realizzare cosa avesse detto Drew, che lui si scagliò contro il loro capitano e, con la palla da baseball stretta nella mano, gli diede un pugno alla mascella. I denti non volarono via, ma dall'espressione del capitano potei dedurre che il dolore era stato lancinante. Sputò del sangue a terra, ma Drew non lo fece rialzare, gli diede un calcio facendolo piegare di nuovo dal dolore.

Lanciò in aria e riprese al volo la palla ancora una volta e si voltò verso la sua successiva vittima. Una ginocchiata nello stomaco di uno, una gomitata sul volto di un altro e la rissa iniziò davanti i miei occhi. Julian si divincolò dalla presa del ragazzo che lo aveva tenuto fermo e mi corse incontro. Lo portai subito lontano da quella confusione.

Gli tenevo una mano sulla nuca e lo obbligavo a stare con la testa premuta contro la mia spalla. Non volevo che vedesse le persone picchiarsi, soprattutto perché la furia negli occhi di Drew mi aveva spaventato tanto da avere paura che si potesse voltare verso di me e prendermi di mira.

Una volta chiusi in stanza, lo guardai negli occhi e lo tastai, come se lo stessi perquisendo.

«Stai bene? Ti hanno fatto qualcosa?».

Scosse la testa e mi abbracciò di nuovo. Si era spaventato da morire, proprio come me, ma stava bene, non lo avevano sfiorato nemmeno con un dito. In fondo, si trattava di un bambino, non credo che qualcuno sarebbe arrivato al punto da fare del male a Julian per una faida tra squadre.

***

La mattina dopo sentii bussare alla porta. Non avevo lasciato nemmeno un istante mio fratello, avevo dormito nel suo stesso letto, tenendolo stretto a me, per paura che potesse scivolare via di nuovo.

Aprii piano e mi ritrovai di fronte l'ultima persona che mi sarei mai aspettato.

La teoria dei calzini spaiatiTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang