Ultimi giorni 13

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Mi svegliai. Avevo dormito troppo, aprii gli occhi a fatica. Qualcuno mi stava assestando calci, non per farmi male ma per capire se fossi vivo o morto. Grosso errore dormire così tanto, con i sensi che faticavano a risvegliarsi, circondato da persone. Almeno sei o sette uomini, tutti vestiti di scuro, con armi in mano, chi pugnali, chi bastoni, con bocche e teste coperti. Vedevo solo gli occhi. Mi rialzai con difficoltà, facendo un cenno per rendere palese che fossi vivo e sano.

Erano gli stessi del giorno prima? Non potevo saperlo con certezza, dal momento che non potevo vedere il viso. Eppure erano vestiti nello stesso modo, avrei scommesso qualsiasi cosa sulla loro identità.

«Chi sei, che ci fai qui?».

La follia mi stava soggiogando, dovevo rimanere calmo. Forse l'uomo morente mi aveva contagiato. Li guardai con attenzione, cercando di rimanere rilassato. Non dovevano capire che stavo vivendo una crisi.

«Mi tengo in movimento, non vado da nessuna parte in particolare. Ci siamo già incontrati?».

«Hai visto il nostro compagno? Lo stiamo cercando».

«È morto dopo che lo avete pugnalato e abbandonato».

Mi colpirono con qualcosa, credo un bastone, in piena pancia, non vidi partire il colpo. Mi accasciai sulle ginocchia, poi subii altri colpi alla schiena. Crollai a terra.

«L'hai ucciso, maledetto! Perché? Chi sei?».

«Fermatevi, lo avete ucciso voi! Lo avete abbandonato dopo i sogni, me lo avete rivelato ieri, fermatevi!», supplicai.

Si fermarono, per contemplarmi stupiti. Aspettarono che mi fossi alzato, dolorante e spaventato. Non potevo niente contro tutti loro contro di me. Ero destinato a soccombere, dovevo inventarmi qualcosa.

«State andando a cercare i bunker?».

«Come sai dei bunker? Chi sei, in realtà? Abbiamo perso di vista il nostro compagno, ora lo ritroviamo morto per mano tua. Ti ha rivelato lui dei bunker, ne sono sicuro. Lo avrai torturato, sei diventato folle anche senza occhi gialli. Ma noi non avremo pietà, mi spiace. Pagherai per il tuo crimine e la sentenza è morte e sarà applicata subito».

Indietreggiai, pensai a fuggire ma non sarei riuscito. Mentre li osservavo avanzare con la voglia di punirmi, con gli occhi rabbiosi, vidi oltre loro la profondità del bosco e pensai: al cervo che mi benediva, all'uomo morente che mi svelava un nome, al rifugio che aspettava il mio ritorno, da vincitore. Ero seduto davanti al fuoco mentre appuntavo ricordi delle mie giornate, ero sotto un cielo nuvoloso che provava a nascondere le presenze. Spengo il camino e mi appresto a lasciare casa, cerco La notte silenziosa esplode ma non lo trovo più, eppure l'ho letto, lo rammento. Vedo, sogno, comprendo, mi sveglio, dimentico. Non stavo più scrivendo e la mente scivolava verso dimensioni sconosciute e pericolose.

E allora urlai una parola: Ifid. La Spada che effetto avrebbe avuto su tutto quello che c'era intorno a me? Gli uomini si bloccarono. Abbassarono le mani e mi fissarono.

«Dove hai sentito quel nome? Che significa?».

«Dal vostro compagno prima di morire. Per questo lo avete ucciso, per paura. Mi ha rivelato delle cose e ora seguo le tracce che lui mi ha svelato, niente più di questo. Perdiamo tutti il senno, voi continuate a ripetere le stesse azioni».

Si guardarono l'un l'altro, mentre un rumore oscuro e angosciante squarciava il silenzio. Qualcosa simile a un muggito, misto a un urlo di dolore insopportabile femminile, unito al sibilo di un vento così impetuoso che non si ferma davanti a niente. Il tutto a un volume molto forte, che ci stordì.

Approfittai del momento per fuggire attraverso gli alberi, verso la chiesa.

I miei aguzzini si ripresero e iniziarono a correre, inseguendomi. Voltavo la testa per controllarli, armi alzate, sguardo folle e urla ancestrali. Avrebbero banchettato con il mio sangue. Io avevo lasciato tutto: lo zaino, le provviste, tutto. Non avevo più nulla, non avrei mai ritrovato il punto esatto, non avrei mai ritrovato le mie cose. Continuavo a correre: loro non si fermavano mai, io neanche. Nessuno sentiva la stanchezza oppure correvamo da poco tempo e ci sembrava un'eternità.

Poi, incrociammo un cervo. Non sapevo se fosse lo stesso cervo che mi aveva parlato o un altro, ma possedeva la stessa regalità. Non si spaventò quando si vide arrivare quella massa di persone urlanti. Osservò gli uomini che mi inseguivano, li placò. Ne approfittai per far perdere le mie tracce. Loro, ormai in preda all'esaltazione, si accanirono contro il povero animale, che crollò sotto i colpi violenti. Si era sacrificato per salvarmi, quasi piansi quando lo capii, lasciando che alcune lacrime solcassero il mio viso. Non avrei potuto salvarlo, ero un uomo solo contro tanti, armato solo di un coltello e con una missione da compiere.

A sera arrivai al limite del bosco. In lontananza vedevo il paesino e la chiesa, a valle. Mi inoltrai di nuovo un po' tra gli alberi e mi poggiai con la schiena a un tronco, seduto per terra. Aspettai il mattino, convinto che non sarei riuscito a dormire, con il cuore che ancora mi rimbombava nelle orecchie. Ero talmente agitato che temevo un infarto. Invece, mi addormentai subito, con la testa sulle ginocchia e le braccia che stringevano le gambe.

Mi svegliarono i primi raggi di sole, dolcemente. Ero più lucido, più tranquillo. Mi alzai e guardai intorno a me, per controllare la situazione. Non c'era nessuno. Chissà quell'orda di folli che fine aveva fatto. Sperai di non incontrarli mai più, non sarei stato fortunato un'altra volta. Ripensai al sacrificio del cervo, poi mi avviai verso la chiesa. Enorme, riempiva il mio sguardo. A cosa servisse un edificio così grande in un paese così piccolo non riuscii mai a capirlo. Non avevo più nulla oltre al mio coltello. Lasciai il bosco con la paura che attraversava il mio corpo, la giornata era molto nuvolosa.

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