Ultimi giorni 10

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Sono passati diversi giorni da quando ho lasciato il mio rifugio sicuro. A pensarci ora, prima ero un uomo diverso. Con più certezze, con meno paure. Un conto è conoscere la natura di un problema, un altro è viverlo, sbatterci contro, rischiare la vita. I primi giorni ero così entusiasta della mia avventura che non ho scritto nulla sul diario, pagine bianche rimaste immacolate. Sia con il sole che con la pioggia, il sorriso non mi lasciava mai: quel cammino rappresentava una rinascita. La sera preferivo accendere il fuoco e dormire pensando a ciò che avevo fatto e a quello che avrei affrontato nelle successive giornate.

Oggi, non posso esimermi dal lasciare una testimonianza. Scrivo più di 24 ore dopo la mia esperienza, eppure mi devo fermare di tanto in tanto. Perché le mani iniziano a tremare e mi costringono ad aspettare che tutto passi. Sono seduto sull'erba, la schiena poggiata a un albero, il sole che lento tramonta. Non ho ancora dormito, spero di farlo stanotte, spero che la mente riesca a liberarsi dalle immagini che mi tormentano, che mi seguono come spettri famelici.

Era mattina, mi dirigevo verso ovest, la giornata era piacevole. Avevo mangiato solo una barretta energetica e bevuto poca acqua, cercavo di razionarla più che potevo. Perso nei pensieri, non avevo notato una donna che raccoglieva qualcosa, forse funghi. Sentendomi camminare, alzò il suo sguardo e mi sorrise, mettendosi dritta e facendo una pausa dal lavoro.

«Buongiorno, è tanto che non vedo nessuno».

«Sono di passaggio».

«Scommetto che fai un lungo viaggio. Perché non vieni a casa con me, è poco distante da qui, subito fuori il bosco».

Di sicuro aveva notato che mi ero irrigidito, perché il suo sorriso si allargò, come a mettermi a mio agio, a tranquillizzarmi. Doveva essere sulla quarantina. Sembrava in salute, sia fisica che mentale. Visto che non rispondevo, cercando una scusa per andare via, riprese a parlare.

«Non aver paura, ti darò un pasto caldo, potrai fare anche una doccia se vuoi. In cambio ti chiedo solo compagnia, una piccola chiacchierata. Vivo sola con mia mamma, ma è molto anziana e malata, quasi neanche parla più. Con tutto quello che sta succedendo non esco e mi ritrovo a trascorrere le giornate nel silenzio, ripetendo sempre le solite operazioni. Ho fatto una scorta di tutto settimane fa, vengo solo raramente qui per prendere un po' d'aria in un posto tranquillo e solitario. A volte trovo bacche o funghi. Puoi fidarti: mangi e vai via se vuoi, altrimenti rimani. Il pezzo di strada senza alberi è abbastanza breve, non avremo difficoltà a percorrerlo. Hai già avuto brutte esperienze?».

«Qualcosa, nulla di particolare. Ma sono vivo e non mi lamento. Potrei anche seguirti per un pasto caldo. Fammi strada, però dopo andrò via subito».

La donna si voltò e iniziò a camminare verso la meta, visibilmente lieta della mia decisione. Io, dietro di lei in fila, ero indifferente, sempre attento a eventuali pericoli. Mentre lei procedeva indossai il cappello, concentrando lo sguardo sul terreno. Intanto, toccavo con la destra il coltellino che tenevo sempre in tasca. Non parlammo durante il tragitto, nonostante la sua presunta solitudine, ma non diedi importanza alla cosa. Forse anche lei come me preferiva tenere d'occhio l'ambiente per evitare sorprese. Giunti alla fine del bosco, aspettò che mi avvicinassi, poi mi indicò la casa: un piccolo edificio in effetti non lontano. Non aveva vicini intorno, gli altri edifici erano piuttosto distanti.

Ci dirigemmo in fretta verso la sua abitazione, io non mi azzardai a osservare il cielo. Appena entrammo ricominciai a respirare, sollevato.

«Accomodati, fai come se fossi a casa tua».

Era entusiasta della mia visita, una presenza gradita dopo tanta sofferenza e isolamento. Mi guardai intorno, sembrava tutto in ordine e ben curato. Mi rilassai. C'era odore di pulito e un'atmosfera confortevole, che ti spingeva a rimanere, a immaginare pranzi e relax. Mi ripresi, la donna mi parlava. Era da così tanto che non sentivo il calore.

«Vieni, ti mostro il bagno, casomai ne avessi bisogno. Io intanto vado a dire a mia madre che sono tornata. Torno subito, mettiti comodo», disse lei e si avviò sulle scale.

Entrai in bagno e mi sciacquai il viso, osservandomi allo specchio, notando quanto fosse cresciuta la mia barba. Mi sembrò di sentire dei rumori e uscii dal bagno. La donna si trovava ancora al piano di sopra e qualcuno stava gridando, forse la madre si lamentava. Istintivamente mi avvicinai allo zaino, che avevo lasciato accanto alla porta. Indossavo ancora il giaccone. La mano si mosse da sola, inserendosi nella tasca per stringere il coltello. Cercai di capire cosa stesse dicendo, poi la mia accompagnatrice si affacciò dalle scale sorridendo, come a tranquillizzarmi, ma la voce della madre crebbe di tono, ora urlava.

«Dov'è la mia cena??» gridò ripetutamente, con tutto il fiato che aveva in gola. «Portamela subito!».

«Non urlare o lo farai scappare!» le disse la donna voltandosi verso di lei, forse sperando che io non avessi sentito nulla.

Poi, mi parve di vedere un tentacolo spuntare dalla porta e dopo, una figura assurda, enorme, tentacolare, indefinibile, occupò tutta la soglia, urlando ed emettendo versi indescrivibili, capaci di gelare il sangue di chiunque, anche dell'uomo più coraggioso. La donna che mi aveva portato in trappola ora rideva sguaiatamente, urlava anche lei, quasi ululava. Io, paralizzato, non sapevo cosa fare, cosa stesse succedendo. Per un istante pensai che la mia mente fosse definitivamente crollata, tanto era irreale quella visione. Indietreggiai verso la porta, non volevo dare le spalle alle due figure. Con una mano raccolsi lo zaino, con l'altra sentii il freddo metallico della maniglia e la tirai, ma la porta rimase chiusa: senza che me ne accorgessi aveva chiuso la porta a chiave. Colto dalla disperazione pensai di buttarla giù o di lanciarmi da una finestra, rischiando di procurarmi tagli fatali. Poi la donna si lanciò per le scale, un guerriero che si dirige verso la sua preda, assaporando già il sangue. La madre, invece, o quello che era diventata, si muoveva lenta, bloccandosi davanti alle scale, forse incapace a scendere. La sua fame eccessiva l'aveva tradita.

Mentre la donna si scagliava verso di me, estrassi il coltello così velocemente che non se ne accorse e feci un movimento circolare, tagliandole il viso. Si accasciò a terra, il volto irriconoscibile, con un muro di pioggia che lo dipingeva di rosso e finiva sul pavimento ticchettando. Lei urlava dal dolore, rideva e invocava qualcosa, tutto contemporaneamente. La madre sulle scale iniziò a cantare qualcosa di incomprensibile, mi parve di sentire come dei nomi, ma non ci feci molto caso poiché mi sembrava più importante provare a sopravvivere. Prima che la donna potesse reagire iniziai a prendere a spallate la porta che non dava l'impressione di essere troppo robusta. Dopo diversi colpi ben assestati cedette e iniziai a correre verso il bosco. Ovviamente la mia corsa era limitata dalla pesantezza della zaino. Spesso mi giravo a controllare: nessuna traccia delle due donne. Camminai tutta la notte, tormentato da quelle visioni, da quella morte appena sfiorata. Le urla continuavano a rimbombarmi nelle orecchie, nemmeno il silenzio del bosco riusciva a placarmi, a calmare il cuore che stava per esplodermi nel petto.

Ora sono qui. Solo, ancora sconvolto e dubbioso. Tutto sta accelerando, rendendo impossibile prevedere gli sviluppi degli ultimi giorni, rendendo inutile ogni precauzione. Chiunque potrebbe essere una vittima delle visioni, un potenziale carnefice ormai consacrato al male. Vivere in un rifugio, nel tempo in cui la violenza esplode, significherebbe rinchiudersi in una trappola da cui è impossibile fuggire. Fortunatamente, ho deciso di andare via, ma il prezzo che pagherò è ancora tutto da scoprire.

Ora è tempo di dimenticare, tempo di dormire. Dio, ti prego, non farmi sognare.

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