5. I Figli delle Ombre

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I primi tre giorni furono una vera e propria tortura.

Evette e Alech viaggiarono in continuazione, nascosti dalla fitta vegetazione dei boschi che costeggiavano i sentieri principali delle Grandi Pianure, battendo sentieri che solo il soldato sembrava essere in grado di notare. Si fermarono solamente due volte per riposare e mangiare, ogni sosta accolta dalla principessa come una benedizione e un tormento. Senza considerare il corpo dolorante e le vesciche per il continuo sfregamento della pelle delicata sul tessuto dei pantaloni e la sella in cuoio, Evette iniziava a sentire il peso della stanchezza incurvarle le spalle e appesantirle le palpebre. Per non parlare di tutto il tempo che la sua mente aveva a disposizione per pensare, tormentandosi con ricordi di una vita che non avrebbe più condotto e persone a cui non aveva potuto dire addio.

Così, per tenersi occupata, Evette si concentrava su quello che la circondava.

Provava ad identificare gli alberi e le erbe che intravedeva, annoiando Alech con domande sul Continente, sugli animali che si spostavano veloci tra i cespugli o curiosità che le passavano per la testa. In fin dei conti, per lei era la prima volta in quel mondo sconosciuto.

Aveva anche avuto il tempo per studiare il suo accompagnatore.

Alech Tanris era un uomo attraente. Capelli castani lasciati leggermente lunghi gli ricadevano in ciocche disordinate sulla fronte, mentre gli occhi gentili, di un tenue color nocciola, scrutavano la foresta con attenzione. Portava un accenno di barba a scurirgli il volto, irregolare a causa di alcune vecchie sottili cicatrici. Aveva il perfetto fisico e portamento da soldato, dalle spalle larghe fino al cipiglio serio dato dalle folte sopracciglia sempre leggermente contratte. La sua cavalla si chiamava Nan, alba nell'antica lingua.

Era silenzioso, ma premuroso. Evette notava come lui tentasse di metterla a suo agio, come si preoccupasse di chiederle se avesse freddo durante la notte o che mangiasse a dovere. Nonostante quello, Evette non aveva ancora provato a porgli le domande più delicate. Non era certa che lui le avrebbe risposto, ma ci avrebbe comunque provato. Qualcuno le doveva delle spiegazioni.

Durante la notte al termine del terzo giorno di viaggio, decisero di accamparsi ai piedi di un'enorme quercia. Sopra le loro teste, nuvole cariche di pioggia viaggiavano veloci, spinte da una brezza proveniente direttamente dall'oceano.

Cenarono in silenzio attorno al fuoco, con una sorta di stufato privo di sapore che li aiutò a scaldare i loro stomaci. Quando ebbero finito, Tanris aiutò la principessa a preparare un giaciglio sopra il quale riposare e distendere le deboli gambe doloranti. Evette si accomodò, osservando con attenzione il bel viso del soldato. Studiò il luccichio del fuoco riflesso nei suoi occhi e sull'elsa della sua spada. Quando fece per rialzarsi, lei lo fermò.

«Come facevi a sapere dove trovarmi?» chiese d'istinto, sapendo di aver già posto quella domanda, ma senza mai ricevere una vera risposta. Aveva così tanta confusione nella testa che quasi temeva potesse esploderle da un momento all'altro.

Tanris la guardò per qualche secondo, studiandola come se stesse meditando sul da farsi. Alla fine, con un lungo sospiro, si lasciò cadere al fianco di Evette, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Tra le dita indurite da calli, frutto di un continuato allenamento con la spada, rigirò quello che sembrava essere una sorta di piccolo medaglione in ferro. Non era la prima volta che Evette scorgeva quell'oggetto nelle sue mani, e anch'esso si sarebbe aggiunto alla lunga lista di misteri che il soldato portava con sé.

«Faceva parte del piano di emergenza di tuo padre, nel caso in cui un giorno le cose si fossero messe male» rispose lui.

Evette scosse la testa confusa. «Quindi lui sapeva quello che sarebbe successo? Sapeva del pericolo e non ha avvertito nessuno?»

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⏰ Last updated: Mar 20 ⏰

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