PROLOGO

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Dove lui era gioia, io ero dolore;

dove lui vedeva speranza, io assaporavo disperazione;

dove lui era vita, io ero morte;

lui era luce, io ero buio.



Un lampo squarciò il cielo stellato senza il minimo preavviso.

La tempesta si era avvicinata silenziosa alla baia, trascinata dai venti provenienti dalle Isole Solitarie. Soltanto i marinai più esperti ne avevano previsto l'arrivo, sentendo il sapore della brezza marina cambiare sulle loro labbra violacee. Le barche attraccate ai moli della capitale si muovevano irrequiete, dondolate dalle onde senza alcuna tregua.

Come ogni sera, i sacerdoti si riunirono per la preghiera all'interno del piccolo Tempio di Amdir, arroccato sulla scogliera ai piedi della Grande Roccia. Procedevano ingobbiti tra gli stretti corridoi, rigorosamente in silenzio uno dietro l'altro, mentre le lunghe dita arpionavano candele di cera pallida mischiata con sottili fili d'argento. Misere fiamme tremolanti come unica guida nelle tenebre, lacrime dorate del loro Dio splendente.

I fratelli si raccolsero al centro del tempio. La luce soffusa delle Lune Sorelle, mischiata a quella dei lampi della tempesta, penetrava dal grande lucernario scavato nella pietra sopra le loro teste incappucciate, illuminando l'antico albero delle anime, connessione tra la pietra del mondo e il volere degli Dei. Il vento faceva danzare i lembi dei sai candidi e una preghiera venne intonata per rendere grazie alle divinità in subbuglio, accompagnata da una richiesta di protezione dalla furia della tempesta che imperversava fuori dalle robuste mura di pietra che li circondava.

Gli amuleti a forma di sole ondeggiavano irrequieti tra le mani degli umili servi, nella speranza che richiamassero l'attenzione e la protezione del loro Arcano più potente.

Tra i fratelli del Dio dorato c'era un giovane novizio impacciato e dagli occhi scattanti, più impegnato ad ammirare la pioggia scivolare lungo i rami nodosi ed il tronco attorcigliato del sacro albero, che non a dedicare la sua totale reverenza alle implacabili divinità. Era un orfano macilento e dal volto in parte sfigurato, ammaliato dalla botanica e dal miracolo che quella pianta rappresentava, tanto da farlo correre in quella sacra piccola sala ogni qual volta gli veniva concesso del tempo libero tra una faccenda e l'altra. Nulla avrebbe dovuto crescere tra quelle rocce infertili, eppure il seme degli Dei aveva attecchito le sue radici, compiendo l'impossibile. Un miracolo.

Quella notte però, l'intreccio di rami illuminato dai bagliori del cielo creava delle strane ombre sulle pareti. Forme di demoni senza volto e creature dai lunghi artigli sembravano in attesa, trepidanti.

I fratelli del novizio continuarono a cantare senza accorgersi di nulla, le palpebre socchiuse come unico scudo dai demoni.

Gli occhi spiritati del ragazzo seguirono tremolanti quelle sagome, fino a fermarsi sulle parole incise nella pietra ai suoi piedi. I tratti erano grezzi, consumati dal tempo e dalle intemperie, ma i sacerdoti del Tempio di Deai erano tra i pochi a Moroth che ancora sapevano interpretare e tradurre quella lingua antica.

"Quando il fuoco d'acciaio ridurrà in cenere la roccia incrollabile e il fantasma del traditore toccherà le calde acque dello Strettomare,

il Signore delle Tenebre tornerà, e con lui, il suo esercito di ombre.

Con la caduta dei Regni, la Morte e la Vita solcheranno i cieli di Moroth,

ma solo l'Occhio di Sydin, bagnato del sangue degli eredi, potrà sconfiggere l'Eterna Oscurità."

Così recitava quella che veniva chiamata "l'Ultima Profezia". Nessuno sapeva chi avesse eretto il tempio in onore di Amdir, o inciso quelle parole secoli prima, ma tutti conoscevano la leggenda che vi aleggiava attorno. C'era chi ci scherzava sopra nelle taverne dopo qualche calice di birra scadente di troppo, chi invece la ricordava con devota tradizione e un pizzico di malfidenza, ma tutti nella capitale del Sud ne avevano sentito parlare almeno una volta durante le loro misere vite.

Il rombo di un tuono fece tremare la roccia e il ragazzo sussultò. Per un attimo, un solo istante, gli era parso di vedere una sagoma nascosta nell'oscurità.

Ma quando un secondo lampo illuminò nuovamente la sala, in quell'angolo buio non vi trovò nulla. Con un brivido lungo la schiena, pensò che fosse stato tutto frutto dei suoi occhi stanchi dopo una giornata passata a trascrivere vecchie e polverose enciclopedie o, più semplicemente, la sua fervida immaginazione gli aveva giocato un tiro basso. Non era la prima volta che capitava.

Scosse la testa per scacciare quell'immagine sinistra dalla mente, pregando Amdir e le sue sorelle Deai e Desas di perdonare la sua mancanza di attenzione. A capo chino e con occhi socchiusi, tornò a cantare con rinnovato zelo, anche se il cuore gli batteva ancora veloce nel petto per via dello spavento.

Non si accorse che quell'ombra era davvero in quella sacra sala, giusto alla sue spalle.

Alla vista delle parole incise nella pietra, un monito per i mortali e una promessa per le tenebre, l'oscurità sorrise. Continuò a ghignare anche mentre le sue dita sfiorarono la pelle sudata del giovane, accarezzando la sua paura e pregustandone il sapore.

"Gli Dei non ti salveranno" gli sussurrò dolcemente ad un orecchio, sentendolo tremare al suono della sua voce. "Nessuno potrà salvarvi."

The Crown's FireWhere stories live. Discover now