Capitolo Ventiduesimo - La protesi

11 1 0
                                    

Il capannone col treno abbandonato a Kansas City 42 divenne casa nostra.
Ci volle qualche settimana, ma fecimo partire la corrente.

Avevamo anche l'acqua calda.
E un bagno, coperto da delle assi di legno che avevamo lavorato durante il primo mese di permanenza.

Avevamo cucito diverse stoffe per farci dei vestiti nuovi. Costruito diverse facilitazioni per la vita di ogni giorno. Sistemato diverse armi.

La cosa più importante sul quale avevamo lavorato era il rilevatore: un dispositivo a forma di bilancia, coperto da un telo di plastica, che indicava la percentuale di tossicità di un alimento.
Non avevo idea di come potesse funzionare, ma mi fidavo delle parole di Morris Church, dette tempo addietro: Aspen era brava in queste cose.

Avevo capito come mai la ragazza insisteva tanto per tornare in questo posto: c'era tutto quello che ci serviva per condurre una vita normale.

Ed eravamo abbastanza ottimisti da aver abbellitto il posto.

I materassi erano ora disposti all'interno del vagone del treno:
Sul lato dell'entrata posteriore dormivamo io, Brendan Carslaw e Arif Bahar.
Al centro del vagone, Aspen J Sykes e Isabel Cabrera.
Dalla porta anteriore, infine, Joel Church condivideva il posto con suo fratello Morris e con Danny Cabrera.


C'è un lupo grigio.
Mi sta fissando.
Adesso si volta.
Sta guardando nel buio pesto dell'universo espanso.
Correndo nel vuoto, si vede un pianeta.
Rosso.
Lo sento respirare.

Mi svegliai di soprassalto, con un senso di disagio nel petto, e vidi Aspen J Sykes fasciarsi il polpaccio sinistro con una benda biancastra, da fuori il finestrino del vagone.

Saranno state le cinque del mattino.
Fuori si sentiva grandinare, e faceva freddo.

Uscii dal treno per avvicinarmi a lei, all'angolo del capannone.

<< Che stai facendo? >> Le domandai.
Mi zittì con un forte "SH!".

Mi sedetti al suo fianco.

<< Non dovresti ficcarci dentro altri aggeggi di metallo, sai? >>
Le dissi, stropicciandomi gli occhi.

Lei mi guardò e rise sotto i baffi.
<< Non ci ho ficcato niente dentro, stavolta. >>

Mi fece vedere che sotto il bendaggio c'era una specie di cilindro cavo di alluminio, con due barre sottili saldate alle estremità del diametro.
Ed un pedale in fondo, attaccato con due perni al centro dei due lati lunghi.

Quest'ultimo infatti poteva beccheggiare, in modo da permetterle una camminata più naturale.

In pratica, poteva indossare quella specie di "barattolo" come una calza. E camminare senza zoppicare.

<< Hm, non dovresti lasciarla arieggiare?  >>
Sotto al suo polpaccio, la pelle non si era ancora cicatrizzata del tutto.

<< Non lo indosso sempre. Solo quando devo camminare. >>
Mi rassicurò lei, appoggiando silenziosamente il pezzo per terra.

<< Così non devo sentire la puzza delle tue ascelle, ogni volta. >>
Ci misimo a ridere piano, guardandoci negli occhi con complicità.

Dopo un po', le chiesi per favore di provare a dormire.
Si era capito palesemente che soffriva d'insonnia, ma desideravo con tutto il cuore che si mettesse un po' in pace.

La riportai all'interno del vagone, abbracciandola.
Le rimboccai le coperte e le chiesi di dormire.

Mi guardò con i suoi grandi occhi verdi per pronunciare il mio nome con un filo di voce: << Ray... >>

<< Sì? >>

Socchiuse le labbra e guardò le mie, senza nasconderlo.
Deglutii, nervoso.

<< Ti ringrazio per starmi sempre vicino. E per reggermi... In tutti i sensi. >>

Lei pensava di esserci di peso. Di esserci d'intralcio per colpa della sua - quasi improvvisa - disabilità.
Ma Aspen Sykes era indispensabile per tutti noi. Non si rendeva conto del bene che ci facesse, e non era solamente una questione di facilitazioni materiali.

A dirla tutta, ora che Aspen si era costruita una protesi, mi sentivo piuttosto inutile.

Sorrisi con un angolo della bocca.

Avrei voluto dirle che non l'avrei mai lasciata finché mi voleva al suo fianco.
Che avevo bisogno di lei più di quanto ne avessero tutti gli altri.
Che in realtà mi faceva sentire un eroe starle così vicino.

Prima che potessi dire qualcosa, mi abbracciò e mi diede la buona notte.
Poi, camminai verso il mio posto e non chiusi più occhio, guardandola dormire da lontano.


Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.
670 FairfieldWhere stories live. Discover now