🍃Quinto capitolo 𒀭

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Nella stanza aleggiava un delicato odore di sangue. Erdie si stava leccando le dita insanguinate con gusto, contrariamente a quello che credeva, il sangue di Urnamthe era migliore di quelli assaggiati fino a quel giorno.

Intanto l'uomo faticava ancora a riprendersi da ciò che la vampira gli aveva fatto. Non che fosse terrorizzato, piuttosto curiosamente affascinato da lei.

«Voglio conoscere la storia raccontata su queste mura» gli domandó civettuola, avvicinandosi alla parete.
Aveva osservato a lungo quelle immagini statiche, ma quasi vive. A colpirla erano soprattutto due bambini morti, e il terzo ritto che sembrava osservarla. Era quasi pronta a giurare che tutta quella scena le fosse famigliare.

«Ur raccontami ogni cosa...».
Con le dita accarezzò i bassorilievi, sentendo delle strane vibrazioni sotto le dita.

Non si era voltata, ma era certa che anche Ur stesse guardando quelle scene.
L'uomo le disse che si trattava di un poema sul dio Enlil, sovrano del vento, che non aveva mai visto in nessun'altro luogo. «Lì c'è il nome di Ninlil, la sposa del Dio» le disse indicando dei simboli «Proprio sopra quella montagna. Ovvero la montagna cosmica di cui lei è la signora» si fermò un attimo a riflettere. «O meglio, qui dice che lo sarà "quando le sue labbra non saranno più così piccole da conoscere i baci." ».
«E l'isola qui? » incalzò lei, impaziente.
«Noi non abbiamo una vera concezione di "isola" come lo è per voi egizi, ma la vediamo come una terra, la terra chiamata "Dilmun", perfetta e vitale; ed essa è circondata dal mare primordiale mai creato e per questo eterno» si avvicinò alla parete sfiorando la pietra fredda.
«Al dio Enlil era stato proibito accedervi e questo ferì il suo orgoglio. Poiché a lui, dio del vento sempre onnipresente, nulla si può negare, decise di distruggere quella terra aiutato da mostri spietati che devastarono ogni cosa».
Erdie sembrava pensierosa. «Ma questa terra mitica è irrecuperabile? »
«Non ne ho idea» continuó, spostando poi la sua attenzione su una nuova riga, la dov'era scritto che i resti dell'isola erano custoditi dalla neve e dal ghiaccio.

«Neve e ghiaccio? Sei sicuro?»  «Sai cos'è? Non dovreste conoscere il ghiaccio voi egizi»

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«Neve e ghiaccio? Sei sicuro?» 
«Sai cos'è? Non dovreste conoscere il ghiaccio voi egizi».
Erice incroció le braccia al petto, indispettita. «Guarda che da noi il ghiaccio arriva. Una volta l'ho visto scaricare dalle navi».

Tuttavia c'era qualcosa di familiare nell'idea di un'isola un tempo abitata ma ora custodita dal ghiaccio. Ricordó il sogno che tormentava lei e Mineptah da ragazze, quando ancora erano vive.
Entrambe avevano sognato per anni una città bianca e fredda, con una bambina che le implorava di portarla via.
Ma erano passati quasi cinquecento inverni da allora, che quel loro sogno fosse in qualche modo passato alla storia?

Accantonò l'idea subito. Che senso aveva? Si trovava in una terra straniera, molto lontana da casa. Tutto ciò che era stato di quel tempo ormai si era perso fra la sabbia.

Ur guardò i segni cuneiformi e i bassorilievi e dopo quasi un minuto di riflessione iniziò a parlare.
«Qui c'è ancora il dio Enlil che sovrasta il monte cosmico che è posto nella terra perfetta, il Dilmun come ho detto prima. Sotto di sé, quelle tre bambine, sono il cuore pulsante di quella terra: finché saranno in vita lo sarà anche il Dilmun. Il dio ne ha uccise due e la terza è in un limbo: non è viva e non è neanche morta».

«Come se fosse un vampiro? Una creatura come me?» la sua voce era impaziente, non sapeva neanche lei cosa aspettarsi in risposta. Suo padre non aveva trasformato altri umani oltre lei, o almeno era quello che le aveva sempre detto.
Eppure c'era qualcosa che le stava nascondendo, lo sentiva nel profondo.

Ur sembrò pensarci un attimo. «Non ne sono sicuro, vedi quel simbolo sotto la bambina? È il "Ti", il respiro della vita e sotto di quello c'è il simbolo dell'eternità e della morte. È il sonno eterno che attende il risveglio».

Erdie corrugò lo sguardo senza abbandonare quelle immagini. Non riusciva a capire davvero quella storia.
Suo padre le aveva raccontato di Atlantide, l'antica terra dove gli umani avevano dato corpo a sei divinità, tra cui anche lui. E da questo affronto era nata la guerra che aveva distrutto l'isola.

La vampira sfiorò anche la parola Dilmun, poi il glifo "Ti". È ancora qualcosa dentro di lei inizió a scalpitare.

La presenza di suo padre la raggiunse presto, stava arrivando.
«Ur esci, a momenti mio padre sarà qui».

L'uomo si coprì il capo con un mantello ed uscì in gran fretta, nascondendosi dietro le alte colonne oltre le porte di quella stanza.

Poco dopo anche Erdie uscì dalle porte della sua camera. Liberó i capelli dalle lunghe trecce che si era fatta il giorno prima e li lasció ricadere lungo la schiena nuda.
Aveva indossato un abito sumero che il Lord le aveva donato, riccamente decorato con perline e foglie d'oro che le lasciavano il petto elegantemente scoperto; forme che i sacerdoti guardavano spesso con stupore. Tranne sue ovviamente, a cui le forme femminili sembravano non interessare molto.

Quella notte trovó i piccoli neofiti nell'enorme sala centrale che venivano duramente temprati per il sacerdozio.
Le era stato spiegato che quei bambini dovevano irrobustire corpo e spirito, e per farlo restavano spesso ore ed ore in catini pieni d'acqua, nudi e con pesi allacciati alle braccia.

Erdie li guardava con pietà: erano bambini nel fiore degli anni, eppure gli altri sacerdoti li trattavano con indifferenza, sgridando duramente coloro che cedevano.
Era terribile da assistere.

«Noi vampiri poi veniamo giudicati demoni, come mostri senza scrupoli! » aveva detto a suo padre una sera «E questi uomini non sembrano neanche umani. Per farvi un esempio ulteriore, padre, mi sono intromessa fermando un sacerdote che stava punendo con una verga uno dei fanciulli. Quest'ultimo ha avuto perfino l'ardire di guardarmi male per averlo salvato!»

«In Egitto era lo stesso, figlia mia. Non ricordi? »
La vampira aveva sbuffato. «Non significa che fossi d'accordo anche all'ora».

Erdie aveva sempre sentito i bambini come creature da preservare e proteggere, e non come adulti in miniatura. E forse era anche per questo che osservare quella storia incisa sul muro l'aveva scossa parecchio.

Un bambino intrappolato fra la vita e la morte, un'eterna agonia senza scampo. Chi poteva aver condannato ad un destino tale una creatura innocente?

 Chi poteva aver condannato ad un destino tale una creatura innocente?

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Fiore di sabbia, miasma Where stories live. Discover now