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Il nuovo marito di mia madre aveva trentasei anni - cinque in meno di lei - ed era nato in provincia di Reggio Calabria; dopo essersi laureato in Fisica col massimo dei voti, era stato preso per il dottorato all'Università di Catania, in cui in se...

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Il nuovo marito di mia madre aveva trentasei anni - cinque in meno di lei - ed era nato in provincia di Reggio Calabria; dopo essersi laureato in Fisica col massimo dei voti, era stato preso per il dottorato all'Università di Catania, in cui in seguito era stato assunto come ricercatore.

Si poteva pensare che, vista la sua carriera impeccabile da tipico nerd asociale, avesse almeno un sacco di soldi. Non era vero. Malgrado i luoghi comuni, come ricercatore guadagnava poco. Così, a voler cercare in lui un lato positivo, non avrei trovato nemmeno il conto in banca.

Cosa piacesse a mia madre di quello stoccafisso che mi guardava imbambolato sul pianerottolo, non volevo nemmeno immaginarlo.

Era vestito da impiegato modello, portava una giacca di colore blu scuro, un maglioncino dello stesso colore e una camicia a righe celesti che sporgeva dal collo. Mi domandavo come riuscisse a non sudare così conciato, col caldo che c'era.

Sicuramente era a disagio, me ne accorgevo dall'imbarazzo con cui il suo sguardo vagava tra me, la felpa gigante di Stefano che era il mio pigiama e il letto scombinato alle mie spalle. Stavo anche camminando scalza sul pavimento sporco, che era qualcosa di indecente per un maniaco della pulizia come lui. Oltre gli occhiali dalla montatura nera, i suoi occhi rotondi apparivano stupidamente piccoli.

"Hai perso di nuovo le chiavi di casa? È per questo che sei qui, vero?" Lo aggredii, quasi sperando che lo dicesse.

"Ti ho chiamato poco fa, mentre cercavo parcheggio." Mi rispose, timidamente. "Spero di non averti svegliata."

"In effetti sì. Io e Stefano abbiamo studiato tutta la notte, e tu ci hai disturbati."

Dario abbassò lo sguardo e si grattò la testa. "Scusate... scusami. Non potevo saperlo."

Sospirai. "Mi dici che vuoi?"

Guardò con indecisione tra me e il resto della casa. Osservavo le sue iridi azzurre muoversi velocemente e sapevo a cosa stesse pensando: non approvava nulla di quel che facevo. La mia vita non gli piaceva, e mi giudicava, come aveva sempre fatto.

"Posso entrare? Non voglio disturbarti, è solo che non vorrei parlare con te sulle scale."

Socchiusi gli occhi. Odiavo le sue maniere ridicolmente formali; Dario sembrava sempre fuori posto, sbagliato, qualunque cosa facesse. Mi sentivo nervosa davanti a lui, volevo che se ne andasse, e sapevo che non mi sarei calmata finché non l'avesse fatto.

Eppure dovevo resistere.

In qualche modo, avevo promesso a mia madre di trattarlo bene. Venire meno ai patti significava avere meno soldi da spendere in fumo a fine mese. Era come la faccenda del bastone e della carota, un concetto semplice da ricordare.

Mi spostai e lo lasciai entrare. Dario ebbe subito la visione completa di quel disordine che aveva demoralizzato anche me. Mi ricordai in fretta delle canne spente per terra e, prima che lui potesse vederle, presi un cuscino e lo lanciai sopra.

StepfatherWhere stories live. Discover now