XXV

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«Tata, sono giorni che sei sempre triste» Leo si era fatto più vicino a lei, accarezzandole il volto con le manine esili.
Nonostante la tenera età, persino il bambino aveva compreso che la zia fosse diversa.
Si muoveva piano per la casa, come scottata dalle immagini che si riproponevano costantemente nella sua memoria.
Fissava la porta e quasi la sentiva sbattere, ancora e ancora.
Quel rumore assieme ai passi che andavano via senza guardarla se li portava dentro, così come quella canzone che aveva avuto il coraggio di leggere solo la notte precedente.
A distanza di un mese.
Cadiamo insieme, era il titolo in cima al testo.
E lei era sicuramente caduta.

L'aveva chiamato quella notte, incantandosi nell'ascoltare lo squillo del cellulare.
E si era persa nella suoneria, quando non aveva ricevuto risposta, ignara del fatto che Joseph, dall'altro capo della città, fosse rimasto immobile a guardare lo schermo, con le dita tremanti di rimorso.

Agiva come un'automa, mentre la ragione l'aveva abbandonata e lo stomaco si era sgretolato.
Cosa lui facesse non le era dato sapere.
Anche se alle volte curiosava sui suoi profili social.
Adesso la sua musica aveva un nome, mentre sembrava splendere di lucentezza senza di lei.

Holden

Forse peccava di presunzione, nello sperare che quel nome provenisse proprio dal libro che le aveva visto leggere.
Magari aveva pensato a lei, al coraggio di restare che gli era mancato mentre lei lo supplicava silenziosamente, con la gola soffocata da un ti amo trattenuto.

Ti amo.
Un sentimento la cui genesi affondava le radici nella piazza in cui l'aveva incontrato per la prima volta.
Un sentimento che non aveva ragione di esistere in quel momento, ma che pulsava per fuoriuscirle dalle vene.
Era ingestibile, fuori da ogni controllo, fuori da se stessa.

«Leo, ma cosa dici?» rispose al nipote gustandosi le sue carezze.
«Ho sentito papà che diceva di essere preoccupato per te» le confessò all'orecchio, sebbene il padre, una volta accortosi di quell'udente di troppo, gli avesse raccomandato di dimenticare quella frase.
«Hai sentito male» cercò di distoglierlo da quel pensiero, vedendo la sua espressione rilassarsi.
«Va bene, se lo dici tu. Quando viene Joseph?» domandò ingenuamente il nipote, ignaro del dolore sganciato.
«Joseph non verrà più Le'» indurì un po' il tono, perdendo lo sguardo altrove.
«E perché? Chiamalo Tata, digli che ci sono io e sicuramente viene» soluzionò il problema.
«Non si può Leo, io e Joseph non siamo più amici» rispose sbrigativa, sperando di cambiare il prima possibile argomento.
«Allora sono anche io arrabbiato con lui» imbronciò l'espressione, incrociando le braccia e facendole scappare un sorriso.
«Ma come devo fare con te? Non devi essere arrabbiato Tato» sorrise dolce accarezzandogli i capelli.
«Non sa che si perde» la abbracciò, donandole inconsciamente tutto il bene di cui era stata privata.

[...]
«Ciao Joseph, sono Leo. Ho rubato il telefono a Tata per farti questo audio, tanto poi lo cancello così non mi scopre. Volevo dirti che anche se non siamo più amici se vuoi possiamo giocare insieme. Però non lo diciamo a Tata che ti ho inviato, tu vieni e basta. Ah, prima le ho detto che sono arrabbiato con te ma mi stai troppo simpatico. Ah e le ho detto anche che non sai che ti perdi a non essere più suo amico. Allora ci vediamo dopo».
Joseph quasi cedette sulle ginocchia, nel riprodurre quel messaggio arrivato sulla chat con Matilde.

Incredibile.

«Senti Ja, chiudi tu lo studio che io c'ho una cosa da fare» lanciò le chiavi al fratello.

È che c'ho un posto del cuore in cui tornare.

Prospettive /Holden/ Where stories live. Discover now