XXIV

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«Te stava a fa' il filo Mati'» Joseph chiuse nervoso la porta di ingresso seguendola in cucina.
«Ma ci conosciamo da due anni Jo, non mi stava a fa' il filo, come dici tu» si lamentò lei.
«Non hai visto come te guardava, giuro volevo dargli na pizza in faccia» proseguì la protesta per le sue attenzioni.
«Vabbè, cosa vuoi che ti dica? Che c'hai ragione?» alzò il tono di voce, abbandonando la fronte contro il muro gelido.

Non era così che sarebbe dovuta andare.
Non dopo avergli dimostrato, nonostante tutto, che un minuto speso con lui azzerava tutte le ore dedicate agli altri.

«Te attrae Mati'?» era incapace di gestire la gelosia, gli usciva dagli occhi e sputava veleno dalla gola.
Come un'incontrollabile auto in corsa che si schiantava ripetutamente contro le sue medesime insicurezze.
«Sei uno stronzo Joseph, seriamente» e la delusione nello sguardo come la freni?
«Ah io so stronzo mo'? Tu te porti un tipo in casa e io so 'o stronzo? Pensi che sto qua a fa er maritino tuo?» a quel punto tutto avrebbe potuto fermarsi e lei non se ne sarebbe accorta, talmente raggelata dalle accuse.
«Non dire cose di cui potresti pentirti» rispose irrequieta.
«Pentimme de che? Che te stava a magna' co 'o sguardo. Me devi di' qualcosa eh?» la cucina, il suo tribunale personale dell'inquisizione.

«Siamo stati insieme, solo una volta Jo» confessò con un filo di voce, iraconda per aver dato adito alle sue ulteriori critiche.
«Siete stati insieme quindi. E che volevi fa'? Ma te rendi conto Mati'. No dico, ma te rendi conto» ripetè con la voce che superava le barriere della tolleranza.
«Era prima di noi» indicò i loro corpi.
«Prima di noi? Ah adesso ci definisci un noi? Non sei più amica mia?» domandò mentre la cattiveria ghignava sul suo viso.

Smettila. Non rovinare tutto.

«Stai mandando tutto a puttane Jo» scosse la testa, celando gli occhi lucidi dietro le mani.
«Se non ci fossi stato io te lo saresti ancora scopato ve'? E io qua a montarte sto tavolo demmerda e a fa e cose pe' famme perdona'. Tutte uguali siete, tutte» calciò il legno facendola sussultare.

Al quel rumore, il respiro della ragazza si mozzò. La violenza, le urla, la rabbia erano le ragioni per le quali viveva da sola a vent'anni.
Un circolo vizioso che l'aveva intrappolata a lungo, finché non aveva scelto l'isolamento.

E Joseph che era troppo accecato dai nervi per accorgersi del suo sguardo terrorizzato, continuò quel siparietto diabolico incrementando il suo malessere.

«Basta, per favore» tremò accasciandosi alla parete.
Le mani contro le orecchie per zittire i rumori, congelare il tempo, raccogliere se stessa dalla decadenza.

A quel punto il risveglio dal torpore della furia, un secchio d'acqua gelata dritta sul volto. Aveva seminato la distruzione, spalancato le porte della maldicenza.
E non si era limitato alla smoderatezza nell'atteggiamento, l'aveva terrorizzata.

«Non ti voglio più vedere, devi andare via» riprese in mano la ragione lei.

A volte mi dai la vita, a volte mi fai morire.

Mai, avrebbe sopportato una disfunzionalità simile.
Aveva provato ad aiutarlo spremendosi il muscolo al centro del petto, aveva fallito.

«C'hai ragione. Vado via» la furia nell'espressione adesso era stata sostituita dalla vergogna, mentre racimolava i suoi averi sparsi per la casa.
«T'avevo scritto questa» le avvicinò un foglio bianco piegato a metà.

Era la loro canzone.

I giorni passano e io non me ne accorgo, volevi andare piano ed io correvo troppo.

«Bruciala, fai come te pare. Però se te vuoi ricordare chi era Joseph, lo trovi incastrato qua dentro.»

Sei bella che mi fai credere nel lieto fine.

No, Jo. Il lieto fine non fa per noi.

E sai che ho paura di volare perché, c'è chi si è preso le mie ali e le ha tenute per se' .

Prospettive /Holden/ Where stories live. Discover now