25. Blood moon painting red in the sky

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«No. Lei è con me.»

Un sospiro che sapeva di tabacco di quell'uomo mi raggiunse.
Non volevano avere più nulla a che fare con la nostra famiglia, ed era proprio quello il mio obiettivo.
«Devo trattenere sua sorella per intralcio alla giustizia.»

«Stronzate. Non ci sono gli estremi per un'imputazione del genere. Vi denuncio.»
Mi avvicinai a quel cappello ridicolo sotto il quale spuntavano dei ciuffi di capelli sale e pepe.

«Facciamo finta che lei non sia mai stata qui. E nessuno di voi si beccherà un trasferimento in qualche posto sperduto delle Highlands.»

Lo sussurrai all'orecchio di quell'agente: sapevo che per quanto facesse il moralista, era molto più furbo e meno integerrimo di quanto volesse dare a vedere.
E io avevo il potere di fare esattamente ciò che avevi minacciato.
E infatti, mi guardò di sguincio e fece finta che Avalon non fosse quella presenza ingombrante e catalizzatrice di attenzioni maschili che era, ferma e mezza nuda impalata in mezzo alla stanza.

«Non c'è bisogno delle manette.»
Dweller si lamentò mentre stava per essere portato via via. A vederlo così pensai che mia madre si sarebbe incazzata a morte, eppure le mie labbra si incresparono in un sorrisetto soddisfatto.

Sorriso che venne spazzato via dal fatto che si guardarono, Avalon al mio fianco e quel figlio di puttana ancora con la camicia aperta, con una strana luce di confidenza complice che feci fatica a interpretare.

Andiamo, diamine, non c'era bisogno di interpretare proprio nulla.
Avalon aveva i suoi istinti e i suoi appetiti e li aveva forti e prepotenti quanto i miei.

Se fossi arrivato dieci minuti più tardi, probabilmente l'avrei trovata con il suo cazzo da pervertito infilato da qualche parte.
Il sangue mi ribollì nelle vene, la mascella quasi non esplose per la forza con cui la stritolai.
Mai la soddisfazione di guardarlo negli occhi mentre lo vedevo portato via dalle nostre vite me la sarei tolta lo stesso.

«Mi assicurerò che tu marcisca in galera per il resto dei tuoi fottuti giorni.»
Gli dissi soltanto, lui mi guardò con uno sprezzo che avrei voluto cancellargli a suon di pugni sui denti.

«Sei solo un coglioncello di vent'anni a cui hanno fatto credere di essere Dio.»

La porta si chiuse, dopo quella frase.
Calò un gelo nella penombra e quasi non faticai a respirare, come se fossi piombato in un'intimità non mia e me ne fossi appropriato con la forza.
Lei non si era spogliata per me.
Lo aveva fatto per lui.

«Rivestiti.»
Mi voltai verso di lei, tuonando un ordine che lei ignorò totalmente.

«Altrimenti finisco di spogliarti io.»

E sarà doloroso.
E tu ne vorrai sempre di più.

Si strinse il petto tra le braccia incrociate e il broncio incazzato, e il risultato di quel gesto velatamente pudico fu solo quello di farle schizzare le tette sotto al collo.

«Non sei il tipo da finire di spolpare le carcasse lasciate dagli altri. O forse è proprio questo che fanno i corvi.»

Avalon, dannazione.
Come avrei potuto spiegarle le fiamme che mi inghiottivano ogni qualvolta apriva la bocca per dire qualcosa che mi mandava in bestia?

Schiacciarla contro il muro mi avrebbe reso pazzo, ma avevo bisogno di sapere.
Restai a distanza di sicurezza, ma la ingabbiai tra le mie braccia e un tavolino poco distante su cui finì a doversi sedere.
E se avessi potuto diventare un pezzo di compensato, avrei decisamente sperato di finire al suo posto.

«Ho una domanda. Tre parole.»
Quanto cazzo era bella, con lo sguardo sicuro mentre non nascondeva nemmeno un millimetro del suo corpo?
Quanto cazzo era bella, quando invece si sentiva non all'altezza e aveva gli occhi dipinti di timida malinconia?

𝑾𝒀𝑺𝑻𝑬𝑹𝑰𝑨Where stories live. Discover now