19 - Le streghe Abbott

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Ci era voluto tutto l'autocontrollo di cui Daniel Cooper fosse capace per impedire a Katherine di percepire il gelo che aveva fatto seguito a quella sua semplice affermazione. "Era di mia madre. Si chiamava Annalise. Annalise Abbott". 

L'aveva salutata e aveva aspettato in macchina -aprendo e chiudendo le mani sotto il volante per mantenersi calmo- che la ragazza entrasse nell'emporio e scomparisse oltre le scale che conducevano al piano di sopra, prima di ingranare la marcia e precipitarsi a casa. 

Aveva salutato Louis e si era sincerato che i suoi fratelli non fossero in giro, poi era salito al piano di sopra ed era entrato nello studio di Richard: non aveva nessun dubbio che avrebbe trovato lì ciò che cercava. Aveva guardato rapidamente nella libreria privata del fratello tirando fuori ogni libro sulla storia della stregoneria che gli capitasse di incontrare, e poi si era inginocchiato a terra per sfogliarli. I sensi all'erta, per captare ogni rumore, ogni spostamento d'aria, ogni segnale che poteva avvisarlo dell'arrivo di Rick, aveva girato le pagine frettoloso e meticoloso al contempo, finché non era riuscito a isolare il nome che gli stava esplodendo nelle tempie. 

Ripose i libri inutilizzati sui ripiani da cui li aveva tirati fuori, nascose sottobraccio il volume che lo interessava e cancellando le tracce del proprio passaggio fece la strada a ritroso, fino alla sua camera. Si chiuse all'interno e si sedette allo scrittoio, osservando inerme quel nome che gli pareva diventare sempre più grosso sulla pagina.

"Era di mia madre. Si chiamava Annalise. Annalise Abbott".

***

Si faceva chiamare Rosalie Springs e lavorava in una delle stazioni di servizio lungo l'Interstate che passava sopra Templewood, più o meno all'altezza dell'uscita per Riverwood. Era una bella ragazza, una di quelle che davano nell'occhio anche con i capelli raccolti e il grembiule informe sopra i fianchi. Sorrideva sempre, ma di un sorriso furbo e intelligente che scoraggiava il più delle volte i clienti a eccedere nella confidenza da riservarle, anche se poi magari erano pronti a guardarle il culo non appena si voltava dopo aver preso l'ordinazione. 

A Rosalie non dava fastidio. Era l'impiego perfetto, quello: riusciva a raccogliere tutte le informazioni che le occorrevano e aveva sempre la possibilità di levarsi di torno rapidamente in caso di necessità. 

E soprattutto, cosa ancora più importante, era un lavoro all'aperto. Sulla Terra. 

Spesso durante la pausa andava ad appoggiarsi al muretto fuori dal bar, chiudeva gli occhi e alzava il viso verso il sole, incurante del riverbero sulla sua pelle bianca lattea, tipica delle persone con i capelli rossi. La sensazione di calore era meravigliosa, impagabile; era la cosa che le era mancata di più, durante i lunghi periodi di reclusione, in fuga negli Inferi. 

Era proprio durante una di quelle pause al sole, con una sigaretta in mano e gli occhi chiusi rivolti verso l'alto, che aveva sentito parlare due ragazze della festa che si era tenuta la sera prima al Phoenixage di Bourbon City. 

Sfruttando il suo sorriso si era inserita nel discorso fingendo di non aver mai sentito parlare di quel locale, e così aveva scoperto che il capostipite Cooper era in città ma soprattutto che Daniel Cooper, il minore della famiglia di demoni, aveva una nuova fidanzata umana. 

"Una stronzetta fortunata", l'aveva definita una delle ragazze con un sospiro invidioso. Rosalie aveva riso, fingendo un'allegria che non provava, e poi aveva timbrato prima della fine del turno, allontanandosi a bordo di una vecchia automobile azzurra. 

***

-Allora è per questo che girano intorno a Templewood?- 

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