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Pov. Ida

"Oggi sarà una giornata impegnativa" annuncia Giorgia ed io spalanco gli occhi, non è una buona notizia da appena sveglia, vuol dire che vorrà farmi allenare tutto il giorno, letteralmente.
"Intanto memorizza queste tecniche di combattimento corpo a corpo" dice dandomi dei fogli, ri-spalanco gli occhi, il mio cervello non connette nulla alle sette del mattino.
"Giorgia, ma povera... falle fare colazione almeno, non lo vedi che la stai traumatizzando?" per fortuna ci pensa Lola a salvarmi.

Fortunatamente o sfortunatamente, dipende dai punti di vista io sfuggo all'allenamento suicida.
Miguel, mio zio, ci ha imposto di andare dal nostro cugino, il figlio di Josè Duval, nostro zio deceduto, sempre a causa del gioco.
Mio cugino si chiama Noè, è ormai da un anno che è in coma, il suo corpo non era pronto né alla morte di suo padre né agli ultimi grandi cambiamenti climatici che ci sono stati in questi tempi, siamo ad ottobre e un giorno ci sono novanta gradi e quello dopo meno cinque.

Mia cugina non è mai stata in buoni rapporti con Noè e io non l'ho mai conosciuto parlandoci, quindi questa cosa di andare da lui non è cattiveria, semplicemente non ne sentiamo il bisogno.
"Giorgia fermati un attimo alla pasticceria" le dico quando so che da qui a poco passeremo davanti a una pasticceria, la mia pasticceria preferita.
Mia cugina in risposta sbuffa, ma poi fa come le ho detto.

È mezzogiorno quindi non c'è tanta gente, se non per ritirare torte o fare aperitivo.
"Salve, può darmi tre croissant? Uno vuoto, uno all'albicocca, e un'altro al cioccolato."
"Arrivano subito, desidera qualcosa da bere? Cinque minuti e i croissant arrivano."
"Certo, un cappuccino lo prendo con piacere" rispondo alla cameriera mentre dico a mia cugina di aspettare cinque minuti, mi ringrazierà per il croissant lei adora quello all'albicocca.

Arrivo in macchina con un pacchetto di tre croissant dentro.
"Quanto ti sono costati?" mi chiede Giorgia, ci tiene ai soldi, e non vuole avere debiti con nessuno.
"Abbastanza, ma tu pensa a mangiare quando arriveremo all'ospedale, consideralo un mio regalo per quando partirò" le dico, i costi sono altissimi, e pochi si possono permettere questi piccoli lussi.

La macchina frena di colpo, sbatto contro il finestrino.
"Sei impazzita?" chiedo a mia cugina con calma, massaggiandomi la testa.
"Eh, magari lo fossi io, dillo a quelli che mettono divieto di entrata in centro città!" sbotta lei, parcheggiando in un buco, dove non le danno una multa.
"Chi ha avuto questa malsana idea? Lo vado a picchiare ora" dice scocciata.
"Calma sangue freddo, camminare fino in ospedale non ha mai ucciso nessuno, secondo il navigatore sono cinque minuti a piedi" affermo prendendo in mano la situazione.
"Fai strada, ho bisogno di spegnere un attimo il cervello" mi dice.
"Ma se io pensavo che l'avessi già spento come opzione predefinita" la prendo in giro ridendo, mentre comincio a far strada.

Arriviamo in ospedale in otto minuti, perchè Giorgia non sembra ma ci mette una vita a far due passi.
Saliamo al secondo piano e lì troviamo nostro cugino, bendato con macchinette ovunque, e il macchinario del battito di fianco.
Nella stanza erano già arrivati i miei zii, mia zia è silenziosa, non parla, osserva tutto con occhi vacui, mio zio fissa il vuoto, come se fosse sparito con la mente dal luogo in cui è, mia cugina inizia a mangiarsi le unghie, lo fa per calmarsi, questo tipo di atmosfere non le sono mai piaciute.
Noto solo ora che di fianco al suo letto c'è un vecchietto, sui ottant'anni.
Sposto di poco la tenda per vedere se c'è qualcuno con lui, e vedo Dylan, lui si accorge della mia presenza e quando mi vede spalanca gli occhi.
Chiudo subito la tenda.
Sento qualcuno prendermi il braccio: Dylan.
"Parliamo, per favore?" mi chiede, io alzo gli occhi al cielo ma accetto, quindi ci avviamo fuori dalla stanza con gli occhi di tutti puntati su di noi.

"Non dire a nessuno quello che hai visto" mi ordina.
"Non mi interessa andare a dire in giro i fatti tuoi" rispondo con nonchalance.
"Per sicurezza... Sicura che non vuoi risolvere? Quello che è successo l'altra sera è-" lo interrrompo: "Quello che è successo l'altra sera è passato, e per essere felici bisogna eliminare il timore di un male futuro e il ricordo di un male passato."
"Quindi mi hai perdonato?" mi chiede e io soggigno.
"No, non hai capito, ti ho eliminato, sei tu il ricordo del passato, non quello che mi hai fatto, semplicemente te, e farò di tutto per eliminarti definitamente al gioco."
Dylan mi guarda truce, e lentamente il suo sguardo va a farsi sempre più spaventato.
"Tu non sei Ida" dice per poi andarsene, ed io rientro nella stanza d'ospedale, la mia faccia è così apatica e minacciosa che mi farei paura da sola. Non emano il benchè minimo sentimento, ha ragione, non sono più io.
Cosa mi sta facendo diventare il gioco?
È davvero questo quello che mi aspetta se vinco?
Essere una sconosciuta ai miei stessi occhi...

Mi fiondo in bagno, e piango, piango per quel ricordo che mi sono imposta di elimanre, prima di lasciarlo sbiadire e farlo andare via, sperando di dimenticarmene e far andare via il dolore.

The game to die (The Game - 1^)Where stories live. Discover now