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Non sembro una persona che abbia subito dei traumi, non ho paure, non ho fobie, né apparenti né nascoste, mi compiaccio di essere una persona determinata ed autonoma. Nella scia della mia precoce e infantile autodeterminazione le paure e le debolezze non erano contemplate, così, Mattia, ho rigettato con tutte le mie forze le idee che nonna Beatrice quotidianamente trasmetteva.

Non dire, non fare, non cercare, non agire. Rimandare... era questo il suo mantra quotidiano, le parole che farcivano qualsiasi conversazione tra noi, anche nei momenti in cui era "apparentemente" normale.

<<Devo dire a Titti che ho visto in un negozio la maglietta che le piace tanto>> buttavo lì ingenuamente, dimenticando il panico che avrebbe scatenato in mia madre qualsiasi nostra possibile iniziativa.

<<No.>> Era l'immediata risposta <<No, non glielo dire, poi vorrà che tu l'accompagni al negozio. È meglio che tu non ci vada, mi raccomando non glielo dire.>>

A quel punto non sarebbero bastate le menzogne che in modo sistematico raccontavo per metterci una pezza, avevo scatenato in lei il tarlo della paura: avrebbe potuto succedermi qualsiasi cosa, perché mai dovevo accompagnare un'amica con il rischio che mi succedesse qualcosa di male?

Dopodiché non mi mollava e le sue domande e inquisizioni potevano andare avanti all'infinito, per ore, a meno che non mi inventassi una frottola talmente "potente" da rassicurarla che, sì, vivevo felice nella mia bolla a pressione.

Cos'altro pensi che avrei potuto fare? Ragionare e argomentare per portarla alla convinzione che non vi fosse alcun pericolo? Urlare alla sua assurdità e uscire sbattendo la porta? Certo, ho agito così per dritto o per rovescio qualche migliaio di volte, ma non credere che fosse in alcun modo una soluzione efficace. Si rivelava piuttosto la scelta meno intelligente, peggiorandone gli umori e ingigantendo le sue reazioni, sempre a discapito della mia condizione mentale.

Non dire, non fare, non cercare, non agire, rimandare... I mantra ti seducono con la forza della ripetitività, a volte ti vincono. Per quanto sin da piccola abbia respinto con tutta me stessa i messaggi negativi ricevuti, per quanto quelle parole, così contrarie a quelle pronunciate da mio padre, non mi abbiano mai vinta, temo che comunque mi abbiano influenzata, togliendomi istinto e spontaneità, rendendomi più duro il percorso, più sofferta la lotta.

La stessa cosa trovo si possa dire di altro genere di influenze se, a sei anni, vidi Bubbù nel camino.

Stanco di essere ignorato da un'ostinata bimbetta, il male prese forma, facendosi "presente" alla mia attenzione. Sino ad allora infatti l'avevo solo immaginato e neppure con tanto interesse.

Lì davanti e dal vivo, per essere brutto, era brutto davvero.

Ricordo che io e tuo zio Dario eravamo in salotto accanto alla scala su cui mia madre era salita per pulire i vetri di una finestra (ogni tanto accadeva). Sentimmo un rumore provenire dalla cucina.

Mia madre si rivolse a me, che ero la più grande dei due: <<Vai a vedere cos'è, chissà è il diavolo.>> E continuò il suo lavoro. Povera donna, a suo modo stava scherzando.

Ubbidiente andai in cucina a dare un'occhiata. Nel vano del camino, sopra i resti di cenere del fuoco del giorno prima, vidi una specie di enorme gatto color della pece, il corpo ricoperto di corna nere, della forma e grandezza di coni gelato.

Mi guardò a lungo, con gli occhi rossi fissi e cattivi, e infine parlò: <<Stai attenta, vincerò io.>> Lo ripeté più volte, tanto per essere chiaro.

Il suo nero corpo occupava per intero il caminetto, ho ancora viva l'immagine di me impietrita ad un metro da lui, il mio volto e il suo muso alla stessa altezza.

Quando tornai di là da mia madre e le dissi cosa avevo visto, non ci fece caso, liquidando tutto come una fantasia di bambina. La paranoia è autoreferenziale: non contempla le paure altrui!

Raccontai più volte ai miei genitori quello che per me era un fatto accaduto, mi dissero più volte che dovevo aver sognato e confuso l'incubo di una notte con la realtà. Non potrò mai sapere se fossi suggestionata al punto da avere una visione ad occhi aperti ovvero si fosse trattato di un sogno particolarmente vivido.

Già all'epoca una lucida vocina interiore mi ricordava quanto fossi confusa, "inconsciamente consapevole" di essere bombardata con discorsi assurdi, io stessa non credevo pienamente a quanto avessi visto.

Non dire, non fare, non agire, non pensare...

Hai paura di Bubbù?

<<No, te lo scordi!>> continuavo a rispondere tra me e me, l'anima incerta e accartocciata nei pugni che tenevo stretti sul petto, a proteggere il mio cuore.


NON GUARDARE I PESCECANIWhere stories live. Discover now