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Anche quell'estate passò e mi ritrovai a frequentare le scuole medie. Mi affermai subito sul piano scolastico, ben poco sul piano sociale. Ritengo che quel periodo della vita sia il più bello, ricco di nuove scoperte, di prime amicizie ed esperienze. Gradualmente si definiscono gusti e aspettative, si comincia a concretizzare un'idea di se stessi e dei propri desideri. Non dico che mi sia persa molto di quella fase o che sia stato negativo, non l'ho vissuto così, ma c'era sempre un velo che separava me dalla vita, ero spesso dall'altra parte del vetro, prigioniera del mio mondo d'origine, a sbirciare con pacata indifferenza quello che accadeva fuori.

Ero impegnata a crescere, sì, ma prima ancora a resistere, a non lasciarmi travolgere dall'alta marea. A quel punto della mia esistenza il centro del mio mondo era la scuola, il nuovo amore il disegno. Sognavo che da grande avrei fatto l'artista e, con sproporzionato senso della realtà, che a diciotto anni sarei stata una donna indipendente, con un compagno e già un figlio. Dunque, Mattia, tu arrivi venticinque anni dopo le ingenue stime di una bambina di undici anni, immagina quanto più bene ti vorrò per questo.

All'epoca vivevo solo per me stessa, per quello che sognavo che un giorno sarei diventata. Capivo che gli studi erano l'unica cosa che contava e per fortuna non davo alcun peso alla mia, se così può dirsi, "posizione" nel gruppo dei pari. Essere apprezzata, considerata, notata dai miei coetanei era ciò che meno contava per me. Si trattava di istinto di preservazione. Spasmodicamente impegnata ad arrampicarmi su viscidi specchi esistenziali e ostacolata ad ogni passo, non avrei potuto permettermi di considerare raggiungibili anche i tipici obbiettivi della vita normale dei preadolescenti. O meglio li percepivo con l'occhio di un adulto, come scopi futili, ovvero non fondamentali, ricerca di un senso di sicurezza che dovrebbe sostenerci, ma che più spesso ci imbriglia, renderci dipendenti dall'approvazione altrui.

Cominciai comunque a percepire come mi vedessero gli altri. Già da anni mio fratello Maurizio mi ripeteva quanto fossi brutta. Non voleva offendermi, era in lotta contro la poca attenzione che i miei, ciascuno per motivi diversi, potevano dedicare al nostro aspetto. Quelle parole non mi facevano piacere, anzi mi ferivano, perché l'indiretto giudizio sulla nostra famiglia era espresso sotto forma di critica alla mia persona. Avrei voluto spiegargli che non era esattamente colpa mia, che eravamo entrambi figli della stessa triste trascuratezza.

Presto mi accorsi di fare questo stesso effetto anche agli altri. Ero diventata un campo di osservazione adatto al gusto estetico in fieri di alcuni miei coetanei. A quell'età si cominciano a notare cose che da bambini non appaiono: i primi occhiali non alla moda, il taglio di capelli sbagliato, il fisico più che apprezzabile nascosto sotto capi enormi e acquistati in modo casuale. Ne presi atto e mi ci rassegnai non vedendo in quale modo risolvere un simile problema. Nelle rarissime volte in cui mia madre prendeva l'iniziativa di fare una capatina nei negozi per degli acquisti, tornava con metri di stoffa a fiori, ideale per le tende del salotto, ma che lei intendeva usare per farmi un vestito, a suo avviso, all'ultimo grido. Non ho mai capito la sua tendenza a proiettare su di me i suoi gusti estrosi e da signora, anche perché, al momento di acquistare per sé, il più delle volte, sceglieva capi sobri ed eleganti. A questi attacchi insensati alla mia "immagine", reagivo acquistando con mio padre larghi maglioni e jeans dai modelli poco adatti ad una ragazzina. Lui faceva del suo meglio per interpretare le mie richieste, spesso ferme, per quanto errate, difatti non avevo idea di come vestirmi e, in un misto di disagio, insicurezza e confusione, compivo spesso scelte precipitose, pur di risolvere in fretta quell'incombenza.

Pian piano cominciai a vedermi con gli occhi degli altri, che in modo diretto o indiretto facevano commenti sul mio aspetto. Alcune compagne di scuola mi davano consigli su come acconciare i capelli o abbinare i capi, consigli che, se in apparenza non avevano nessun effetto su di me, nella mia mente registravo fedelmente. Forse, pensavo, in un futuro lontano quei suggerimenti mi sarebbero tornati utili.

Sì, perché in realtà l'immediato futuro riservava ancora guai per me e il mio aspetto divenne, se possibile, ancora più trascurato. Durante la seconda media caddi in un forte esaurimento nervoso.


NON GUARDARE I PESCECANIUnde poveștirile trăiesc. Descoperă acum