Rete

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Ferid sbadigliò mentre finiva di scrivere il suo diario. Spesso trovava mortalmente noioso quel compito e si chiedeva come avesse fatto per tanti anni, dalla morte di Claude, a tenere delle registrazioni tanto accurate ogni sera senza mancare mai.

Non avevo tre figli, tanto per cominciare.

Di certo quello influiva molto sulla sua stanchezza serale, e il fatto che all'epoca avesse dai venti ai dieci anni di meno era un fattore rilevante. Era ancora in grado di andare al lavoro presto e tutto il giorno e poi folleggiare in uno dei suoi locali preferiti, qualche volta anche senza dormire, quando si preoccupava di scrivere ogni noioso attimo della sua vita su un quaderno.

Concluse la pagina scrivendo che cosa aveva fatto sentire ai bambini prima di metterli a dormire e che cosa Emma – la loro piccola adottata – gli aveva chiesto sugli opossum. Depose la penna con un dolore tremendo al polso e se lo massaggiò.

Vorrei poterlo fare con il computer...

L'occhieggiò sul lato sinistro della scrivania, ma il suo medico gli aveva detto che scriverlo di suo pugno era importante: aiutava il suo cervello a trattenere i ricordi e, nel caso al mattino si fossero dileguati, era necessario che riconoscesse quegli appunti come suoi dalla calligrafia.

Massaggiandosi il polso vagò con gli occhi sulle scritte che riempivano le pagine di fitte righe.

E quando sarò troppo vecchio? Quando inizierò ad avere... che ne so... l'artrite, o qualcosa che non mi permette di scrivere o di tenere la penna?

Mosso da inquietudine si alzò dalla sedia, ma non fece che pochi passi per poi tornare indietro. Con un sospiro chiuse il diario.

Per quanto ne so potrei essere al punto di non ricordare più chi sono molto prima dell'artrite...

Se un tempo la sua paura più grande era stata di trovarsi un giorno vecchio e completamente privo di affetti, ora il suo incubo era che i suoi cari e i bambini dovessero trovarsi ad avere a che fare con una persona che non li ricordava più.

Avrebbe di gran lunga preferito andarsene come nonna Nancy: serenamente, inaspettatamente, nel sonno ristoratore dopo aver passato una lunga giornata con i nipoti e una sera a teatro...

Il rintocco di mezzanotte dell'orologio da tavolo lo strappò a quei pensieri angoscianti. Fece finta di niente, come se ci fosse qualcuno a guardarlo, e si asciugò l'occhio con un gesto furtivo.

«Crowley non è tornato ancora?»

Guardò il giardino, ma non lo preoccupò non trovar traccia del cagnolino di Eden: più volte aveva trovato Crowley – dopo essersi svegliato in un letto da solo – addormentato sul divano con il piccolo Morgan da un lato protetto dai cuscini e Plumcake che ronfava dall'altra parte.

A quell'ora suppose che si fosse addormentato davanti alla televisione di nuovo. Scese nel soggiorno sicuro di trovarlo lì, ma non vide né lui né il cane, e il televisore era spento. La sola luce accesa era quella sul lavabo della cucina e, fuori, quelle della veranda.

«Sta' a vedere che anche stasera Plumcake non fa i bisognini.»

Ferid uscì sulla veranda a guardare, ma non vide nessuno. C'era la possibilità che si fosse spinto più in là del solito se il cane non voleva saperne, e che fosse arrivato fino alla proprietà di Giselle Newport, la donna anziana loro vicina, per vedere come stava. Gli vennero in mente almeno quattro spiegazioni sensate e un paio di improbabili ma non impossibili, eppure...

Si strofinò le braccia. Era una notte caldina, ma lui si sentiva i brividi addosso. Fu questo a spingerlo a prendere il cellulare sul tavolo e chiamarlo, ma sentì solo squilli a vuoto.

I Figli di PrometeoWhere stories live. Discover now