Autonomia

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Indrek Kotka quella sera scelse uno dei locali che frequentava di meno, per bere qualcosa in modo rilassato: aveva affrontato la settimana più difficile della sua vita dopo quella in cui subentrò al concierge suo predecessore nei Figli di Prometeo.

Sedette a un tavolino d'angolo, nascosto dalla vetrina da una grossa pianta in vaso, con un bicchiere di Sazerac su un tovagliolino. Gli piaceva la musica jazz in sottofondo e si godette un paio di sorsi ascoltando il chiacchiericcio e guardando con curiosità gli altri clienti, finché non ne sbucò uno che venne a sedersi proprio di fronte a lui.

«Ahh, ecco... ci...»

Il ragazzo lo guardò sbalordito quanto lui, poi girò la testa per scandagliare il locale.

«Ma che... oh, ma dai... cazzo!»

Il ragazzo sbatté la testa sul tavolo.

«Non può essere successo di nuovo!»

Kotka intuì dai due bicchieri che portava che si aspettava che ci fosse qualcun altro al tavolo, ma visto che era già vuoto quando aveva ordinato il suo Sazerac la sua compagnia doveva aver preso il volo subito.

«Cazzo» borbottò di nuovo il ragazzo.

Sembrava sull'orlo delle lacrime. A Kotka dispiaceva sinceramente per lui; non poteva dire di non aver ricevuto dolorosi due di picche in vita sua, anche da ragazzo.

«Potresti chiamarla e chiederle di tornare. Sai, le ragazze tendono a tornare sui propri passi se sono costrette a spiegare con chiarezza il perché di un rifiuto...»

Il giovane si passò la mano nei capelli, balbettando qualcosa di incoerente. Si soffermò sui capelli biondo-castani, sulle dita, su una fronte piuttosto spaziosa.

«Il fatto è che... non era una ragazza» spiegò lui, in imbarazzo. «Ero... abbiamo... deciso di uscire, io e un mio compagno del tennis... Credevo che... beh, che almeno potessimo parlare un po'... e se passavamo una bella serata...»

Quando sorrise gli guardò le labbra, rese morbide da qualche tipo di balsamo. Fu allora che decise di non mancare quell'occasione ghiotta. I suoi occhi velati passarono al di là della vetrina, poi, così com'era arrivato, si alzò.

«Beh, non ha importanza, adesso... Scusa se sono piombato qui così. Se ti piace bevilo, a me non va più. Passa una buona serata, almeno tu.»

«Aspetta, aspetta... che fretta hai, eh?» lo bloccò Kotka. «Su, siediti. Io sono qui da solo, magari non è un caso che ci siamo incontrati. Come ti chiami?»

Il ragazzo tirò un sorriso timido e tornò indietro, ma non si sedette.

«Lukas... Lukas Spiegel.»

«Io Indrek. Dai, almeno bevi quello che hai preso. Maschio o femmina, qualcuno che ti pianta senza un saluto non merita che tu stia a piangerlo.»

Dopo una leggera esitazione annuì e si sedette. Aveva un bel sorriso, persino nell'imbarazzo. Anche se non rispondeva ai canoni rigidi che chiedeva a ogni agenzia – ragazzi biondi con occhi chiari e pelle bianca e liscia come alabastro – quel ragazzo gli piaceva. Se giocava bene le sue carte poteva anche trovare un amante gratis, e sarebbe stata la prima volta che riusciva a farlo da più di vent'anni.

«Perché non mi racconti qualcosa di te? Del tennis, per esempio... di solito chiedo se vengono spesso in questo locale, ma tu sei troppo giovane per venirci da tanto.»

Aveva preso la conversazione nel tono giusto: scherzoso, amichevole, simpatico. Lukas rise e iniziò subito a raccontargli dei suoi studi in lingue straniere e del tennis, dei tornei e dei suoi compagni d'allenamento al club sportivo. Poi venne a raccontargli del suo nuovo lavoro nella sicurezza e si accorse che erano stati all'asta la stessa sera.

I Figli di PrometeoWhere stories live. Discover now