Famiglia

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Crowley non mosse un muscolo quando la porta si aprì, se non gli occhi per puntare uno sguardo perforante su Emma e il suo vassoio. Non aveva ancora capito se provava più risentimento per Solenne e quello che lo costringeva a fare o per lei, che la spalleggiava come se il suo comportamento fosse legittimo.

«Portalo via subito» le ordinò gelido.

«Padron Crowley... non hai fame?»

«Come—»

Crowley strinse il pugno per controllare la sua ira.

«Come osi chiamarmi padrone, quando sai che non sono padrone neanche del mio corpo? Lo trovi divertente, forse?»

L'espressione contrita vacillò e per un attimo sembrò voler girare i tacchi e uscire, ma poi ci ripensò. Il suo sguardo gli rimandò più fermezza, come volesse opporsi alla sua rabbia.

«Devi mangiare qualcosa. Non mangi né bevi da troppo tempo.»

«Non ho promesso niente a Solenne, anche se lei pensa che quella farsa sia un vero matrimonio. Non sono obbligato a vivere per lei.»

«Non parlare così» lo pregò la ragazza, accostandosi al letto. «Dio... Dio sa come deve andare. È il pittore dei nostri corpi e lo scrittore delle nostre vite. Abbi fede... se vuole che tu stia con la padrona troverai la serenità. Se non vuole...»

La sua voce venne meno e in un gesto involontario accarezzò la croce che portava al collo.

«Non devi morire. Non è la risposta. Abbi fede e resisti.»

Il mare in tempesta che aveva dentro si placò di poco. Anche se la legge e la morale umana l'avrebbero additata come una complice della sua aguzzina, qualcosa in Emma continuava a dare a Crowley un sollievo, ma quel giorno provare sollievo ascoltandola lo irritava.

«Tu non sei migliore di lei» le fece, aspro. «Forse diventerai proprio come lei tra qualche tempo. Una pazza invasata, ossessionata da un'idea perversa di Dio. Se la servirai ciecamente troverà anche a te un templare? Un discendente di un santo, o di un Papa, o che altro?»

«Padron Crowley, io merito il tuo disprezzo... lo so che lo merito. Ma non sopporto di vedere quello sguardo quando entro in questa stanza.»

«Beh, quello è il mio disprezzo, Emma. Abituatici.»

«Ti manca la speranza» sussurrò lei, dolce quanto lui era aspro. «Non ti aspetti più qualcosa di buono quando si apre la porta... e non riesco a sopportarlo.»

Era una semplice realtà, eppure Crowley non se n'era ancora reso conto. Erano passati pochi giorni eppure era già senza speranza, non si aspettava più che Solenne diventasse ragionevole, che qualcuno come Emma lo aiutasse, o che gli arrivasse finalmente la notizia che Ferid era venuto a riprenderselo.

Emma forse percepì un cambiamento nel suo stato d'animo, perché azzardò di sedersi ai piedi del letto e prese un frutto dal vassoio.

«Ti ho portato una pesca. La cuoca le ha prese fresche dal mercato dei contadini... Sembra che il calore del sole gli sia rimasto dentro! Di certo è deliziosa. Te la sbuccio.»

Prese un coltello d'argento dal vassoio e prese a sbucciarla diligentemente. Crowley non poté non guardarla con sospetto, come si osserva ogni mossa visibile di un mago per scoprirne il trucco.

«Sei disposta a restare?»

«Posso restare quanto vuoi, padron Crowley, la padrona è fuori fino a sera per vedere una sua conoscenza in visita.»

Lei alzò lo sguardo per sorridergli, ma non ci riuscì quando si accorse di come la stava fissando.

«Sei disposta a restare anche se decido di mangiare? L'altra volta con quel tè sei scappata in fretta.»

I Figli di PrometeoWaar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu