Capitolo VI - Sabbia e Sangue

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Alastor

Le gocce colano lungo le stalattiti che penzolano sopra le nostre teste, per poi cadere sul terreno fatto di roccia grezza e grigiastra.

Il fuoco fatuo continua a farci strada, usufruendo della sua luce azzurrina.

L'unico suono che si può percepire, sono i nostri passi che si confondono con il continuo gocciolare.

Da quando abbiamo iniziato questo viaggio, il mio nuovo accompagnatore non ha proferito parola. Sapevo già che Miller, l'angelo della morte, non era un gran chiacchierone e mi va più che bene. In fin dei conti, non abbiamo nulla da dirci.

Non mi aspettavo che mi sarei ritrovato lui davanti alla porta del mio castello, pensavo che mi avrebbero messo a fianco una qualsiasi anima dannata, una delle peggiori probabilmente.

Alla mia domanda del perché fosse lì, non mi aveva risposto, mi aveva semplicemente voltato le spalle e aveva iniziato a camminare.

I miei pensieri vengono interrotti, quando il fuoco fatuo inizia ad agitarsi.

Un cunicolo di enormi dimensioni, entra nel mio campo visivo e lontano dall'apertura, si può vedere una luce soffusa, di color giallastro tendente al bianco.

Ritiro la fiamma, facendola scomparire nel nulla.

Entro nell'apertura, Miller fa lo stesso, e poggio una mano alla parete in modo da orientarmi il possibile in quel cunicolo così stretto.

Purtroppo, a causa della perdita della maggior parte dei miei poteri, vedere attraverso l'oscurità, mi sta risultando difficile e devo adottare altri sistemi.

Con pazienza e calma, finalmente arriviamo davanti a quella luce innaturale: è così intensa.

Chiudo gli occhi e mi avvicino sempre di più, fino a quando non si affievolisce e diventa più tenue.

Lentamente apro gli occhi e rimango stupito di quello che posso vedere: un'immensa arena si erge poco più sotto di noi. Potremo dire che si tratta di un Colosseo riprodotto.

Gli scalini di sabbia e cemento, ci invitano a scendere ed entrare nell'area di combattimento; ai lati di esse, ci sono dei posti a sedere, ma sono completamente vuote e non c'è nessuno che vuole assistere ad uno spettacolo che, a quanto pare, sta per iniziare.

L'area di combattimento è completamente ricoperta di sabbia, detriti, carcasse e scheletri.

«Io se fossi in te, rinuncerei» dice il mio accompagnatore.

Mi giro verso di lui.

«Certo, per te è facile»

Ignora la mia affermazione e inizia a informarmi su che cos'è questo posto.

«Questo è il luogo dove risiedono il Leone Bianco e i suoi segugi infernali. Si dice che un tempo era un re rispettabile e amato da tutti, ma un giorno la sua amata regina venne a mancare per un sortilegio. Lui andò completamente fuori di testa e il regno di pace venne stravolto dal continuo caos che innescava tra le strade della capitale e le terre del suo Regno.

Aveva inaugurato questa Arena in nome della sua amata per donarle le sue vittime, in simbolo di amore eterno.

Venne poi bruciato vivo, si pensava che il diavolo fosse entrato in lui e l'unico modo per liberarlo era quello di ucciderlo».

«Perchè viene chiamato il Leone Bianco?»

«Non lo so, ma credo che lo scopriremo presto».

"Grandioso! Non so quasi nulla del mio avversario, mi tocca pensare al peggio" penso, cercando una strategia efficace.

«Cosa credi di fare? Sei davvero sicuro a compiere un'impresa tanto grande? Non ci riuscirai mai!»

Sulle mie labbra si disegna un sorriso tirato e falso.

Chi si crede di essere per dirmi che non riuscirò in questa impresa?

In fondo, tutto è possibile se ci credo veramente.

«Non mi stupisce che tu mi dica questo: in fondo, sei stato il primo a lasciare il campo di battaglia durante la Grande Guerra».

Mi sovrasta di qualche centimetro; il suo corpo è completamente coperto dalla sua tunica bianca e il cappuccio fa intravedere il suo lungo muso da scheletro e le fiamme poste all'interno dell'orbita oculare; i denti sono ben visibili e impossibili da non notare.

Non ribatte, mi guarda solamente, forse per convincersi che sono diventato completamente pazzo.

Gli do le spalle e inizio ad incamminarmi: «Se vuoi venire bene, altrimenti puoi rimanere lì».

Scendo gli scalini con una calma disarmante, con l'unico obbiettivo di recuperare l'ordigno del mio settore.

Non ho la più pallida idea di cosa mi aspetterà, ma sono certo che sarà una sfida diversa rispetto alle altre che ho affrontato insieme a Kira.

Kira...

Il suo viso mi compare davanti agli occhi con il suo broncio impresso costantemente su quelle bellissime labbra da baciare, gli occhi velati dalla vivacità e i capelli neri puntualmente sciolti.

Ricordo a me stesso che sono qui per lei, per salvarla, per salvarci e concludere questo incubo nei migliori dei modi.

Ormai sono arrivato alla fine di quel breve tratto, mi manca solo uno scalino, dopodiché dovrò vedermela con qualcosa che non so che cosa è.

Mi giro verso gli spalti e trovo Miller impalando proprio dove lo avevo lasciato.

Che idiota! Mi ha accompagnato per poi rimanere lì, fermo sul posto.

Scendo l'ultimo gradino, le miei scarpe toccano la sabbia, ma non succede nulla: c'è solo l'odore di marcio provenire dai cadaveri.

Decido di dirigermi verso il centro di questo spazio e nel mentre avanzo, la sabbia inizia lentamente a entrarmi negli stivali.

«Chi osa disturbare il mio riposo?»

Una voce profonda e gelida, mi accarezza le membra e la pelle, facendomi immobilizzare sul posto. Il freddo invade il mio corpo e il vento inizia a soffiare in modo sempre più forte.

La sabbia inizia a vorticare lentamente per poi girare sempre più velocemente.

Mi copro con le braccia e punto la pianta del piede sul terreno, cercando di non farmi travolgere dalla corrente d'aria.

Un enorme tornado inizia a prendere forma, attirando a sé gli scheletri e i pezzi di carne in putrefazione. Alcune ossa, rischiano di colpirmi, ma le schivo prontamente e si disperdono in quell'ammasso di aria e sabbia.

Ma poi, tutto d'un tratto, il vento cessa di soffiare, il tornado si dissolve e al centro del campo di battaglia, una figura rannicchiata appare davanti ai miei occhi.

Si alza con estrema lentezza, facendo tremare l'intera struttura. Noto in quell'esatto istante che è alto più di quattro metri.

Il suo viso scarno è incorniciato con una barba folta e bianca; le gambe, rivestite di un tessuto bianco, e il petto nudo, sono tonici e muscolosi; gli occhi dorati e simili a quelli dei gatti, mi osservano e disprezzano; sulla bocca è presente una sorta di museruola in ferro battuto; e da lontano posso vedere che una criniera gli spunta dalla schiena, sempre sui toni del bianco.

«Sei entrato nel mio territorio, straniero».

«L'ho fatto per una buona ragione» dico, passandomi le mani sulla giacca piena di sabbia.

Ha messo su un bello spettacolino, non c'è che dire.

«Se sei venuto qui per sfidarmi, non ho alcun problema a tagliarti in due»

Infila una mano dentro di sé, all'altezza del petto, fiotti e fiotti di sangue colano lungo il suo corpo e il terreno viene macchiato dal liquido scarlatto. Lentamente, da quella fessura che si è creata sul suo corpo, una grande sciabola fatta di ossa e ferro viene tirata fuori.

La ferita che si è procurato qualche secondo fa, si rimargina in poco tempo e l'arma dal manico lungo e dalla lama acuminata viene stretta tra le sue mani, e si mette in posizione d'attacco.

«Non sarò clemente, la mia amata Rosanna sarà felice di assaggiare il vostro sangue!»

Sacrifice - Lethal BondDove le storie prendono vita. Scoprilo ora