Capitolo I - Prigionia

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Kira

La sensazione di vuoto mi riempie il mio corpo tremante, il dolore al braccio è sempre presente, ricordandomi che, non molto tempo prima c'era il sigillo del demone che mi ha rubato il cuore.

Ogni giorno le domestiche mi portano il cibo nella mia stanza grigia e cupa, priva della luce del sole. Nonostante ci siano le finestre munite di vetro e sbarre, si può vedere al di fuori di esse e, a parte la lava incandescente e alcuni esseri muniti di grosse ali simili a pipistrelli, non c'è ombra di una singola luce proiettata in cielo.

Non è passato molto tempo dall'ultima volta che ho visto la mia cameretta e l'alba di un nuovo giorno, ma confesso che mi manca tutto ciò, mi manca persino la presenza di mia madre o quello delle altre persone.

Ricordo ancora l'ultima lezione di filosofia del quarto anno, quando, per via di un battibecco, il mio professore spiegò che l'uomo non era fatto per vivere da solo, la sua natura gli impone di rimanere in gruppo.

Ci avevo riso sopra, pensando che si stesse sbagliando. Adesso mi ritrovo per diversi giorni da sola, in una piccola stanza e lontana da qualsiasi contatto umano o demoniaco.

Le uniche cose che sento sono qualche crepitio del pavimento di legno o del fuoco acceso all'interno del camino.

Mi giro nel letto, osservando ogni tanto il cibo che mi era stato portato non molto tempo fa: della frutta, del vino e un dolcetto color porpora.

Ogni giorno, da quando Azazel mi aveva portata via da Alastor e da tutto ciò che conoscevo, avevo deciso di non toccare cibo.

Non mi ero mossa dal letto, il cuscino era ormai bagnato dalle continue lacrime che versavo, il sonno arrivava raramente.

Guardo il soffitto decorato con pitture raffiguranti putti e ghirigori rossi e dorati, e inizio a pensare ad Alastor e come sta in questo momento.

Forse è stato il suo piano sin dall'inizio...

Scuoto la testa, rifiutandomi categoricamente di pensare ad una cosa del genere.

L'ultima volta che lo avevo visto era conciato così male e, se fosse stato un suo piano, non si sarebbe finito in catene e, per giunta, con il sangue che usciva a fiotti.

I miei pensieri vengono interrotti dal suono della maniglia che, lentamente, viene abbassata.

Mi giro verso la finestra, dando la schiena alla porta che si apre e che produce un cigolio sinistro.

Chiudo gli occhi, sperando che la domestica porti fuori il culo da questa stanza e mi lasci in pace, ma quando una voce arriva alle mie orecchie, il mio corpo si gela all'istante e l'istinto mi preme di togliermi di dosso le coperte calde e di fuggire dalla porta non chiusa a chiave.

<<Non ti sembra il caso di alzarti? Sono passati diversi giorni da quando sei arrivata.>>

Mi giro lentamente verso di lui, colui che avrebbe dovuto starmi alla larga e non farsi più vedere, è lì, vicino alla porta con gli occhi verdi e ricolmi di pura malvagità.

<<Non sono affari tuoi di ciò che faccio.>>

<<Oh, ma davvero?>>

Si stacca dalla parete e si avvicina lentamente al mio letto.

Non mi muovo di un centimetro, capendo che è inutile fuggire, anche se ogni fibra del mio corpo mi urla a squarciagola che devo portare le mie ossa fuori di qui.

I miei occhi stanchi cercano di mantenere lo sguardo fisso nei suoi, non riesco a provare nulla, nemmeno la paura.

La forza di combattere non esiste più, il vuoto è entrato in me come una sorta di virus che non vuole mollare la sua preda prima di consumare ogni singola forza dell'ospitante.

Sacrifice - Lethal BondDove le storie prendono vita. Scoprilo ora