Tirare piste come strisce pedonali e mangiarsi le caccole

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Mi siedo su questa panchina nel bel mezzo di un parco che dovrebbe chiamarsi "Volksgarten". Teoricamente dovrebbe essere il punto di incontro con questi fantomatici Theo e Caroline. C'erano altri tre personaggi che Jaco voleva vedere, ma stasera erano tutti impegnati in qualcosa e hanno deciso di fare qualcosa domani. L'unico che si è riservato la serata –e tutta la settimana, in realtà– da quando Jaco ha prenotato il volo è stato Theo. Da quel che ho capito, il suo gruppetto era fatto di quattro persone, tutte insieme fin dall'asilo; poi, dopo che Jaco si era già trasferito in Italia, si è aggiunto un certo Lukas, compagno di scienze al liceo di Andrea –che ho scoperto troppo tardi essere una ragazza– e, anni dopo, Caroline, la ragazza di Theo dai tempi di quell'università da psicotici che hanno fatto. Jaco mi ha accennato qualcosa su tutti quanti, prima di passare mezz'ora a parlare solo di Theo e concludere con "per me lui è come il tuo Lorenzo, solo molto più tedesco". Ho come l'impressione che stasera non vedrò un tipo super drammatico andare in escandescenza per un micro-graffio sulla moto e non sentirò centomila bestemmie e vilipendi contro la religione. Non so nemmeno se esistono le bestemmie in tedesco.

«Uff, la passeggiatina mi ha fatto proprio bene» borbotta Jaco. Ridacchio, lui mi si siede a fianco, ancora col sorriso stampato in faccia. È da quando siamo scesi dall'aereo che è al settimo cielo. Io ero ancora traumatizzato dalle turbolenze, ma lui mi ha preso per un braccio e in quattro e quattr'otto mi ha portato in hotel, fatto lasciare il bagaglio e trascinato in centro per pranzare. Poi, vabbè, abbiamo mangiato un paninetto del cazzo tipo di un minimarket, evidentemente qui si mangia pochissimo a pranzo e ci si sfonda a cena, però è stato contentissimo di anche solo mangiare quel tramezzino prosciutto, funghi e maionese dall'odore orrendo semplicemente perché l'etichetta era scritta in tedesco e l'indirizzo sullo scontrino recitava bello grande "Köln", che ho scoperto essere Colonia nel tedesco ufficiale; "Kölle", come la chiama lui, è in dialetto. Che si chiama Kölsch, come la birra. "L'unica lingua che si beve", ha asserito orgoglioso, trangugiandosene una alle tre del pomeriggio. Sono arrivato stamattina e questo tipo di tedeschi già non lo sopporto più.

Dopo pranzo, mi ha portato in un bar e mi ha preso una fetta di torta al cioccolato e la cosa più lontana possibile da un caffè. Era una specie di... beverone caffellatte pieno di panna montata e sciroppo al cioccolato. Alla mia domanda "scusa, eh, non potevamo prendere un caffè e basta?", mi ha guardato come se avessi appena bestemmiato, poi mi ha detto che questo è il suo posto del cuore, ma il caffè fa comunque cagare, quindi di prendere sempre qualcosa che esulasse il più possibile dall'italica idea dell'espresso. Mi ha fatto cagare pure il beverone, ma non ho avuto cuore di dirglielo, mi sono limitato a sviolinarmela sulla torta che effettivamente era molto buona.

Poi mi ha fatto fare un giro nel centro, mi ha portato su un ponte coi lucchetti degli innamorati e una bella vista su Colonia, se fossi stato in grado di far evolvere le cose con lui, quello sarebbe stato proprio il posto perfetto per un primo bacio. La mia coscienza a forma di Elisa arrabbiata ha provato a ridirmi per l'ennesima volta di mandargli un segnale qualunque per smuovere le acque, ma ci ho rinunciato in fretta. Dopo la serata tutta al femminile, ho provato seriamente per tipo due volte a fare quello che mi avevano detto di fare, ma il risultato è stato molto fallimentare: Jaco che mi guardava confuso, io che mi sentivo coglione. Ho capito che "io" e "provarci" non siamo fatti per stare nella stessa frase, non sono capace a flirtare, a fare le mosse, o qualsiasi altra danza di corteggiamento. Però ero contento lo stesso: eravamo lì noi due insieme, io lo osservavo, lui se ne stava appoggiato al parapetto con lo sguardo vacuo verso la città, non guardava un punto preciso, però aveva quel sorrisino pacifico che ci ha accompagnato tutto il giorno e gli occhi innamoratissimi. È stato, penso, il momento in cui l'ho visto più felice e sereno da quando ci conosciamo, gli ho pure fatto una foto da quanto era bello con quell'espressione e non gliel'ho fatta vedere finché non siamo scesi dal ponte, perché non volevo disturbarlo dal suo attimo di contemplazione. Siamo andati anche a vedere la chiesa in cui partecipava alla scuola domenicale da piccolo valdese e, per par condicio cattolica, il duomo, in cui mi ha fatto salire una quantità completamente errata di gradini per arrivare in cima a una delle torri. Per poi osare dirmi che in realtà la vista più bella ce l'ha un grattacielo con un ascensore. Il triangolo di Colonia. Poteva dirmelo prima di farmi fare centocinquanta metri verticali di scale.

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