Alieno

188 10 2
                                    


Mi farò bullizzare? Assolutamente sì. Mi farò bullizzare da mamma perché ho preso di nascosto le sue cose? Assolutamente sì. Mi farò bullizzare da Eli perché sono decisamente più bravo di lei a usare tutta questa mercanzia di roba? Assolutamente sì. Si prospetta una giornata fantastica.

Mi guardo soddisfatto le mani, poi alzo lo sguardo e mi ritrovo a osservare il mio riflesso allo specchio. Ok, no, direi decisamente troppo. Prima mi sembrava una buona idea, ora pare di essermi scritto "prendetemi a calci" sulla fronte. Finirei con la faccia nel cesso, mi farei trovare mezzo annegato nel piscio da Elisa, il mio datore di lavoro –nonché suo padre– prenderebbe le difese dei miei aguzzini perché non ero "consono a un ambiente lavorativo" e diventerei –oltre che lo zimbello del paese– un caso mediatico, da una parte per la libertà di espressione e dall'altra per l'estinzione della specie umana, visto che stanno diventando tutti quanti omosessuali. Che vita di merda.

Stando meticolosamente attento a non rovinare lo smalto azzurro sulle dita, prendo un dischetto di cotone, ci verso su un po' troppo struccante e levo mascara e matita da sotto i miei occhi castani. Oggi farò il modesto e lascerò nascoste le mie doti da make-up artist, mi limiterò a cercare gli orecchini più vistosi che ho nella scatola del ciarpame gay. Per quanto riguarda domani, non posso ancora fare promesse.

Esco dal bagno e mi rifugio subito in camera, nascondendo il beauty case nel cassetto della scrivania. Insomma, cancelleria per la faccia, cancelleria per la carta, è tutto uguale. Prendo la camicia gentilmente e segretamente offerta da Clara e me la metto addosso. Fortuna vuole che le piacciano le robe oversize, altrimenti col cavolo che mi sarebbe stata. Tra le tante maledizioni che Dio mi ha mandato in questa esistenza, anche una sorellona minuta che pesa venti chili bagnata. Io non so. Ravano un po' tra gli orecchini vagamente maschili, ma, alla fine, scelgo quelli più sobri che Cla ha smesso di usare, con quella pietrina azzurra che fa pendant con lo smalto perché ci tengo a far bella figura. Apro la porta dell'armadio e mi guardo di nuovo allo specchio. Quando mamma Emanuela e papà Michele hanno battezzato un Gianluca, di certo non si sarebbero aspettati che proprio quel Gianluca avrebbe usato più i vestiti della sorella che i suoi. E che avrebbe lasciato scuola calcio dopo metà allenamento. E che si sarebbe categoricamente rifiutato di studiare almeno sei anni ed entrare nello studio odontoiatrico di famiglia per andare a lavorare come venditore di vini nell'enoteca del paese. No, no, no. Invece, si sono beccati questo Gianluca, un po' stronzetto ingrato che ha buttato vent'anni di educazione fervidamente cattolica proprio lì, nel bidone dell'indifferenziato e si presenterà a colazione con le dita smaltate e vestito essenzialmente da donna. Ma soprattutto, senza il benché minimo rimorso.

Gonfio il petto di orgoglio, esco dalla camera e, con un'incredibile nonchalance, scendo in cucina. «Buongiorno» affermo, raggiante, ricevendo come risposta il più arido dei deserti affettivi. Papà rintanato dietro alla Gazzetta dello Sport, mamma a montare la caffettiera. Dio, tirami fuori da questo spot pubblicitario anni Cinquanta. Sospiro e mi lascio cadere sulla sedia. Tanta fatica per ribellarsi e uno si ritrova i genitori ancora nella fase di negazione. Queste sono le delusioni che un figlio deve aspettarsi quando nasce.

«Oh, mio...!» squittisce Cla, da dietro. «Ma quella è...!» continua. Mi volto serafico verso di lei, sorridendo naturalmente alla figlia prediletta e trovandola livida di furia. Ok, ok, forse avrei dovuto chiedere la camicia in prestito.

«Come mi sta?» domando, sperando che in quei venti chili non ci siano venticinque anni di rabbia repressa. Sibila un sospiro arrabbiato e mi fa un terzo dito, per poi alzarmi un pollice di muta approvazione, un po' sottobanco, perché mica vuole pubblicamente schierarsi con la rovina della famiglia. Come biasimarla, poverina. Ally appassionata che mi ha accompagnato alla mia prima parata, guidando per due ore e scatenandosi sulle note di Raffaella Carrà, si è poi tramutata in una statua di cera, mi ha accuratamente rimosso ogni singolo glitter dai capelli e mi ha sussurrato un disilluso "avrai una vita di inferno, Gianlu". Quanta verità in sei parole.

Show me how good life can beWhere stories live. Discover now