Tisanina (pt.2)

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«Chi è?» chiede la voce robotizzata di Jaco, dal citofono.

«Sono Gian...» brontolo. Appena il cancello si apre, faccio maniacalmente attenzione a non scivolare con lo scooter e lo parcheggio sotto la mini-tettoia del garage, poi lo spengo e mi avvicino alla porta, totalmente incurante della pioggia battente sul casco e sui vestiti. Tanto sono già fradicio, non ha senso scervellarcisi su.

«Hey, pure le visite a sorpresa!» esclama, con un sorriso raggiante, che scompare appena entro nella sua visuale. Sì, beh, immagino di non essere un bello spettacolo in questo momento. Bagnato dalla testa ai piedi, un'espressione al limite del moribondo e un linguaggio del corpo che esprime tanto altro rispetto alla gioia.

«Non sapevo dove andare...» mormoro, fermandomi proprio davanti a lui, ancora sotto la pioggia. Faccio un passo avanti, ma mi blocco, osservando i suoi vestiti asciutti e la casa immacolata, lui sbatte le palpebre un paio di volte, poi sgrana leggermente gli occhi, mi prende per un braccio e mi tira dentro casa senza spiccicare parola.

«Hai fatto bene a venire qui» mi dice, accennando a un sorriso e chiudendo la porta dietro di me. Un brivido mi percorre la schiena a sentire il tepore del salotto e deglutisco, immobile, mentre mi viene davanti e mi osserva. «Aspetta... vediamo se ce la faccio» sussurra, concentratissimo, con le mani che si allungano sotto il mio mento. Mi slaccia il casco e me lo toglie, appoggiandolo poi di fianco la porta. «Ecco qua... spogliati, ti prendo della roba pulita...» continua, per poi voltarsi e sparire in camera sua. Io sospiro, prendo i lembi della maglia e me la sfilo, poi mi tolgo le scarpe e mi slaccio i pantaloni, notando Jaco tornare nella mia visuale con dei vestiti asciutti.

«Grazie»

«Figurati» mi risponde con un accenno di sorriso, poi mi passa un asciugamano. Lo prendo distrattamente e cerco di salvare il salvabile, non con particolare successo. Gli restituisco l'asciugamano e sento il suo sguardo addosso mentre mi infilo una felpa verde decisamente troppo grande per me. Indosso anche questi enormi pantaloni della tuta e cerco di guardare il mio look da rapper del Bronx, poi mi levo i calzini zuppi e li lancio vicino alle scarpe. «Siediti, dai...» rantola, spingendomi verso il salotto. «Almeno il casco ti ha tenuto i capelli asciutti...»

«Già...» sospiro, lasciandomi cadere sul divano.

Rimane in piedi di fronte a me e mi squadra, interrogativo. «Vuoi qualcosa di caldo?» prova a chiedere.

«No, grazie...», poi ridacchio. «Adesso sei tu a propormi la tisanina...». Annuisce ridendo, poi si siede a fianco a me.

«Perché... se non sapevi dove andare, perché non sei andato a casa?»

«Perché casa è il primo posto in cui non volevo stare...» mormoro, scrollando le spalle. «Ero in giro, ha iniziato a piovere come non mai e... sai com'è, acqua e mezzi a due ruote non vanno d'accordissimo...»

«Non so, ma immagino» risponde, stiracchiando le gambe. «E perché non volevi stare in casa?»

«Oh... beh, il classico. Ho litigato coi miei ed è proprio la base, insomma la quotidianità.» inizio. «Poi mi sono incazzato e anche questo succede abbastanza spesso, quindi... sai che sono un po' drammatico, no?» domando, retorico. Annuisce, ancora dubbioso. «Beh, sì, insomma... nella mia drammaticità, sono andato a farmi un giro, cosa che faccio sempre quando sono incazzato... ed è successa una cosa strana... a parte la pioggia che vabbè, non posso ancora controllarla, è successa una cosa che non mi succede praticamente mai...»

«Ovvero?»

«Mi son sentito in colpa...» mormoro.

«Per aver litigato coi tuoi...?»

Show me how good life can beWhere stories live. Discover now