Tre mesi, tredici giorni e venti ore prima

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"Quei capelli viola sono inconfondibili".

"La stessa cosa si potrebbe dire dei tuoi occhi".

La risposta lascia le mie labbra prima che possa razionalizzare quello che sto dicendo e per un secondo sono tentata di mordermi la lingua per la risposta civettuola che ho dato.

La verità però è che non ho detto una bugia e lui lo sa.

Gli occhi grigi sono il suo marchio di fabbrica insieme a una chioma di ricci biondi, due fossette profonde e una perenne abbronzatura che prescinde dal momento dell'anno, come se la sua pelle assorbisse il sole nonostante la stagione in corso. L'aspetto è quello di un surfista degno di Malibu Beach e Hermes lo sa bene, tanto che accentua queste sue caratteristiche indossando principalmente colori sgargianti e fantasie che su chiunque sembrerebbero di dubbio gusto ma che in qualche strano modo su di lui stanno bene.

L'ultima volta che l'ho intravisto erano gli anni Settanta e i suoi capelli erano ben più lunghi ma sono lieta di notare che l'amore per le camicie hawaiiane non gli è passato. Quella che indossava l'ultima volta era arancione e fucsia, decisamente meno sobria di quella che indossa ora panna e verde menta, ma in qualche modo so che la prima rispecchia meglio la sua personalità.

Per quanto io e Hermes non ci siamo mai parlati prima di oggi.

Un sorriso curva la sua bocca che sembra essere stata disegnata su un viso mascolino come per dare un tocco di morbidezza e quasi istantaneamente sento le mie spalle sciogliersi della rigidezza di prima, come se l'istinto mi suggerisse che con lui non ho bisogno di mantenere la guardia alzata.

Ma l'aspetto inganna e dal dio degli inganni non ho intenzione di farmi cogliere in fallo.

"Hai tutta l'aria di una che ha bisogno di bere" commenta dopo qualche istante di silenzio, appoggiandosi con una spalla al muro del bagno a discapito delle sue parole.

Ingannevole perché sembra invitarti a bere eppure rimane fermo dov'è, fisso al suo posto.

Senza dire nulla batto due dita sul lavandino e faccio comparire due bicchieri di champagne, immaginando già dove comparirà questo neo.

Non mi piace usare la magia con leggerezza e cerco di farlo raramente per motivi più che validi ma l'espressione quasi di sfida di Hermes mi è entrata sotto pelle e io sono semplicemente troppo testarda per rinunciare a una buona sfida.

Il messaggero degli dèi si sporge quanto basta per prendere un flûte, continuando a mantenere una distanza di sicurezza tra di noi mentre solleva il bicchiere, invitandomi in un brindisi.

"Ai primi incontri".

"Ma il nostro non è un primo incontro".

"No, ma è la prima volta che mi rivolgi la parola quindi per me è a tutti gli effetti un primo incontro" risponde con un sorriso divertito che lascia intravedere un bagliore di nervosismo, una reazione che mai avrei pensato di suscitare in un'altra divinità.

Studio il volto di Hermes alla ricerca della bugia, dello scherno e anche della trappola ma mi stupisco nel trovare da parte sua solo apertura nei miei confronti.

Così decido di tentare la sorte e avvicinarmi lentamente, facendo tintinnare il mio bicchiere contro il suo facendolo sorridere apertamente.

"Comunque potevi farlo anche tu" gli faccio notare in tutta tranquillità, un po' per studiare la sua reazione e un po' perché effettivamente è vero.

Agli dèi, nello specifico alle divinità maschili, essere colti in fallo e soprattutto vedersi rimproverare qualcosa non piace affatto e nonostante questo mi sia ben chiaro non resisto, attendendomi da Hermes una sorta di rimprovero che però non arriva.

I suoi occhi sono aperti il dialogo, divertiti come se parlare con me fosse tutto ciò che desiderava da questa serata.

E per una volta, quella che si sente presa in fallo sono io.

"Hai ragione" concede chinando il capo e facendomi notare per la prima volta un piccolo orecchino a forma di caduceo, il suo simbolo.

La verità è che Hermes è attraente e mentre parte di me pensa ne sia del tutto consapevole, un'altra parte di me, più nascosta, è convinta che non sappia di esserlo, perlomeno non quanto lo sia effettivamente.

"Però a mia discolpa ammetto di essere stato un po' intimorito da te" continua, "e lo sono ancora ma dopo averti visto là fuori... Non so, sembrava avessi bisogno di qualcuno. Forse non proprio di me, lo riconosco, ma non mi andava di lasciarti da sola".

La sua confessione mi spiazza ma a stupirmi ancora di più è il modo in cui la sincerità traspare sul suo viso. Non importa quanto mi ripeta che questo è il dio degli inganni, che non devo fidarmi degli dèi maggiori, io gli credo.

Gli concedo un piccolo sorriso: "apprezzo molto il gesto ma non capisco perché dovrei intimorirti".

Una risata argentina scuote Hermes che si stacca dal muro, avvicinandosi a me con passo leggiadro degno del messaggero degli dèi.

Ho sentito molto parlare di lui, nel bene e nel male come per qualsiasi altra divinità, ma ora che me lo ritrovo davanti, ora che ci interagisco mi chiedo quale sia il vero Hermes. Quello ingannevole, che ama le sfide e i sotterfugi, che protegge i ladri, il dio moralmente grigio come le sue iridi oppure il ragazzo che ho davanti dal viso aperto, il sorriso facile e gli occhi sereni?

"Non è evidente?" Domanda sottovoce, il grigio delle sue iridi simile al colore delle nuvole cariche di pioggia, "stai sempre in silenzio e in disparte ma hai gli occhi famelici, scruti tutto come se volessi capire con un solo sguardo tutti i segreti del mondo. Vorrei sapere cosa vedi".

Lentamente solleva una mano e la avvicina al mio viso, nei suoi occhi un interrogativo mentre mi lascia tutto il tempo di allontanarmi.

Ma io non lo faccio e le sue dita sfiorano la mia guancia con la stessa delicatezza con cui questa mattina toccavo le campanule, un soffio che sfiora la mia pelle.

La mano di Hermes è calda ma non morbida a differenza di quello che mi aspettavo e il suo pollice mi accarezza piano tracciando una costellazione tra tre piccoli nei.

"Ingiustizia" rispondo in un sussurro, incatenata dal suo sguardo, "rabbia. Ipocrisia".

"E ora, cosa vedi?".

Hermes mi inchioda con i suoi occhi e io mi sento percorsa da una scarica elettrica, la sensazione primordiale della magia.

Una scintilla mi sfugge dalle mani ma lui non indietreggia, non si sposta, non si spaventa.

Cosa vedi?

"Magia".

Un sorriso gli curva le labbra e le sue dita si fanno più materiali contro la mia guancia.

"Anche io".

Chiudo gli occhi, respiro, li riapro.

La mia guancia è calda, il mio battito irregolare.

Allo specchio c'è un'unica figura.

La mia.

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