5. We Were Friends, We Were More Than That

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Lipsia era nota anche per le sue piccole sagre e festival, che per un minimo coinvolgevano la sua ridotta popolazione.

Nonostante non mi andassero chissà quanto a genio, decisi di continuare a frequentare i gemelli e di conseguenza i loro amici.

Ero stata trascinata da loro a quella buffa sagra per la fine della bella stagione e l'inizio del freddo, che si decantava come il più umido sulla faccia della Germania. Io odiavo l'umidità.
-Ti staranno simpatici vedrai Ronny!-
Bill aveva iniziato a chiamarmi in quel modo strano, e a me sembrava quasi il nome da dare ad un coniglietto del quale non si sa il sesso.

Fu in mezzo alla folla di vecchietti che li incontrammo: Georg e Gustav, due ragazzi dalle spalle larghe e il fisico da muratore, come li descrivevo a mia madre, che dal canto suo aveva detto fossero dei bambini simpatici e carini.

Quel pomeriggio fui scarrozzata a destra e manca, mentre mi mostravano i carretti dello zucchero filato o quelli dei pop corn, mentre parlavamo del più e del meno. O meglio, Bill discuteva con Tom che quasi non gli faceva avere una crisi di nervi, mentre Gustav e Georg tentavano di calmare le acque. Ero sempre rimasta neutra quando i due litigavano, ma era quando io ed il rasta arrivavamo ai ferri corti che i nostri amici dovevano separarci.

Io ero una brava istigatrice e Tom fin troppo irascibile, l'aveva vinta solo con suo fratello perché aveva l'animo troppo puro e buono per infangarlo di cattiverie dette in un momento di rabbia.

-Guarda! Stanno ballando alla piazzola!-
Nella piazzola ci trascorsi tutta la mia infanzia, più o meno fino a quando compiuti i suoi diciassette anni Gustav non prese la patente, che all'epoca erano i nostri quindici anni.

Bill mi trascinò con sé prendendo a farmi girare su me stessa, facendomi passare da lui a Georg e infine a Gustav, che mi aveva poi abbandonata nelle braccia di Tom.
-Ti hanno mai detto che sembri un orso?-
Gli chiesi con scherno, senza guardarlo negli occhi.

Avevo una forte paura che se li avessi guardati per anche solo un secondo mi avrebbero rapita per sempre. E così fu. Mi bastò uno sguardo di sfuggita a farmi ancorare alle sue pozze color nocciola, dall'iride chiara per i riflessi del tramonto rosato. I suoi occhi a mandorla furbi e astuti. Le sue mani già sottili e lunghe che si agganciavano alle mie, ondeggiando il bacino.

-E io ti ho mai detto che sei così irritante che ti prenderei a morsi?-
Ribatté con il suo ghigno malizioso, che vidi sempre più frequentemente nel corso degli anni.

Era un ragazzino irritante, talmente sarcastico da farti esplodere i nervi, ottuso, antipatico, fastidioso...
"Chi disprezza vuol comprare!"
O almeno era quello mi diceva mia madre, avrei capito un paio di anni dopo cosa significasse, perché in quel momento io disprezzavo e basta.

Disprezzavo lui e il suo essere così fottutamente Tom.

-Ti stai divertendo?-
Mi chiese poi all'orecchio, spostandomi una ciocca di capelli corvini dietro il padiglione. Sentii un brivido carezzarmi la schiena e lì capii che quel "chi disprezza vuol comprare" sarebbe stato la mia rovina.

Tornati a casa ancora pompati, forse per la troppa sprite bevuta, ci dirigemmo nel mio giardino, stendendoci in terra, sull'erba umida e leggermente bagnata, mentre Bill si lamentava di quanto fosse scomodo il terreno.

Io lo trovavo rilassante: stare a guardare il cielo notturno coperto di stelle, mentre ci appisolavamo accoccolati tutti e tre, perché faceva un po' troppo freddo. Inutile dire che il mattino dopo ci svegliammo per via di uno starnuto fin troppo sonoro di Tom.

Arrivò purtroppo il quattordici settembre, giorno in cui le lezioni sarebbero iniziate. Avevo paura. Scuola nuova, maestri nuovi, compagni nuovi. Gli amici, e me ne resi conto soltanto col tempo, sarebbero rimasti per sempre gli stessi, su di loro avrei potuto contare sempre, bastava fare un fischio.

Con me a letto perché avevo la febbre c'era Tom, mentre quando avevo bisogno di un piccolo sfogo era Bill quello pronto con del gelato e dei fazzoletti. Era Gustav che mi accompagnava in ogni dove ed era Georg che offriva da bere quando qualcosa non andava.

E io cosa facevo per loro? Arrivai a domandarmelo sempre più frequentemente, passando pomeriggi interi a guardare il baldacchino del mio letto, e rendendomi conto che in fin dei conti io non facevo niente per nessuno di loro. Non ero la spalla su cui piangere di Tom e né tantomeno il diario dei segreti di Bill. Non davo consigli a Georg sulle ragazze e non potevo ricambiare favori a Gustav.

Perché ero loro amica?
Mi volevano realmente bene?
-Tesoro, sei tu l'unica cosa di cui avevano bisogno: questo paesino è troppo monotono per quei casinisti, sei il piccolo uragano del quale avevano bisogno-
Mi rassicurò una notte mia madre, quando le confessai il mio tormento.

Ed in effetti era così, forse non ero la roccia di tutti, la loro ancora di salvezza, il loro punto di riferimento, ma ero di sicuro l'anima della festa, quando ce n'era una.

Quando varcai la soglia dell'istituto grigio presi un bel respiro profondo prima di dirigermi ai tabelloni dove vi si trovavano scritti tutti i nomi degli studenti, notando che non ero in classe né con Bill, né con Tom, che erano del mio stesso anno.

Corsi verso la classe indicata sul foglio stampato a caratteri cubitali salendo ben tre piani di scale, e trovando già all'interno dell'aula una ragazza dai capelli lunghi e biondi, che quasi mi pareva una bambola.

Occhi ambrati e contornati da ciglia chiare che sembravano non esserci affatto. Mi sorrise, invitandomi a sedersi accanto a lei.
-Mi chiamo Arlene!-
Disse quando gettai la mia cartella pesante ai piedi del mio banco.

Arlene divenne la mia prima amica, amica femmina, intendo. Era una bambina solare e dolce, sempre pronta a prodigarsi per il prossimo, tutti per uno, uno per tutti, era quello il suo motto.

Finì per stare con Georg, che da quando l'avevo presentata al gruppo, non le aveva tolto gli occhi di dosso. Ma tardi, molto tardi. Si fidanzarono verso i quattordici anni di Arlene, i quindici di Georg, quando ci credevamo già grandi, quando i problemi erano il compito di chimica del giorno dopo.

Avrei dato tutto ciò che era in mio possesso per ritornare a quei tempi.
Quando Bill portava ancora quel ridicolo ciuffo di capelli ben ordinati davanti agli occhi contornati di nero.
Quando Tom aveva iniziato a portare le fasce da pallavolista sulla fronte e quei cappelli Yankees solo per il suo complesso della fronte alta.
Quando Georg cadeva ancora dallo skate e Gustav ci rideva su.
Quando io ero ancora felice.

Ma niente torna indietro e non si torna indietro per niente. Eppure ci tornerei, lì, quando eravamo solo ragazzini in vena di divertimento, in un paesino di montagna come Lipsia.











[Che cosa ha portato Ronnie Anne a rimpiangere la sua infanzia, se prima nemmeno sopportava l'idea di ritrovarsi a Lipsia? Vedremo di scoprirlo con il tempo!
Un forte abbraccio,
Arabelladoove❤️]

𝑰'𝒍𝒍 𝑲𝒏𝒐𝒘 [𝑻𝒐𝒎 𝑲𝒂𝒖𝒍𝒊𝒕𝒛]Where stories live. Discover now