4. Take Me Back To The Night We Met

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Hai presente quando sai di aver toccato il fondo, e non c'è niente che tu possa fare per risalire?

Quando tutti coloro che fino a prima avevi accanto, sono in pensiero per te? Per il tuo malessere fisico e mentale? E quasi hanno paura di te?

Ma quando si tocca il fondo, non si può fare altro che risalire dal baratro, giusto?

Sbagliato.
Corretto o errato che sia, per non dimostrare di avere torto, torto marcio, si fa di tutto. Persino andare contro sé stessi.

Tu te lo ricordi, Tom? Quando ci siamo incontrati per la prima volta, e i miei occhi celesti hanno incontrato i tuoi?

Io si. Ed essendo una persona che crede fermamente nel destino, direi che sia stato proprio il fato ad incrociare le nostre strade, ridi pure se vuoi. So che ti piace ridere delle debolezze altrui, ti conosco fin troppo bene.

-Ronny, mi aiuteresti a portare questi scatoloni di sopra?-
20 agosto 1998.
Io e mia madre ci eravamo trasferite a Lipsia alla fine della bella stagione. Era una casa su due piani, non troppo spaziosa, che per due persone sole come noi andava più che bene. Mia madre doveva evadere dalla realtà della grande metropoli che stava diventando Berlino, diceva di avere bisogno di tranquillità.

Per me, che all'epoca avevo nove anni, fu un cambiamento radicale. Non avrei più visto i miei amici, non che ne avessi chissà quanti, ma Anais mi era molto simpatica. Non la rividi mai più.

Portai i miei effetti personali in quella casa buia, tetra, angosciante, cupa e lugubre. Ci viveva una donna prima, che a detta di mia madre era fuggita da quel paesino perché troppo calmo e tranquillo. Immagino che dovessi arrivare io per ravvivare quella cittadina. Varie volte mi ero trovata all centrale di polizia, ma questa è tutta un'altra storia.

Era una stanza con un letto a baldacchino, l'intera casa era stata già arredata nei mesi precedenti, mancavo solo io alla collezione di mobili antiquati di mia madre.

Mi gettai sul letto, osservando tutto ciò che avevo intorno: il parato a motivi floreali scolorito e in alcune parti staccato dall'intonaco. Il piccolo balconcino che era coperto dalla tenda scura. La specchiera al lato sinistro della porta, che attendeva di possedere tutti i miei averi.

Sbuffai nel sentire la fitta umidità della casa penetrarmi persino la pelle. Sembrava un incubo lucido, sentii il bisogno di evaderne sin dal principio.

Era passata una sola settimana, che per me era durata quanto un anno solare, e io non ero uscita di casa nemmeno una volta. Lipsia era noiosa, talmente noiosa che mi ritrovai a passare il tagliaerba sul giardino anteriore insieme a mia madre. Ero seduta su di esso, mentre giravo tra i pollici una margherita che era stata falciata dal prato.
-Non è male qui, vero Ronnette?-

Ron, Ronnette, Roxanne, Ronnie... Tutti nomignoli per addolcire la pillola. Non le avrei detto che quel luogo era talmente atro da incutere timore anche solo respirandone l'aria, talmente pesante da grattarti le narici.

-Marlene?!-
Qualcuno, dall'altro lato della strada, stava chiamando il nome di mia madre. Quando anche lei si girò in direzione della voce, lasciò il tosaerba andare da solo, rischiando di farmi far male: avevo preso da lei tutta la mia maldestrezza.

-Simone!-
La donna, che aveva in mano due grandi buste della spesa, le aveva lasciate cadere al suolo correndo incontro a mia madre, abbracciandola. Dedussi si conoscessero da molto, ma io non avevo mai visto quella donna.
Incuriosita, camminai a passo spedito verso di loro, che si erano fermate al centro del vicoletto dove stanziavano le villette a schiera, una uguale e identica all'altra.

-Ronnie, lei è Simone, una mia vecchia amica delle superiori... Sono così contenta di averti rincontrata-
Disse tra i sorrisi.
-È identica a...-
-Si, identica a suo padre-

Fu allora che iniziai a sentirmi sbagliata, da quando mia madre disse con amarezza che io ero speculare a mio padre, uomo che peraltro non avevo mai avuto il piacere di conoscere. Il solo sapere di ricordarle quell'uomo, mi fece male. Io le facevo del male, perché le ricordavo qualcuno che non c'era più.

-Anche io ho due figli, della tua stessa età, te li farò conoscere, un giorno-
Sorrise ancora. Se soltanto avessi saputo che fin da allora quel sorriso mi sarebbe stato indispensabile, forse non le avrei risposto in quel modo sgarbato.
-Non mi piacciono le nuove conoscenze-
Dissi guardandola in malo modo, provocando in lei un'altra risata.

Oh Simone, tu non sai quanto io ti voglia bene, e non sai nemmeno come io sia indebitata con te per tutto ciò che hai fatto per me.
-Che caratterino pungente! Ti saluto Marlene, domani ti va di venire a prendere un caffè, dentro? Gordon ha montato la piscina per i ragazzi a inizio mese, ma Tom e Bill non vogliono farla smontare! Ci si vede!-
Riprese le sue buste e si diresse alla casa di fronte alla nostra.

Tom e Bill. Era così che si chiamavano i suoi pargoli, che all'indomani ebbi il piacere di conoscere.
-Ti prego, sii gentile con loro, lei è mia amica-
Mi raccomandò mia madre, uscendo di casa con una grande crostata tra le mani, che aveva comprato la mattina stessa.
-Solo se mi staranno a genio-

Sin da piccola iniziai a sviluppare un carattere più che altezzoso, borioso, burbanzoso, presuntuoso, spocchioso, superbo, supponente, tracotante, tronfio e sarcastico, o almeno era ciò che dicevano anche i miei peofessori. E mia madre spesso e volentieri mi puniva per certi atteggiamenti, non che non lo meritassi, ne ero più che consapevole.

Fu la stessa Simone ad aprire la porta di casa, mentre dietro di lei e al suo grembiule da cucina che raffigurava un paio di oche con dei mestoli, faceva capolino la testa di un ragazzino apparentemente magro e dai capelli neri come la pece.

-Che piacere vedervi! Prego, entrate-
-Smettila di fare la formale con me Simone, non dovrei ricordarti che cosa facevamo insieme vent'anni fa-
Ed entrambe risero, mentre i miei occhioni azzurri scrutavano attentamente i lineamenti di quel bambino.
-Lui è mio figlio Bill-
Disse presentandomelo.

Occhi profondi, da cerbiatto, color nocciola scuro e un sorriso smagliante come quello di sua madre. Non mi tese nemmeno la mano, mi abbracciò con foga e mi strinse a sé come se ci conoscessimo da una vita. E, mi duole ammetterlo, in quel momento parse anche a me.

-Mi chiamo Ronnie Anne-
Gli dissi quando finalmente si distaccò.
-Sono contento di avere una nuova amica! Io mi chiamo Bill! Felice di conoscerti!-
Col tempo imparai che Bill era un chiacchierone di prima categoria, e soprattutto era incline al mondo dei pettegolezzi e dei pigiama party, contrariamente a me che odiavo quel genere di cose.

Entrammo dentro, vedendo le pareti tinte di un giallo chiaro, che contrastava con il battiscopa di marmo che contornava le stanze. Arrivati sul retro, un ragazzino che prima stava giocando con una pistola ad acqua con quello che dedussi fosse suo padre, si fermò all'istante, gettando l'arma e ricomponendosi. A soli nove anni seppi capire che lui, proprio quel bambino dai capelli corti intrecciati in dei dreadlocks scombinati, sarebbe stato la mia più grande rovina.

-Io sono Tom, deduco tu già abbia incontrato la mia brutta copia-
Mi disse tendendomi la mano, con sguardo quasi austero, contrariamente al fratello che aveva già preso confidenza.

-Sei tu la mia brutta copia! Sei nato dopo di me!-
Gli gridò Bill già avventato sui dolcetti per la merenda.
-Ronnie Anne-
Risposi soltanto, abbozzando un sorriso per l'affermazione del moro.
-Dieci minuti non fanno una gran differenza!-

Quel pomeriggio lo passammo a mangiare la crostata di mia madre sotto il sole cocente di fine estate, mentre Gordon, che si era rivelato il loro padrino e la motivazione del loro trasferimento a Lipsia tre anni prima, chi schizzava con quella pistola ad acqua dal getto a spruzzi.











[Secondo capitolo di questa nuova storia, come vi sta sembrando? È all'altezza della precedente?
Un grande abbraccio,
Arabelladoove❤️]

𝑰'𝒍𝒍 𝑲𝒏𝒐𝒘 [𝑻𝒐𝒎 𝑲𝒂𝒖𝒍𝒊𝒕𝒛]Where stories live. Discover now