Penida

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Penida andata e ritorno

Sanur, la sabbia nera comincia piano piano a scaldarsi al sole delle 6 di mattina. Gitanti giavanesi hanno viaggiato tutta la notte per assistere, sfiniti, al sorgere del sole. Ragazze scout, in maglietta bianca e pantaloni scuri, si bagnano in gruppo nelle acque ancora grigie, in una sorta di jamboree marino. Coppie con figli chiedono di far da fondale al loro ricordo fotografico. I bambini sono particolarmente attratti ed intimoriti dalla mole e dal pallore di questi stranieri, che sembrano buffe incarnazioni dei clown del teatro delle ombre. Un megafono raduna il gregge di vacanzieri che, andandosene, lasciano i pochi passeggeri in attesa della barca a guardarsi l'un l'altro, sorseggiando una tazza di caffè accompagnata da banane fritte.

Le barche che solcano questo tratto di mare sono dipinte in colori sgargianti. La nostra è celeste con grandi zampe arcuate gialle e rosse, che sostengono i lunghi bilancieri bianchi. Ci lasciamo alle spalle una costa densa di nubi temporalesche, tra le quali il grande vulcano gioca a nascondino.

Nuvole gigantesche si elevano in candide volute dal mare tropicale. Scorrono sullo schermo mosse dal rollio della barca, visibili dall'apertura nello scafo celeste che mima il colore del cielo.

Le facce intorno sono serie, occhi abbassati o persi nella stiva vuota, non si sente una parola. Alcuni dormono nel tentativo di scacciare l'atavica paura del mare e della traversata. Anche chi da di stomaco lo fa appartato, pochi suoni, una mano sulla fronte abbassata, poi lasciata a coprire, in un eccesso di vergogna, la bocca.

Penidai colori

Alte scogliere a picco sul mare. Un prato verdissimo d'erba bassa, regolata da poche mucche color caffellatte. Rocce calcaree affiorano sui pendii ondulati fino ad un orlo delimitato da bassi cespugli che cercano il vuoto.

Cavallette schizzano ovunque in un intreccio disordinato e mosche pascolano là dove le vacche hanno fatto.

La lucente pietra calcarea che è l'ossatura dell'isola offre nuove opportunità cromatiche all'architettura sacra. I portali dei templi, bianchi di un candore accecante, spiccano nitidi tra il verde degli alberi e il grigio dei muri di cinta. Il cinerino uniforme dei luoghi sacri balinesi, fatti di pietra lavica, declina con efficacia il costante passaggio tra bene e male, bianco e nero.

Qui, a Penida, portali immacolati ed elaborati altari nivei si concedono invece splendenti appena eretti.

Col tempo e con l'opera neutrale della natura mutano in un grigio colato e poi maculato. E la transizione si compie nuovamente, verso tutte le gradazioni sbiadite che ricordano alla gente le infinite facce, sfumature ed intrecci che i comportamenti malevoli intessono col nitore abbagliante dell'animo puro. Una sapienza condivisa che si perpetua nella pietra.

Anche la scelta delle figure che adornano ogni angolo degli altari squadrati indica una simbologia religiosa originale. Grifoni alati con corpo di leone, cigni sinuosi ad ali spiegate, facce di elefante dominate da proboscidi ripiegate. Ghirigori e foglie e fiori. Tutto elaborato con la pietra calcarea che sottolinea il tuttotondo attraverso un infinito gioco di ombre.

Un chiaroscuro che è la parola d'ordine di questo universo, reso vivo dal sole cocente.

Ovunque si vada, a Penida, si è accompagnati da questo dialogo tra luce e ombra, tra corte pennellate di tenebra che limitano, anche

spiritualmente, le prepotenti estensioni di luminosa positività.

lavenere di Penida

Spiaggia candida che si perde nella lontana ombra azzurrina del grande vulcano. Scafi bianchi di lunghe piroghe si appoggiano immobili alla bassa luce dell'alba. Leviatani immacolati sorti dalla profondità marine. Artigli ricurvi lasciati da un demone gigantesco. Costole di uno scheletro sparso di un dinosauro immaginato.

L'uomo solleva dall'acqua la pesante cesta ricolma di alghe che luccicano al sole. La donna l'aiuta con fatica a posarsela sul capo, protetto appena da uno straccio.

Esce così, passo dopo passo, gocciolante di acqua salsa e di umori marini, la faccia risplendente per sole che nasce, una venere a Penida. Si muove attenta e sicura, il peso non le cancella un incedere innato, la maglia bagnata le pennella il seno, granchietti fuggono dai suoi piedi, verdi alghe s'intrecciano turgide ai suoi capelli.

Giorni Balinesi  dieci anni a Bali e oltreWhere stories live. Discover now