Parte 11

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Sospiro pesantemente, abbandonandomi sul sedile.

Per farmi scusare, accarezzo i capelli di Giorgia, che ora dorme serena come prima.

Spero di non averle lasciato lividi, ma il mio pizzico è stato troppo violento per non avere fatto neanche un minimo di danno.

Mi stropiccio gli occhi con l'altra mano, passandomela poi su tutto il volto.

«Wow. Cosa cazzo era quello?» chiedo dopo qualche battuta di silenzio.

Bertra sospira e continua a guidare.

«Grazie. Oggi non sono in me, non so cosa mi sia preso.»

«Ho notato, fidati che ho notato.» rispondo secca.

Sbuffo ancora, guardando Giorgia stavolta.

Prego silenziosamente, perchè in cuor mio so di avere appena fatto una cazzata.
Non era giusto prendere una bambina così, come si rubano le mele dal vicino.
Sarebbe servita una valutazione psicologica per entrambi i genitori, un figlio non deve essere una sorpresa in regalo al seguito di un capriccio.

Ma al tempo stesso, c'è la mia parte emotiva.
So che tipo di persona sia Bertra.
Sin da quando avevamo cinque e dieci anni e lui si assumeva colpe al posto mio, so che era un atteggiamento da fratello piuttosto che da compagno di allenamento.
Quando entra nella tua vita, ci entra con i piedi di piombo, senza mezze misure.
È un amico e un fratello.

Quindi so che sarà un ottimo padre.

«Come sta Giorgia?» chiede, a riprova.

"Ugh, smetti di farmi sentire in colpa per averti appena insultato."

«Sta bene.» rispondo ancora un po' ruvida, ma decisamente meno passivo-aggressiva.
«Spero di non averle fatto troppo male, ma è fragilissima, quindi non so.»

Al tempo stesso non voglio controllare.
So che incontrerò una costellazione di lividi ben più pesanti e vecchi di quello che posso avere appena lasciato io.
I segnali sono troppi perché io possa ignorarli.
Quindi aggiungo.

«...Tu sai che anche lei è... come noi. Vero?»

Bertra si acciglia e per un istante mi guarda dallo specchietto retrovisore, invitandomi a continuare prima di rispostare lo sguardo sulla strada.
Stiamo imboccando l'autostrada, non può permettersi di distrarsi ancora come faceva nelle stradine di paese.

Elaboro ciò che ho appena iniziato, trovando improvvisamente difficile esprimerlo.

«Si, insomma... dorme pesantemente, sopra le urla.
È restia a farsi toccare o ad avvicinarsi ad un adulto.
Da un lato è molto intelligente, fin matura per la sua età, perché pone domande prima di seguire un chiunque alla cieca, a differenza delle altre bambine, ma sappiamo bene entrambi cosa voglia dire "essere maturi per la propria età".
Non parla molto e si paralizza sotto gli occhi delle educatrici.
O di qualsiasi altro adulto, a dire il vero...»

«Basta così. Perfavore.»

Vorrei aggiungere altro, ma ci ripenso.
Mi limito ad annuire e a riprendere le carezze nei capelli di Giorgia.

Magari mi sbaglio io.
Magari è il trauma legato all'incidente con i suoi genitori.

Bertra alza il volume della radio, prima muta.

Non lo so, non sono una psicologa.
So solo che Leo e Bertra dovranno investire in un percorso di terapia per questa bambina, perché di sicuro sembra tutto fuorché... felice.

Una canzone che mi sento solo di definire come cheap ass music fluisce dallo stereo, ma non presto troppa attenzione.

Mi addormento sul sedile posteriore, senza accorgermene.

***

Quando mi risveglio, è Bertra a scuotermi per una spalla.

Siamo nel garage da dove siamo partiti quella stessa mattina, ma il freddo, non caratteristico di questa zona di Milano, specialmente d'estate, mi suggerisce che sia già calata la sera.

Con voce roca dal sonno, mi azzardo a chiedere per quanto tempo io abbia dormito.

«Non ne sono sicuro. Poco più di un paio d'ore, forse quasi tre. Abbiamo incontrato un po' di traffico serale.»

Giusto, l'ora di punta.

Le luci al neon sopra la nostra testa producono un brusio sordo che mi punge i timpani, ronzandomi in testa come uno sciame d'api che rimbalza per la mia calotta cranica.

Sì, anche "mal di testa" va bene.

Ho le dita fredde in punta, ma quando affondo le mani nei capelli di Giorgia la sensazione di fastidio scompare.

Non rispondo a Bertra, non commento sulle mie tre ore di sonno o sul traffico serale milanese.

Quindi parla lui.
«Ho già fatto un po' di scale per portare in casa il... materiale. Più in là nella serata brucerò i vestiti e la tua parrucca.»

Si schiarisce la voce, abbassando il tono di un'ottava e, praticamente sussurrando, aggiunge
«Puoi lasciare andare la bambina, ora.»

Oh.
Annuisco, e un po' riluttante sfilo le mani dai capelli di Giorgia.

Bertra ancora non si muove, ma guarda altrove, in un punto non preciso del garage.
Non sta guardando qualcosa, è solo perso nei pensieri.

«Ma non la guardi neanche?» gli chiedo, a questo punto quasi scocciata.

Qui, mi sorprende.
Non risposta lo sguardo su di noi, come uno si aspetterebbe dopo averlo attaccato così blatantly.

Abbassa gli occhi al pavimento cementato e storce la bocca, con una microscopica traccia di un sorriso amaro che gli tira gli angoli della bocca.

«So già che nel momento in cui prenderò cinque minuti, mi perderò a pensare per ore. Voglio prima sbrigare il tutto. Poi mi potrò accomodare in contemplazione, ma non ora. Ora lei è ancora parte del piano, una prova che va ripulita il più possibile.»

Ci riflette un paio di secondi, aggrottando le sopracciglia.
Sembra convinto di quello che ha detto, ma poi mi guarda.
Guarda me, mai Giorgia.
E fa un cenno con il capo.

«Facciamo in fretta però.»

...
Scoffing è un termine inglese non traducibile in italiano, che sta ad indicare un verso di scherno a metà tra l'inizio di una risata e un colpo di tosse.

Scoffing è anche la mia reazione alla solennità con cui Bertra mi dice "Muoviti, la mia bimba la voglio tenere anche io".

Mi carico Giorgia tra le braccia.
«Move. Sei in mezzo.»

Bertra si fa da parte, lasciandomi spazio per uscire dalla macchina con Giorgia in braccio e iniziare ad incamminarmi verso l'uscita.

So che è scocciato e che voleva portare in braccio sua figlia, ma riconosco la veridicità nelle sue parole e voglio evitare un breakdown prima del tempo.
E poi, è stanco per avere guidato tre ore nel traffico milanese dopo un'all-nighter, mentre io ho riposato a sufficienza.

«Oh!» dico girandomi quasi di scatto, consapevole del peso tra le mie braccia «Sotto il sedile c'è il mio vestito arancione. Abbiamo rischiato TANTISSIMO con quel carabiniere. Non te l'ho detto prima perché volevo evitarti un infarto, ma se non lo avessi notato ora saremmo al cento per cento in prigione.» gli comunico candidamente.

Bertra è un po' verdognolo.

Kidnapping / Leltra (Leo & Bertra)Where stories live. Discover now