Capitolo ventesimo

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Dopo un lungo inverno finalmente giunse la primavera. Le colline di Chalfont St. Giles si fecero verdissime ed i fiori iniziarono a sbocciare qui e là su di esse, dando all'ambiente un aspetto colorato e quasi pittoresco. Il cielo, in quei giorni, era quasi sempre aperto e azzurro, rendendo piacevole qualsiasi uscita ad ogni ora del giorno, mentre il sole brillava caldo e luminoso. Si preannunciava una bella stagione e forse anche una successiva buona estate, se le piogge lo avrebbero permesso.

La situazione a casa Jenkins cambiò radicalmente dopo la morte del signor Ernest: dopo che Vincent assunse il ruolo di nuovo capo famiglia apportò numerose modifiche alle abitudini domestiche. Fece chiudere la gran parte delle stanze della casa affermandone l'inutilità per le poche persone che vivevano lì; infatti, da un giorno all'altro, decise di licenziare quasi tutto il personale, facendo rimanere solo l'affezionata Constance che lavorava lì da prima ancora che lui nascesse. L'uomo si giustificò dicendo che col cambio generazionale del padrone era giusto cambiare anche i lavoranti, ma dopo settimane ancora non aveva predisposto alcun annuncio per cercare il nuovo personale, come se in realtà volesse mantenere tutto così com'era. Questa stranezza fece rimanere perplessa la giovane Sophie, che non si capacitò di tale insensata e impulsiva decisione.

Durante quegli ultimi mesi la vita di Vincent fu comunque parecchio impegnata e si divise per lo più tra uscite di più giorni e momenti in cui stava rinchiuso nella propria stanza a leggere e spedire lettere. Sophie non sapeva di quali affari si stesse occupando; provò ad indagare rivolgendosi a Constance che era addetta alla sua posta, ma questa volta la governante non le fu di nessun aiuto, riguardandosi bene di non lasciarsi sfuggire nulla.

Di pomeriggio Sophie si fece avanti nella stanza di Vincent, bussandone prima alla porta e portando con sé un vassoio con sopra due tazzine di tè, il preferito di lui.

«Vi ho portato del tè, signore.» disse la ragazza gentilmente, muovendosi verso di lui che stava seduto alla scrivania. Quando la sentì avvicinarsi, Vincent ritirò frettolosamente le carte che aveva sul tavolo, noncurante nemmeno di stropicciarle e rovinarle, le infilò nella valigetta di pelle che si era portato dalla Francia. Sophie seguì tutto il movimento con gli occhi.

«Non mi dovete servire, dolce Sophie.» fece lui voltandosi con la sedia verso di lei; il suo viso era stanco e pallido, e indossava un paio di occhiali tondi sul naso per la lettura.

«Non vi sto servendo», rispose, «L'ho preparato per me e ho pensato di portarne una tazza anche a voi, tutto qui. Inoltre so che vi piace.» aggiunse appoggiando il vassoio sulla scrivania.

«Vi ringrazio, allora!» disse l'uomo facendo un sospiro e poi sorridendole, «Su, andate ad aprire un po' le finestre. Non lo faccio da troppo e l'aria è viziata qui dentro. Fuori vi è anche il sole, fatelo entrare.» aggiunse mentre prese tra le mani la tazzina. Sophie fece come richiedeva; effettivamente all'interno di quella stanza vi era un'aria pesante e con un nauseabondo odore dolciastro, diverso dalle sue solite sigarette a cui aveva fatto l'abitudine.

«A chi stavate scrivendo, signore?» domandò Sophie tornando accanto a lui, fingendo indifferenza.

«Mmh» mugugnò Vincent, «Scrivo a molti, Sophie, sono impegnato.»

«A molti chi?»

«A molti.» ribadì ancora generico.
La ragazza storse il naso; di certo non avrebbe potuto portargliele via dalle mani nonostante per un attimo lo desiderò. Vincent finì il tè molto rapido, senza perderci il tempo che di solito gli dedicava.

«Me le fate leggere? A qualcosa potrei aiutarvi a rispondere anch'io, se siete così impegnato. Sapete benissimo che ho imparato a scrivere; potrei esservi utile ora.» disse Sophie.

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