Il fischio del treno interruppe quello sguardo magnetico, non riusciva a vedergli gli occhi e, a causa della distanza, non poteva ipotizzare quale fosse l'espressione del 'cavaliere', che ormai si era trasformato in un mago cattivo. Il treno era solo di passaggio, divise i loro sguardi ad una velocità elevata. Prima che la locomotiva passasse, Paine vide formulare all'uomo delle parole con la bocca, ma il fracasso del treno e lo schiamazzo delle persone non le permisero di sentirlo.

  Tra i finestrini in movimento, tentava di scorgere il suo viso, ma l'uomo era scomparso. Era apparsa invece un'altra cosa. Sulla vernice argentata del treno, si rifletteva l'immagine dei suoi compagni d'attesa. Non erano le stesse persone che aveva visto, erano nere, oblunghe, senza volto. Erano i mostri d'ombra che aveva sognato quella notte.

  "N-no...", balbettò. La vescica le stava scoppiando e in quel momento ricordò di non essere andata in bagno, non riusciva a trattenersi per la paura.

  "Che hai detto?", le chiese sua madre.

  La bambina si girò verso la donna, staccando lo sguardo dai riflessi inquietanti.

  "Io..." Spalancò la bocca per urlare, ma non le uscì alcun suono. Sua madre non c'era più, era stato uno di quei 'cosi' a parlarle, aveva utilizzato la voce di sua madre per attirarla a sé. Forse sulla Terra non esistevano altri esseri umani oltre a lei, erano diventati tutti alieni, oppure lo erano sempre stati. Nel corso degli anni si erano sostituiti al genere umano e miravano a rubare tutto quello che aveva di più  prezioso.

  A quel punto non riuscì a trattenere l'urina. Le gambe si rigarono, il liquido giallastro creò due laghetti nelle sue scarpine per poi riversarsi sul marciapiede e sfociare nel grande mare ferroso dei binari.

  "PAINE! GUARDA COSA HAI COMBINATO!"

  L'alieno le afferrò il braccio e prese a sbatacchiarla davanti e indietro.

  "Lasciami! Mi fai schifo, ritorna da dove sei venuto! Non voglio morire! NON VOGLIO MORIRE!", tuonò disperata, alternando le urla al pianto. Serrò gli occhi per non vedere la testa senza volto così vicina a lei.

  Gli altri alieni, che fino a quel momento non la stavano guardando, si voltarono tutti verso la scena. Qualcuno rideva, lo sentiva distintamente.

  Le grida funzionarono, perché l'alieno smise di sbatacchiarla e di urlare.

  Paine riaprì gli occhi e rivide sua madre, rivide tutti i passeggeri, umani.

  "Signora, cosa sta facendo a questa bambina?", chiese il controllore, un omaccione con la pancia prominente e la camicia macchiata di sudore.

  Serena era rossa in viso, non sapeva come giustificarsi.  La sua reazione era stata esagerata. "Io...questa è mia figlia...va tutto bene, non si preoccupi. È da questa mattina che è agitata...sa, non ha tutte le rotelle a posto..." Lasciò andare il braccino della figlia e le accarezzò i capelli. "Un difetto genetico ereditato da suo padre, che mi ha abbandonato tempo fa, una volta scoperti i problemi della piccola. Io sono esasperata, da sola non riesco a far fronte alle spese mediche...così capita che a volte non trovi il denaro necessario per comprarle la sua medicina...e devo sopportare i suoi capricci..."

  L'omaccione rivolse un'occhiata alla bambina, poi i suoi occhi scesero fino alla pozza d'urina.

  Paine strinse le gambe per coprire la vergogna. Lesse nei suoi occhi la pietà, poteva sentirlo pensare: 'povera donna, quante sofferenze le ha dato la vita.'. E lei avrebbe voluto urlargli che non era vero, che lei era perfettamente normale e solo sua madre era affetta da seri problemi. Ma viveva in un mondo in cui le parole dei bambini erano ignorate. Poi non era più tanto sicura di essere normale, aveva o non aveva avuto delle allucinazioni?

  "Mi scusi per l'intromissione.", l'uomo tornò al suo posto.

  Appena fu lontano a sufficienza, Serena le assestò una manata sulla testa. "Faremo i conti a casa.", disse sottovoce, "Non dirmi mai più che non hai peccati da confessare, da questa mattina mi stai facendo esasperare all'inverosimile. E per punizione ti terrai quell'odoraccio addosso, non ho intenzione di sporcarmi in un bagno pubblico per farti stare meglio, chiaro?" E infine, la frase che più di tutte faceva soffrire Paine: "Che bambina inutile che sei, un fallimento completo."

  Paine abbassò la testa e incontrò il pantano che aveva creato. Non bastavano i rimproveri della Regina, ora doveva sopportare le risatine dei presenti e i volti disgustati delle ragazzine. Li sentiva chiacchierare sottovoce, spettegolare sull'accaduto:

  "Quando arriva il treno, facciamo di tutto per non stare vicino a lei."

  "È ovvio, queste scarpe le ho pagate una fortuna e non ho intenzione di rovinarmele con il piscio di quella mocciosa."

  "Già pensa se molla anche 'quella grossa'."

  Altre risate e sbeffeggiamenti.

  Una rabbia crebbe in lei, le colorò le guance non di vergogna ma d'odio. Una voce gutturale le si arrampicò per i polmoni e si concentrò sulle corde vocali. Alzò lo sguardo e guardò il gruppo di ragazzine che stava ridendo di lei. Lo sguardo torvo, le sopracciglia abbassate sugli occhi più scuri che mai. La bocca, con gli angoli dritti, si mosse da sola, la voce , che sembrava dover venire fuori con una potenza inaudita, fu solo un sussurro leggero: "Se non la smettete di ridere, vi taglio la gola."

  I sorrisi delle ragazze scomparvero, non dissero nulla tra loro e per tutto il tempo d'attesa, si limitarono a guardare il binario. Non avevano sentito quello che aveva proferito la bambina, ma le loro teste erano confuse, avevano udito un urlo spaventoso, un urlo di rabbia, scoppiare nei loro cervelli.

  Il treno arrivò in ritardo e si fermò, stridendo, più in avanti del solito. I pendolari, già stanchi per la lunga attesa, dovettero correre per sperare di accaparrarsi un posto a sedere.

  Anche Serena, gravata dal peso della figlia, si precipitò verso la vettura. "Ora sali, e non farmi altri dispetti!" La spinse nel vagone.

  Non vi erano posti a sedere. Paine venne sballottata da una parte all'altra dello scompartimento, era talmente piccina che nessuno si accorgeva di lei. Era legata alla madre solo con la mano, una lieve stretta ipocrita.

  Il controllore individuò le due e si avvicinò. "Salve signora, spero che ora la situazione sia migliorata", aveva un sorriso giocondo sul volto, non era interessato a Paine, ma a Serena.

  "Oh, sì, grazie. La piccina si è calmata."

  "Che sgarbato, non mi sono presentato, sono Salvatore", disse. Tese la mano a Serena, che lasciò quella di Paine per stringerla.

  Ci fu un veloce movimento e Paine fu allontanata dai due. "Mamma!"

  La donna non la sentì, il rumore dei binari e il forte vociare aveva coperto la sua voce. Si ritrovò nel bel mezzo del vagone con decine di sconosciuti. Si resse ad un sediolino per non cadere. Le pupille viaggiavano folli da destra a sinistra, alla ricerca della Regina.

  "Ti sei persa?", le chiese una donna.

  "Sì." Paine si voltò nella sua direzione e strillò. Non era una donna quella che le aveva parlato, ma uno di quegli alieni dal corpo vibrante. I loro volti si trovarono a pochi millimetri l'uno dall'altro. Il naso di Paine sfiorò lo strato di pelle nero. Era umidiccio, ricoperto da un liquido vischioso. Il fiato della creatura era terribilmente freddo, ma come poteva sentire il suo alito se non aveva naso né bocca?

  Fece un passo indietro e finì col sederino per terra. La mutandina bagnata macchiò anche il vestito.

  L'aliena le afferrò il braccio.

  "Paine, che stai facendo?" Serena la issò dal pavimento. "Ma guardati! Sei tutta sporca!" Le colpì più volte il punto dove il vestito si era sporcato, approfittandone per assestarle delle poderose sculacciate.

  "È solo inciampata.", disse la vecchina, che non era affatto un alieno.

  Stava impazzendo, non c'era altra spiegazione. La sera precedente aveva visto davvero l'uomo pazzo nel giardino e quello stesso uomo era entrato in camera e l'aveva morsa, trasmettendogli la stessa malattia di sua madre, forse peggiore. 

L'Angelo della MorteWhere stories live. Discover now